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Introduzione
 
La struttura del sistema dei media

"Mercanti di (bi)sogni": così abbiamo definito le conglomerate multimediali multinazionali, le nuove major, ovvero le loro strategie, le loro economie e politiche, lo sviluppo determinato dai loro stakeholder, azionisti e manager. Il titolo enfatizza l'interazione tra sogni e bisogni1, due concetti distanti tra loro, ma al tempo stesso intimamente connessi, dove il ruolo del mercante vuole essere interpretato anche nella sua accezione nobile2
 
In una lontana accezione storica, "mercante di illusioni" stava a significare imbroglione, ciurmadore, ma richiamava anche l'immagine del mercante come viaggiatore ed esploratore di nuovi territori. In un'epoca postmoderna come la nostra, pochi sosterrebbero ancora che il sistema dei media e la Weltanschauung pubblicitaria siano strumenti di falsificazione universale (costruttori di falsa coscienza). Senza dubbio, i media influenzano (interpretano?) i nostri sogni, il nostro immaginario e le agende sociali (e psichiche), così come la pubblicitý influenza (interpreta?) i nostri desideri e bisogni: (bi)sogni, appunto. 

Questo nostro lavoro di ricerca propone una chiave di lettura rara e per molti aspetti inedita: fornire una visione d'insieme, presentare un'esplorazione di come è strutturato e funziona il mercato della televisione internazionale (europea), anzitutto nella sua dimensione organizzativa. Non analizziamo programmi televisivi né le dinamiche di fruizione, ma cerchiamo di analizzare come funziona il mercato della televisione soprattutto nella sua logica strutturale. Usiamo il termine "struttura" non nel senso strutturalista (come sistema di rapporti, regolati da leggi, che si trasforma e si autoregola), né in chiave marxiana o gramsciana (sovrastruttura - societý, leggi, cultura, politica) ma, più semplicemente, come strumento interpretativo di un sistema mediale: la struttura di un sistema mediale è, per noi, l'organizzazione ed i meccanismi di funzionamento del suo mercato. La struttura è il frutto dell'interazione tra tre variabili fondamentali: l'economia, la tecnologia, la politica. Queste tre variabili influenzano tutte le attivitý economiche e sociali, ma nel sistema dei media il loro intreccio è particolarmente complesso, intricato, e difficile da interpretare. 
 
Esiste un disegno razionale, nelle strategie delle grandi conglomerate multimediali che governano i flussi internazionali di immagini, di informazione e di intrattenimento (di info-tainment)? O, più semplicemente, la crescita di questi nuovi soggetti, le nuove major, è il risultato delle dinamiche di globalizzazione applicate all'industria culturale, ultima fase del capitalismo postindustriale? O, viceversa, questi gruppi sono cresciuti seguendo l'onda lunga, emozionale, della grande illusione della convergenza multimediale? 
Esiste ancora quel fenomeno che l'Unesco degli anni Ottanta definì come colonialismo ovvero imperialismo culturale? Ricordiamo che gli Usa abbandonarono l'Unesco, nell'ormai lontano 1984, per contrastare quella che ritenevano una tesi falsa e falsificante, anti-capitalista (e vi sono rientrati tra il 2002 e il 2003). 
Ha ancora un senso la battaglia, promossa soprattutto in Francia, a favore dell' ìeccezione culturale" (e, quindi, delle quote), rispetto ai nuovi modelli di regolazione dei mercati economici mondiali3? Oppure essa va considerata definitivamente morta, come ha sostenuto, con sicumera, nel 2001 l'ex imperatore dell'ormai decaduta Vivendi Universal? La globalizzazione sta riducendo le barriere alla libera circolazione delle informazioni? Andiamo verso un arricchimento o verso un depauperamento dei sistemi culturali nazionali? La logica mercantile globale determina effetti perversi nella sfera culturale, reprimendo innovazione e pluralismo? Talvolta le risposte sono state date riecheggiando le pagine di molti.

Citiamo - per tutti - un brano di Bourdieu del 2000: "alla mitologia della differenzazione e della diversificazione straordinaria dei prodotti si può opporre l'uniformazione dell' offerta, su scala sia nazionale sia internazionale: la concorrenza, lungi dal diversificare, omogeneizza, in quanto la caccia a un pubblico il più esteso possibile porta i produttori a cercare i prodotti omnibus, validi per un pubblico di tutti gli ambienti e di tutti i Paesi, quindi poco differenziati e differenzianti (Ö) La straordinaria concentrazione dei gruppi di comunicazione porta (Ö) ad un'integrazione verticale, dove la diffusione controlla la distribuzione". 
 
Noi non pretendiamo di opporre risposte altre, ma osserviamo, semplicemente, che il fenomeno in essere è molto complesso e merita maggiori approfondimenti. Soprattutto, il sistema dei media non può essere affrontato solo in una prospettiva di economia o di sociologia dei media (discipline comunque fondamentali): queste due prospettive vanno integrate con l'interpretazione giuridico-normativa, tecnologica, storica e politica. I tentativi di ricerca e di saggistica basati su questo mix di analisi sono rari: spunti interessanti si trovano in alcune ricerche mediologiche e storiche, allorquando gli studiosi hanno cercato di trova re un percorso interpretativo avvalendosi di varie discipline4. Eppure, senza questa strumentazione multidisciplinare è impossibile cercare di capire come si evolve il sistema dei media.

L'illusione delle grandi convergenze multimediali

Gli anni Novanta sono stati un periodo di notevoli cambiamenti del panorama mediale europeo, caratterizzatosi, in particolare, per dinamiche di liberalizzazione: i vettori sono stati sia le nuove tecnologie sia i mercati economici e finanziari; i settori anzitutto quello delle telecomunicazioni, ma anche il settore televisivo. 
 
I principali protagonisti, nel settore televisivo, sono stati gli operatori privati , dato che le emittenti pubbliche hanno - inevitabilmente - giocato in difesa. L'entusiasmo e l'euforia dei mercati finanziari della fine degli anni Novanta hanno posto l'industria dei media al centro di rinnovate attenzioni economiche, e una intricata rete di acquisizioni e fusioni si è sviluppata, anche in Europa. L'integrazione è stata declinata in tutte le sue varianti: verticale, orizzontale, diagonale, internazionale. Sono stati celebrati centinaia di matrimoni tra New (Net) Economy e Old Economy, spesso dopo amori a prima vista e fidanzamenti - lampo. L'unico limite alla creazione di modelli di business sembrava essere la fantasia, tutti convinti dell'imminente manna digitale. 
  
Dopo l'euforia iniziale, i mercati (grandi e piccoli investitori) si sono resi conto che motivazioni prevalentemente irrazionali avevano alimentato un'enorme illusione; nella convinzione - errata, o comunque prematura - che la digitalizzazione avrebbe creato un "mondo nuovo" di illimitati consumi materiali e immateriali e di infiniti flussi comunicazionali interattivi. Il paradiso (mediale) in terra sembrava imminente. 
Anche i governi nazionali si sono in qualche modo ubriacati (nella speranza di rimpinguare le magre casse pubbliche): un esempio per tutti sono le g a re bandite per le licenze umts, nelle quali hanno imposto condizioni che si sono rivelate, a distanza di pochi anni, assolutamente anti-economiche5. In questo "gioco", ha prevalso l'emotivitý sulla razionalità, in una corsa al rialzo, all'acquisizione, al merging a tutti i costi (la cosiddetta mergermania), alla quale hanno partecipato sia nuovi entranti, senza visione strategica, sia gruppi consolidati. Questa follia collettiva non è nuova nella storia dell'economia6, ma mai ave va assunto dimensioni così ampie e tali da sconvolgere l'assetto stesso del sistema. Dopo due anni di entusiasmo (1999-2000), si è aperta la fase della grande crisi, depressione e disorientamento (2001-2002). La grande bolla è scoppiata nella primavera del 2001: da allora, secondo alcune stime, sarebbe stata bruciata una somma equivalente a due terzi del pil mondiale. Quelle che erano d i venute nell' arco di pochi anni alcune delle maggiori imprese economiche del mondo, ad esempio le telecom ex monopoliste più o meno privatizzate (le incumbent), si ritrovano affossate da debiti di dimensioni bibliche (tra i 50 e i 70 miliardi di euro, Deutsche Telekom e France Télécom). Le azioni di alcuni di questi gruppi sono passate da quota 100 a quota 10 (per esempio, Fr a n c e Télécom era a quota 225 euro nel marzo 2000 e nel primo semestre 2003 oscilla tra 15 e 20 euro, ma nell' ottobre 2002 ave va toccato anche quota 6 e uro), e talvolta addirittura a quota 1 (per esempio, dai 63 dollari agli 83 centesimi di dollaro, è il campo di oscillazione tra picco positivo e picco negativo di un gigante - rivelatosi coi piedi d'argilla - come Worldcom); e titoli che erano ben quotati sono stati declassati dalle agenzie di rating a junk bond, titoli spazzatura: e ci riferiamo non a giovani imprese della new economy a mericana, ma a Vi vendi Universal o alla stessa Deutsche Telekom! Alcuni di questi colossi, elefanti che si sono illusi di potersi trasformare in gazzelle, sono entrati - anche se prudentemente e spesso indire t t amente - nel mercato dei media. Hanno rimescolato carte, capitali, energie, ma non sono (ancora) riusciti a dimostrare che il content possa essere (anche) il loro business: il caso più eclatante resta quello dell' operatore telecom spagnolo TelefÛnica, che ha acquistato a un prezzo esorbitante il produttore di format per antonomasia, l'olandese Endemol, non riuscendo, tuttavia, a farlo fruttare all'interno della propria filiera7. Alcuni di questi gruppi competono ormai per il primo posto, nella classifica delle imprese più indebitate del pianeta. Dal canto loro, alcuni gru p p i mediali europei hanno compreso l' importanza della dimensione, size does matter, ed hanno cercato di alzare il tiro, di crescere in dimensioni e struttura, estendendosi geograficamente ed integrandosi verticalmente. In questo libro, proponiamo alcune fotografie e radiografie di questi processi sui quali non è ancora possibile elaborare un giudizio definitivo. L'incertezza regna sovrana, e prudenza è la parola d' ordine. Tutti i gru p p i sono più o meno in fase di stallo, tutti sembrano soffrire di crisi di crescita, nessuno appare in grado di replicare con successo in Europa i modelli di business delle major e delle conglomerate multimediali statunitensi. Si può nutrire una qualche speranza nei confronti di Bertelsmann o di News Corp. / BSkyB, ma, se il primo può essere definito gru p p o mediale a radice europea, il secondo è piuttosto apolide (e amorale, sosterrebbe qualcuno) come il capitalismo multinazionale più moderno.


Economia, politica, tecnologia

L'analisi dello scenario mediale dimostra come esista un'intensa interazione tra le sfere dell'economico, del politico e del tecnologico, e come queste tre variabili influiscano in modo determinante nel complessivo sviluppo del sistema.

Politiche e strategie
Richiamiamo due esempi di interazione ed interferenza tra policy making e strategie industriali: 
- l'Italia ricorda, tra le vicende ormai storiche, il ritardo nell'introduzione della televisione a colori (1975), che provocò, tra l'altro, la morte dei marchi nazionali dell'industria dell'hardware elettronico; l'introduzione della tv a colori sarebbe stata possibile fin dal 1967, in linea con gli altri Paesi europei, ma fu posticipata di quasi un decennio per il "combinato disposto" di tre fattori: la linea politica del Pri (per ragioni di rigore economico anti-consumista); l'azione lobbistica delle industrie automobilistiche (preoccupate per il rischio di sottrazione di risorse alle famiglie per l'acquisto della seconda macchina); e la pressione degli editori di giornali (che temevano un'erosione del loro gettito pubblicitario). Una lettura malevola potrebbe identificare un nesso tra la posizione del partito repubblicano ed i succitati interessi lobbistici; 
- la Francia può vantare di aver stimolato pionieristicamente l'esplorazione del nuovo mercato della televisione a pagamento, avendo assegnato a Canal+ una licenza di televisione a pagamento in regime di monopolio (1984). Una lettura maligna potrebbe vedere nel continuo sostegno del Governo francese a Canal+ precisi interessi politici ed addirittura personali di alcuni esponenti della maggioranza. 
Su queste tematiche infra le postille "La vera convergenza si fa in Parlamento?" (pagg. 174-177) e "Delfini del Ministro ai vertici tv" (pagg. 200-202).


Se buona parte della nostra ricerca si è concentrata sulle strategie economiche di alcuni tra i grandi gruppi mediali europei, e sugli assetti strutturali dei maggiori mercati nazionali, sono emerse, in numerose occasioni, interdipendenze tra economia, politica e tecnologia assolutamente impressionanti (alcune veramente curiose: prevalenza di rapporti di amicizia personale, più che comunanza di sintonia politica). Il fenomeno non riguarda solo i processi di privatizzazione delle telecom, inevitabilmente influenzati dai Governi, che hanno cercato, in tutti i Paesi europei, di posizionare manager "amici" sui ponti di comando; ma anche scelte di politica industriale, come il promuovere o il reprimere la costituzione di una seconda piattaforma di televisione satellitare.
 
Queste situazioni si contano a decine, in una storia politica dei media europei incredibilmente ancora tutta da scrive re: anche su questo, ci si domanda quali siano le ragioni del ìbuco nero" di analisi e di conoscenza, non essendo sufficiente la spiegazione della limitatezza delle singole discipline ad interpretare la complessità del sistema (nel 1979, Smythe definiva il sistema delle comunicazioni buco nero del marxismo occidentale). 
I media e le telecomunicazioni hanno sempre goduto di attenzione da parte dei governi nazionali: i primi per il loro potere di influenzare l'opinione pubblica, le seconde perché sono imprese di dimensioni economiche notevoli, sia come fatturato sia come forza - lavoro. Quando, poi, media e tlc si confondono, la miscela di appeal politico diviene esplosiva . 

Le tecnologie, a loro volta, non sono certamente neutre, ed esse stesse indirizzano il mondo verso modelli di consumo che sono frutto di scelte industriali ed al contempo politiche: si pensi solo - per quanto riguarda le materie oggetto di questo libro - alla scelta di obbligare o meno imprese e consumatori ad acquistare un decoder con sistema proprietario od aperto. Le scelte politiche si scontrano con le opzioni tecnologiche. Il caso ìNapster - Robin Ho o d" simboleggia efficacemente questo scontro di interessi. E si ricordi la battaglia portata avanti per anni dalla Mpaa, la storica associazione dei produttori cinematografici americani, contro la diffusione dei videoregistratori, nella convinzione - rivelatasi fallace - che avrebbero ucciso il cinema. Dinamiche tecnologiche, scelte politiche, azioni lobbistiche, strategie d' i mp resa, comportamenti dei consumatori (e degli elettori): esiste una sequenza gerarchica? L' intreccio di rapporti è complesso e la trama intricata. 
  
In questo scenario, non va dimenticata anche la variabile informazione, intesa come conoscenza (distorta) del mercato, come pratica individuale (o di banda) di arricchimento speculativo, se non illecito. Lo scoppio della grande bolla ha contribuito - ed è uno degli effetti positivi - a mostrare come i mercati e le imprese possano essere caratterizzati da comportamenti poco nobili anche a livelli insospettabili di management. Non staremo qui a ricordare - anche perché cenni sono presenti in varie parti del testo - i giochi messi in atto da manager di grandi aziende su stock option (a danno del piccolo investitore ignaro), con comportamenti degni della giurisprudenza in materia di insider trading . E ci limitiamo a solo evo c a re il fantasma della Enron (fino a pochi mesi fa, il quinto colosso finanziario americano) o il c rollo dell'immagine della Arthur Andersen, una delle regine (ormai decadute, il network è di fatto scomparso) della consulenza strategica-organizzativa-finanziaria (non a caso coinvolta non solo negli scandali Enron e Worldcom, ma anche nelle vicende che hanno colpito Messier e Vivendi). Tutto il sistema informativo di un mercato entra in crisi, allorquando coloro che dovebbero esserne interpreti sono collusi con player occulti. 
 
Riteniamo che gli studiosi debbano approfondire queste dinamiche, e provare a costruire una teoria fenomenologica sull'alternanza dei driver (economici, politici, tecnologici) negli sviluppi nazionali dei sistemi mediali. Ci auguriamo, con questa ricerca, di aver fornito un contributo in questa direzione.
 

Struttura del volume

Il libro è diviso in tre parti.

Nella Prima Parte, viene proposta: 
ï un'analisi che parte dalle radici storiche delle major cinematografiche statunitensi, al cui modello di integrazione si sono ispirate - e con cui si confrontano - le conglomerate multimediali europee. La parte include un approfondimento sulla fusione simbolo dell'epoca della convergenza, Aol-Time Warner;
ï un'analisi complessiva dello scenario televisivo in Europa, soprattutto dal punto di vista quantitativo ed economico, con particolare attenzione alla diffusione delle varie tecnologie (cavo, satellite, digitale, ecc.) ed alle risorse (pubblicità) nei maggiori mercati. 

Nella Seconda Parte, viene proposto un approfondimento dei quattro principali gruppi mediali di origine europea, ovvero Bertelsmann, Kirch, TelefÛnica Endemol, Vivendi Universal. 

Nella Terza Parte, vengono approfonditi mercati, contesti e player significativi: 
ï i quattro maggiori mercati televisivi europei - Italia a parte - ovvero Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, seguendo uno schema comune (profilo generale del mercato, dinamiche dell'audience, risorse del sistema, multi-channel); 
ï a l l'interno di ogni singolo mercato viene messa sotto esame, a mo' di case study, un'emittente televisiva: Tf 1 per la Francia, Rtl per la Germania, le autonómicas per la Spagna, Channel 4 per il Regno Un i to. 
 
Segue un'Appendice normativa, che propone una sintesi delle leggi che regolano l'attività televisiva nei Paesi dell'Unione Europea. 
 
Il libro è arricchito da un apparato bibliografico ragionato e da un indice analitico dei nomi e delle cose importanti, strumento utile per una navigazione ipertestuale simulata all'interno dei dati e delle analisi proposte. 
 
Tutto il libro è attraversato da una serie di percorsi di approfondimento ulteriore, opportunamente evidenziati (allegati e ìbox"). Oltre agli allegati, alcune postille intendono contestualizzare le strategie di emittenti e gruppi nello scenario politico nel quale si sono sviluppate.


Last minute 

Pur non trattandosi di un instant book, ma di un lavoro che ha la presunzione di essere dotato di un suo respiro prospettico ed un adeguato livello di approfondimento, si è cercato di fornire una fotografia il più possibile aggiornata, superando i numerosi ostacoli che caratterizzano la ricerca in materia (poca disponibilità dei dati, frequenti incongruenze nelle stime, vetustà delle informazioni e loro stessa obsolescenza). 
 
La redazione del volume è stata conclusa nel febbraio 2003, ma, dato che il libro è stato chiuso in tipografia successivamente, gli autori hanno abusato della disponibilitý dell'editore per aggiornarlo, nei limiti del possibile, anche in extremis: indicativamente, la ricerca fotografa la situazione a fine 2002/inizio 2003, con qualche nota dell'ultima ora, a mo' di flash d'agenzia (caratterizzato da una particolare segnaletica grafica). 
Se ci sembra di poter affermare che nessuno degli accadimenti del primo semestre del 2003 modifichi in modo radicale le interpretazioni che proponiamo nel testo, aggiungiamo (ad integrazione di quanto ve r r à approfondito in seguito) che: 
ï va registrato, senza dubbio, un indebolimento delle ambizioni euro p e e verso gli Usa, e, anzi, alcune tendenze di segno opposto, se è vero che l' eredità dell'impero Kirch sembra destinata (a fine maggio 2003) ad andare in mano all'americano Saban, e se è vero che il canadese Bronfman ambisce al controllo di Vivendi Universal. Senza dubbio, la vendita di Vi vendi Universal Entertainment (che ha stimolato appetiti anche da parte di Viacom-Cbs, di General Electric-Nbc, Mgm, e finanche Ap
ple) rimescolerà le carte sul tavolo dei grandi player multinazionali dell'industria dei media, soprattutto se gli asset finiranno in mano a soggetti come Liberty Media o Apple, che si caratterizzano per ben diverse radici storiche, ma per la comune ambizione ad entrare nell' Olimpo dei mercanti di (bi)sogni. In particolare, l'eventuale cessione di Universal Music ad Apple aprirebbe nuovi scenari: si ricordi che, attualmente (dopo che Philips, nel 1998, cedette Polygram a Seagram), Sony è rimasto l'unico player al mondo a produrre contemporaneamente hardware e software8
ï se gli europei sembrano ritirarsi dal mercato Usa, l'australiano Mu rdoch , con l'acquisizione dell'americana Direct Tv rende News Corp. veramente globale - nel senso di planetario - e diviene comunque il primo conglomerato hollywoodiano a possedere una società televisiva via satellite; 
ï sul fronte interno del Vecchio Continente, vanno registrati: la prudenza con cui Bertelsmann continua a muoversi (cessione della divisione editoria professionale tecnico-scientifica); la decisione di TelefÛnica di cedere parte delle quote di Antena 3 a Planeta (e quindi all'italiana De Agostini, che rientra nel business tv e si pone come concreto competitor sul mercato spagnolo) e di lanciare un'offerta pubblica di acquisto (opa) da 1,7 miliardi di euro su Terra Lycos (a dimostrazione che crede ancora in internet); l'impressionante dominio di Lagardère sul mercato editoriale francese (2 libri su 3 venduti in Francia passano ormai attraverso i suoi distributori) dopo l'acquisto degli asset di Vivendi Universal Publishing; l'avvio della piattaforma unica in Spagna ed in Italia (la prima in mano a Canal+ e TelefÛnica, la seconda a Sky); il successo della via gratuita alla tv digitale terrestre nel Regno Unito (Freeview); 
ï va osservata anche una rivalutazione delle prospettive di alcuni giganti delle tlc: che la celebrazione dei funerali sia stata prematura? Nei primi mesi del 2003, per esempio, France Télécom ha ottenuto da Standard & Poors un upgrade, dato che il debito complessivo sembrerebbe essere sceso da 68 milioni di euro a poco più di 50. Segnali di riviviscenza si registrano anche per l'olandese Kpn (che sembrava candidata alla bancarotta) e per Deutsche Telekom, mentre alcuni analisti osservano che nel 2002 il mercato europeo delle tlc è cresciuto comunque del 7 per cento, a fronte dell'1 per cento registrato dall'intera economia del Vecchio Continente; 
ï meritano una segnalazione, infine, due notizie sul fronte Usa: l'accordo tra Microsoft - Explorer e Aol-Time Warner - Netscape, e l' ulteriore allentamento della legislazione antitrust nel settore dei media. L' accordo tra Microsoft  ed Aol, raggiunto a fine maggio 2003 pone fine alla guerra (durata otto anni) tra i rispettivi browser internet, Explorer e Netscape: Microsoft ha accettato di versare 750 milioni di dollari ad Aol-Time Warner per chiudere la causa antitrust legata a Netscape, che aveva accusato Explorer di concorrenza sleale (Microsoft  distribuisce gratuitamente in tutti i computer il proprio browser Explorer). In realtà, l' accordo - pur importante in sé - potrebbe essere foriero di una nuova fase nei rapporti tra Microsoft ed Aol - Time Warne r, potenziali duopolisti della futura (vera) convergenza multimediale, in una r i n n ovata alleanza tra pc, reti e content. Sul fronte normativo, ad inizio giugno, la Fcc - Federal Communications Commission - all'interno di una revisione obbligatoria ogni due anni - ha approvato una riforma (3 voti a favore, 2 contro, espressi da esponenti rispettivamente filorepubblicani e filodemocratici) che consentirý - a iter perfezionato (saranno necessari alcuni mesi) - a un'impresa di contro l l a re un numero di stazioni televisive con un'audience potenziale complessiva del 45% a livello nazionale (a fronte dell'attuale tetto del 35%)9. La deregulation in atto appare come una evidente vittoria di Murdoch (News Corp.) e di Redstone (Viacom), tra i più convinti sostenitori della necessitý di abbattere barriere obsolete, scrivendo regole, come ha sostenuto il presidente della Fcc, Michael Powell, ìal passo con i tempi, superando quelle dell'epoca della tv in bianco e nero". Senza dubbio, alcune delle barriere e dei ìtetti" risalgono ai tempi di Nixon.


Postilla: a proposito dell'Italia 

Come abbiamo giý segnalato, l'attenzione che il libro presta all' Italia è limitata a qualche raro riferimento indiretto, essendo l'analisi concentrata su Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Le ragioni sono molteplici: le caratteristiche del mercato italiano sono note (almeno in Italia); i gruppi mediali italiani hanno dimensioni e strutture ancora piccole, se osservati da una prospettiva pan-europea, e la loro proiezione internazionale è ancora limitata (soprattutto nell'industria televisiva, mentre nell'editoria qualche player dinamico è giý emerso). Questo libro nutre tuttavia l'ambizione di fornire un contributo alla riflessione sulle dinamiche dell'internazionalizzazione, possibile e auspicabile, dell'industria culturale e mediale italiana. Pur avendo peccato, forse, di eccessiva ponderazione, i maggiori gruppi mediali italiani hanno subito poche ferite dallo scoppio della grande bolla: per costrizione normativa (che pure non avrebbe impedito loro una maggiore internazionalizzazione) o per cultura conservatrice, sono rimasti fuori dai giochi, e quindi dalle ubriacature e dai bagni di sangue. Non hanno effettuato investimenti folli, non sono falliti, non debbono ristrutturarsi a causa di debiti paurosi, né concentrarsi sul risanamento dei bilanci. Da alcuni gruppi mediali italiani, in particolare (ci limitiamo a citare De Agostini, Rcs e Mediaset), potrebbero emergere iniziative internazionali più ampie, ambiziose e diversificate di quanto non sia giý stato finora realizzato. Va certamente superato quel diffuso complesso di ìnanismo" che, pur giustificato dalla mera analisi quantitativa (rispetto a Aol-Time Warner o Vivendi, i gruppi italiani sono piccoli assai), caratterizza ancora i player del nostro Paese: che il modello sia la gazzella di fronte a simili elefanti mediali? Le pre-condizioni per l'internazionalizzazione ci sono, i tempi sono maturi per mettere a frutto il know -how e le risorse maturate in questi anni di prudenza, rivelatasi - in fondo - saggia.

 

NOTE

1 La formula ìsogni e bisogni" è piuttosto diffusa, data la sua efficacia concettuale: è, tra l'altro, il titolo di un manuale di psico-sociologia del marketing (Giovanni Siri, Sogni e bisogni. Il nuovo consumatore nell'era postconsumistica, Lupetti, Milano, 1995). Per riferirsi al cinema, la metafora ìfabbrica di sogni", risale alle origini stesse di Hollywood, ed è stata utilizzata in saggi, romanzi e film (dal controverso saggio, Hollywood - The Dream Factory: An Anthropologist Looks at the Movie-Makers, di Hortense Powdermarker, Little Brown and Co., Boston, 1950, al film documentario The Dream Factory di Michael Negrin, 1975). Va infine ricordato che altri hanno giý utilizzato la metafora ìmercato dei sogni", per riferirsi all'intero sistema dei media: Giovanni Cesareo e Patrizia Rodi, Il mercato dei sogni. Introduzione alle comunicazioni di massa, Bruno Mondadori, Milano, 1996. 

2 Così come ci piace attribuire al concetto stesso di mercato una funzione più nobile rispetto a quella cui è stato costretto, per decenni e forse secoli da molta letteratura: vedi Paolo Del Debbio, Il mercante e l'inquisitore: apologia della televisione commerciale, Il Sole-24 Ore, Milano, 1991. Altri hanno usato il termine mercato in un senso simile al nostro: Carlo Formenti, Mercati di futuro. Utopia e crisi della Net Economy, Einaudi, Milano, 2002. Secondo alcune teorie interpretative di internet, peraltro, ormai, ìmarkets are conversations", ed i mercati della net-economy sono una rinnovata versione delle antiche piazze, luoghi di scambio commerciale ma anche di formazione della coscienza sociale. 

3 Sull'argomento, un valido testo introduttivo è Serge Regourd, L'exception culturelle, Puf, Parigi, 2002. 

4 Alcuni esempi: Ignacio Ramonet e Serge Halimi, "L' empire des medias", in Manière devoir/Le Monde Diplomatique, Parigi, nƒ 63, 2002, David Forgacs, L'industrializzazione della cultura italiana (1880-2000), il Mulino, Bologna, 2000; Pierre Musso (a cura di), "Stratégies des groupes multimediales", in Dossier de l' audiovisuel, Ina, Parigi, nƒ 94, 2000; Patrice Flich y, Storia della comunicazione moderna: sfera pubblica e dimensione privata, Baskerville, Bologna, 2000; Domenico Ioppolo e Antonio Pilati, Il supermercato delle immagini. Scenari della televisione europea nell'epoca digitale, Sperling & Kupfe r, Milano, 1999; Armand Mattelart, La mondialisation de la culture, Pu f, Parigi, 1998; Antonio Perrucci e Giuseppe Richeri, Il mercato televisivo italiano nel contesto europeo, il Mulino, Bologna, 2003 (in libreria mentre questo volume andava in stampa). In particolare, si segnala Bino Olivi e Bruno Somalvico, La fine della comunicazione di massa. Dal villaggio globale alla nuova Babele, il Mulino, Bologna, 1997. Di Olivi e Somalvico, è appena uscito (estate 2003) un nuovo saggio (La Tv nella Babele elettronica. Dalla globalizzazione delle comunicazioni alla societý dell'informazione, il Mulino, Bologna, 2003): si osservi come, nei pochi anni intercorsi dalla pubblicazione dei due volumi, lo scenario mediale planetario sia così radicalmente mutato, da far apparire il fondamentale saggio di Olivi e Somalvico del 1997 quasi un testo di storia della politica ed economia dei media.

5 Ricordiamo alcune cifre: tutto incominciò quando il Governo del Regno Unito mise all' asta cinque licenze per le comunicazioni umts, raccogliendo 37 miliardi di euro (ovvero, circa 630 euro per ogni cliente potenziale); seguì a ruota il Governo tedesco che raccolse 50 miliardi di euro (611 euro per cliente). Il sistema dell'asta fu applicato, tra l'entusiasmo generale degli economisti, anche in Italia (con un risultato apparentemente deludente, solo 12 miliardi di euro, o 213 euro per cliente), nei Paesi Bassi (169 euro), in Austria (85 euro). Altri Paesi seguirono il sistema del beauty contest, fissando un prezzo predeterminato (talvolta, come in Francia, molto e levato, talvolta pari a zero, come in Giappone e in Finlandia), e selezionando i vincitori sulla base di varie caratteristiche dell' offerta. L' importo complessivo raccolto dai Governi per l' assegnazione di quasi 50 licenze alla fine dovrebbe raggiungere i 130 miliardi di euro; si stima che almeno altrettanto sarý necessario investire per le infrastrutture, i terminali e le tecnologie di trasmissione. Cifre paurose, che hanno un peso anche a livello di pil nazionali. 

6 Fabrizio Galimberti, Economia e pazzia. Crisi finanziarie ieri e oggi, Laterza, Bari - Roma, 2002. Una delle ipotesi interpretative utilizzate per spiegare fenomeni come la grande bolla è la teoria del gregge in situazioni di euforia o pericolo. Quello del gregge è un comportamento tutt' altro che irrazionale: per il singolo, il valore atteso di un investimento non dipende tanto da considerazioni oggettive circa, per esempio, il rapporto prezzo/utili, ma dipende piuttosto da che cosa pensano gli altri circa il valore atteso di un dato titolo. Se tutti comprano, è razionale continuare a comprare, nella convinzione di potere ve n d e re un minuto prima che lo facciano gli altri, ma non è possibile a tutti uscire prima degli altri. Dopo le prime vendite, lo stesso comportamento del gregge le trasforma in valanga: la bolla scoppia, i prezzi crollano. Questo processo può coinvolgere non soltanto i piccoli investitori, ma anche grandi gruppi economici e finanziari. 

7 E comunque l'acquisizione di Endemol per 5,5 miliardi di euro (una somma equivalente ad oltre 12 volte il fatturato del produttore all'epoca, nel luglio 2000) suscita un sorriso, raffrontata ai 50,7 miliardi che Deutsche Telekom ha speso, nel maggio 2000, per acquistare VoiceStream (sesto operatore di telefonia mobile statunitense, poi ribattezzato TMobile Usa; il fatturato 1999 era stato di 475 milioni di euro, con perdite di 454 milioni: ossia Dt ha comprato a 100 volte il fatturato). 8 Da segnalare anche che, nel maggio 2003, Apple - che continua a smentire l'ingresso nel business del content - ha riscosso un impressionante successo attraverso un inedito servizio di registrazioni musicali on-line al prezzo di 99 centesimi di dollaro, che si pone come prima concreta alternativa del post-Napster. 9 Una stessa societý potrý controllare, inoltre, nella stessa area metropolitana, sia una tv sia un quotidiano (attualmente è vietato), 2 stazioni tv in una grande cittý, ed addirittura 3 in metropoli come New York, Chicago, Los Angeles (ovvero laddove sono attive almeno 18 emittenti). Permane il divieto di fusione tra i 4 maggiori network (Abc, Cbs, Nbc, Fox).

 


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