Ieri a Roma un seminario di alto livello sull’A.I., mentre Elon Musk chiede una moratoria surreale. Giovedì 6 aprile al Ministero della Cultura la Sottosegretaria Borgonzoni convoca Meta e Siae. Ma “chi governa il digitale”?!

Settimana effervescente, nel sistema dei media e del digitale: lo scontro tra Meta e Siae (di cui abbiamo riferito in dettaglio, tra i primi ad analizzare il problema nella sua complessità ed emblematicità) è divenuto sempre più evidente, anzi plateale, perché ieri giovedì 30 marzo si è tenuta una audizione parlamentare sul mancato accordo tra i due “player”, con uno scambio dialettico (eufemismo) tra il Presidente della Società Italiana Autori e Editori Salvatore Nastasi ed il Responsabile degli Affari Istituzionali di Meta Angelo Mazzetti (l’anima italiana della multinazionale di Mark Zuckerberg ha ora anche un volto). Per comprendere le tesi di Meta, si legga l’intervento di Paolo Anastasio su “Key4biz” di ieri: “Siae vs Meta. Audizione di Meta alla Camera: ‘Trattativa interrotta perché Siae ha quadruplicato l’importo senza motivazione’”.

La ricaduta mediatica dell’incontro / scontro è stata comunque impressionante, a partire da un’intervista a piena pagina del Presidente Nastasi sul “Corriere della Sera” di oggi, ma l’interesse dei media – ora anche quelli “mainstream” – è confermato da un profluvio di dispacci di agenzia e decine e decine di articoli.

Se Nastasi ha accusato Meta di comportarsi come un “dittatore nordcoreano”, la società di Menlo Park (California) considera “fuori mercato” le istanze della Siae: nessuno però – nella copiosa ricaduta mediatica (una ricchissima rassegna stampa e web) – cita i numeri dello scontro.

Si tratta di pochi spiccioli, pochi milioni di euro l’anno a fronte dei fatturati enormi di Meta.

Se l’anno scorso, Meta ha pagato soltanto 1 milione di euro (nota bene: 1 milione uno!) per i diritti degli autori Siae su Instagram, con quale coraggio – sia consentito – Mazzetti sostiene che un incremento di “quasi 4 volte superiore all’importo concordato dalle parti fino al 2022”, non sia… “motivato”?! Di trattativa trattasi, nel bene e nel male, e nessuno dei due partner deve vestire i panni del Marchese del Grillo.

Ci sembra evidente: è motivata la richiesta Siae (dal punto di vista degli autori ed editori) dall’esigenza di ri-stabilire un minimo di “simmetria” (veramente un minimo) tra chi produce “content” e chi su quel contenuto basa la propria fortuna.

Ricordiamo che Meta non produce contenuti: semplicemente li distribuisce e vive di pubblicità e “contatti”.

Come abbiamo scritto per primi su queste colonne, la battaglia di Siae si pone come avanguardia a livello europeo, se non mondiale, e per questa ragione “il braccio di ferro” con Meta assume un significato particolarmente interessante, in termini di politica culturale ed economia digitale.

La querelle è certamente anche economica (il tentativo di remunerare al meglio i creatori di contenuto), ma anche “culturale”, come ha detto a chiare lettere Nastasi al “Corriere”.

La querelle, insomma, va oltre il pur ardito tentativo di recuperare le conseguenze negative dei processi di “value gap” (il trasferimento di ricchezza, dagli autori e dai creativi ai gestori delle piattaforme): è una questione di “politica culturale” tout-court.

Meta – così come Google o Amazon e “simili” – non rivela informazioni sulla propria economia, e quel poco che si riesce a capire emerge dagli “annual report” o dai resoconti semestrali o trimestrali della casa-madre negli Usa.

Questa cortina fumogena in verità c’è sempre stata nelle industrie culturali, e ben ricordiamo – nella nostra gioventù di ricercatori mediologici – quando cercavamo di scoprire qualcosa dell’economia interna delle “majors” statunitensi andando a spulciare giustappunto nei documenti – a partire dal “Form 10-K” – che le società americane debbono presentare alla Sec – Securities and Exchange Commission (l’equivalente della nostra Consob)… Ma poco o nulla dichiarano dei “mercati nazionali” extra-Usa.

Abbiamo senza dubbio a che fare con un mercato che non brilla per trasparenza, e, nell’oscurità o nella nebbia, è evidente che prevale il principio di cui al famoso “Articolo 5°”, ovvero semplicemente “chi ha il danaro, ha vinto”. Anzi, come recitava un divertente pamphlet pubblicato nel 2008 da Marco Mastracci per Castelvecchi, “Articolo quinto. Chi ha i (vostri) soldi ha vinto”.

Soldi nostri, in effetti: anche perché soggetti come Meta lucrano sul quel che si definisce “lavoro implicito”, concetto elaborato da Sergio Bellucci. Secondo Bellucci, il lavoro implicito definisce tutte le attività che vengono compiute dagli utenti dei sistemi informatici connessi in rete e quelli dei “social network”, necessari al funzionamento di una piattaforma informatica, generalmente on line, a cui si è richiesto un prodotto o un servizio gratuito o a pagamento. Il lavoro implicito è svolto, generalmente, attraverso l’uso di una strumentazione a carico dell’utente che, in genere, oltre a non essere retribuito per far funzionare la piattaforma, si fa carico anche dei costi del funzionamento dell’impianto necessario all’accesso, ma anche di tutte le risorse necessarie al suo funzionamento (come, ad esempio, l’energia per il funzionamento degli apparati e i costi di connessione).

Senza che noi ci si renda conto, noi tutti, semplicemente utilizzando i “social”, arricchiamo le multinazionali del digitale. Meta & Co. ci “rubano” ricchezza, e noi sorridiamo…

Storicamente, le multinazionali hanno avuto un approccio globale (planetario) e cercano di uniformare le proprie regole di comportamento a quel che avviene nel mercato Usa, considerando quasi tutto il resto del mondo a mo’ di… Province dell’Impero.

La dinamica s’è accentuata (ed aggravata) con lo sviluppo impetuoso delle multinazionali del digitale, che sono molto più ricche, potenti, e soprattutto pervasive di quelle che un tempo – in letteratura mediologica – si definivano le “multinazionali dell’immaginario”.

Meta e Siae: una delle punte dell’iceberg contro il quale corriamo il rischio di andare a sbattere, facendoci male (molto male).

La sfida dell’Intelligenza Artificiale

Ma la sfida enorme è attualmente rappresentata dall’Intelligenza Artificiale, della quale si è parlato ieri a Roma in uno stimolante seminario multidisciplinare

La questione dello scontro tra Meta e Siae è sintomatica, ma è anch’essa una delle punte di quell’iceberg di enormi dimensioni cui stiamo andando incontro: la nuova “minaccia” terribile – ovvero grandiosa “chance” – è rappresentata dall’Intelligenza Artificiale, così come dal Metaverso.

A proposito del secondo, ci domandiamo come mai Facebook alias Meta sia tanto “avara” nel remunerare gli autori e poi così generosa nell’acquistare – come sta avvenendo da qualche giorno – spot pubblicitari televisivi e pagine intere sulla stampa per promuovere le infinite potenzialità del Metaverso…

È una delle questioni che il Governo potrebbe porre a Meta, nell’incontro à trois che la Sottosegretaria alla Cultura, la leghista Lucia Borgonzoni, ha saggiamente promosso per giovedì prossimo 6 aprile al Collegio Romano: purtroppo sarà a porte chiuse, ma sarà veramente interessante conoscere i risultati che emergeranno.

Nel suo piccolo, questo è un caso di intervento della “mano pubblica” in un mercato sregolato: un timido ma certamente apprezzabile tentativo di affermazione del “primato dello Stato” per cercare di introdurre regole nel Far West digitale.

La presa di posizione di StaGe! e Indies: obbligare i giganti mondiali del web a condividere i loro dati (fatturato, traffico, pubblicità…)

Va segnalata la presa di posizione assunta ieri dal coordinamento di centinaia di realtà musicali indipendenti del nostro Paese, rappresentate da StaGe! e Indies. Interessanti le loro argomentazioni: “a seguito delle audizioni sul mancato accordo Meta-Siae da parte delle Commissioni Parlamentari Cultura e Telecomunicazioni e della convocazione da parte del Governo di una riapertura del tavolo di trattavia Meta-Siae attraverso una convocazione del Sottosegretario alla Cultura Lucia Borgonzoni, valutando positivamente tale tipo di azioni, si ricorda che a livello europeo, e a cascata a livello nazionale, quando si parla di musica, si parla prima di tutto ed espressamente di una parte integrante del patrimonio culturale storico e attuale e futuro europeo e nazionale, che deve essere il principio cardine sul quale basare gli interventi per la loro tutela, valorizzazione e sviluppo e  solo successivamente porsi nell’ottica del mercato. Aderire esclusivamente a logiche di mercato su questi temi significa mettere la musica (e cosi il cinema e le altre forme d’arte della nostra cultura) esclusivamente nelle mani dei giganti mondiali del web, che hanno come unica missione la logica del massimo profitto, senza alcun altro interesse e men che meno alla crescita dell’arte musicale e di investimenti in tal senso”. StaGe! e Indies sostengono che “è indispensabile quindi una normativa europea che obblighi  i colossi della rete, che hanno alterato regole fondamentali nel campo della cultura, della libertà, dei diritti e della democrazia, ad adempiere prima di tutto fino in fondo  ai loro doveri fiscali nei confronti della comunità internazionale e delle singole nazioni in cui operano e a fare azioni in ogni singolo Paese in cui sia riconoscibile la loro presenza e il suo operare (sede legale con personale in ogni singolo Paese, collaborazioni con realtà del Paese, investimenti, pagamento di tutte le royalties, azioni promozionali, etc.)”. Si invoca “la condivisione dei dati tra utilizzatori e detentori del diritto d’autore: su questo, occorre intervenire con la massima urgenza, obbligando, attraverso una legge anche sanzionatoria, le piattaforme social mondiali monopoliste a fornire tutti i dati utili del loro fatturato, del traffico, della pubblicità e di quanto realizzato dai giganti del web, in modo chiaro e trasparente, scorporato per ogni singola nazione”.

Come sostiene da anni un analista lungimirante qual è Michele Mezza, si deve attivare una battaglia civile (e quindi politica) per un “uso trasparente, condiviso e negoziale di dati e algoritmi”.

Ieri mattina a Roma un seminario di alto livello sull’Intelligenza Artificiale, con una riproposizione della dialettica tra “apocalittici” ed “integrati”

Ma concentriamoci oggi sull’Intelligenza Artificiale: ieri mattina a Roma, presso Palazzo Falletti in Via di Panisperna, un centinaio di persone (esperti, studiosi, informatici, sociologi, imprenditori, sindacalisti, prelati…) si sono impegnate in una “full immersion” (dalle 10 del mattino alle 19), affrontando in modalità multidisciplinare la grande sfida dell’I.A.. Avevamo segnalato la stimolante iniziativa, su queste colonne (vedi “Key4biz” del 17 marzo 2023, “Tra Rai e Siae, spuntano Meta e ChatGpt: delle irrisolte contraddizioni fra politica culturale e ‘value gap’”) e le aspettative non sono state deluse.

Si è trattato del seminario “Intelligenza artificiale. Una sfida per l’umanità”, prima sortita pubblica di un laboratorio in itinere. È prevista già una seconda occasione di discussione per giugno (clicca qui per il sito web dedicato all’iniziativa).

Per la prima volta in Italia, la questione non è stata affrontata da politecnici ed accademie, né dalle solite multinazionali della consulenza: l’approccio è stato interdisciplinare, senza alcun dominio dell’economico e del tecnologico sull’umano (che è l’unica dimensione che conta – o che dovrebbe contare – in fondo).

E proprio ieri – in materia di Intelligenza Artificiale – su molte testate giornalistiche veniva rilanciata la presa di posizione di Elon Musk (cofondatore e capo di TeslaSpaceXNeuralink, ecc. ecc.), che ha proposto di fermare “temporaneamente” le Ai, “prima che divengano troppo intelligenti”.

Che sia un miliardario come lui, che cavalca l’onda impetuosa dell’economia digitale (e non), provoca oggettivamente un sorriso…

Musk, unitamente a oltre mille persone in tutto il mondo, ha condiviso una lettera dell’organizzazione no-profit “Future of Life Institute”. Un gruppo di esperti ritiene che siano necessari 6 mesi di “stop” (?!) nello sviluppo dei sistemi che hanno potenza maggiore di Gpt-4 di Open-Ai… Questa pausa dovrebbe essere – negli auspici dei firmatari del manifesto – pubblica e verificabile e deve includere tutti gli attori-chiave. Se non potesse essere messa in atto rapidamente, i governi dovrebbero intervenire e istituire una “moratoria”…

Un paradossale conato di neo-luddismo?!

Ha scritto con inchiostro acido Andrea Daniele Signorelli in un bell’articolo pubblicato su “Wired” di ieri 30 marzo: “Perché la lettera per sospendere lo sviluppo dell’intelligenza artificiale è tutta sbagliata”. Tesi condivisibile quella di Signorelli, che è tra l’altro autore di “Technosapiens: come l’essere umano si trasforma in macchina” (D Editore, 2021): “invece di concentrarci sulle concrete problematiche poste dall’intelligenza artificiale preferiamo dare retta alle chiacchiere fantascientifiche di un gruppo di tecno-miliardari ossessionati dalle loro stesse fantasie nerd”.

E l’incontro romano di ieri si è concentrato giustappunto sulle problematiche concrete, sia a livello di lavoro sia a livello di creatività.

Torneremo presto sull’iniziativa, anche su queste colonne, e qui ci piace semplicemente segnalare che s’è registrato uno scontro dialettico piuttosto acceso tra chi ha una visione critica (molto critica) dell’evoluzione della società digitale, come il saggista e giornalista Glauco Benigni, e chi ha un approccio volutamente ottimista, come il giovanissimo Elio Pascarella, che ha teorizzato che la logica “Open source” può consentire uno sviluppo dal basso – partecipativo e democratico – della stessa Intelligenza Artificiale.

Una nuova versione del sempiterno dibattito tra gli “apocalittici” e gli “integrati” (à la Umberto Eco)…

Il mediologo-sociologo Sergio Bellucci (uno dei tre co-promotori dell’iniziativa assieme a Lucio Pascarelli e Roberto Savio) ha proposto un’analisi accurata ed aperta delle possibili conseguenze sociali ed economiche, in termini di ridefinizione radicale della stessa “forma umana” così come l’abbiamo conosciuta per millenni: Bellucci ha ribadito come i “social media” ed ancor più l’intelligenza artificiale stiano ridefinendo i meccanismi di quella che definisce da alcuni anni “l’industria del senso” (un concetto più evoluto di quella “industria dell’immaginario” che evocavamo poco fa).

L’agenda valoriale delle nostre esistenze è sempre più definita (imposta) da un sistema comunicazionale che è asservito alle logiche del capitale.

Chi cura questa rubrica IsICult per Key4biz è intervenuto proponendo una riflessione su come storicamente siano stati gli intellettuali, gli accademici, gli artisti, i giornalisti a rappresentare il “pensiero critico” sull’evoluzione della società: e non è curioso che quella che un tempo si definiva – nel bene e nel male – l’“intellighenzia” sia stata, negli ultimi anni, depauperizzata dal punto di vista economico?! E marginalizzata, allorquando al sistema del capitale fa più gioco dare sempre maggiore spazio agli “influencer” (che del conformismo consumista finiscono per essere gli alfieri più acritici)… È di questi giorni la notizia che un colosso come la Disney ha annunciato di licenziare oltre 9.000 dipendenti?

Il turbocapitalismo digitale produce espulsione dal mercato del lavoro, impoverimento diffuso della classe creativa… Anzi, forse è proprio “la classe creativa” (gli intellettuali e gli artisti) a soffrire più di altri lavoratori le conseguenze della “rivoluzione digitale”: certamente l’accesso alla conoscenza (e quindi anche alla cultura ed alle arti) ha vissuto e vive una crescita esponenziale, ma paradossalmente chi la cultura e le arti le alimenta si impoverisce progressivamente…

Ha ricordato ieri Toni Biocca (Vice Presidente dell’Aidac – Associazione Italiana Dialoghisti Adattatori Cinetelevisivi): “è vero, semmai anche l’Intelligenza Artificiale potrà sostituire nei prossimi anni 80 doppiatori su 100 di coloro che sono oggi in attività, sopravviveranno comunque alla tempesta 20 doppiatori di altissima professionalità, cui le piattaforme saranno comunque costrette a rivolgersi per lavorazioni di alta gamma… ma se io stesso sarò tra quei 20 eletti, non posso non preoccuparmi per quegli 80 che verranno di fatto espulsi dal mercato del lavoro…”. Una efficace rappresentazione del pericolo latente: vale per i doppiatori, così come per i giornalisti…

Sempre ieri a Palazzo Falletti un sindacalista appassionato come Lorenzo Pappagallo (già alla guida dell’Associazione Stampa Romana) ha letto un esempio di come ChatGpt (per ora il più diffuso software di intelligenza artificiale relazionale in grado di simulare ed elaborare le conversazioni umane) può produrre testi di discreto livello in pochi attimi, anche in relazione ad una possibile piattaforma sindacale… Siamo ai limiti dell’incredibile: è stato chiesto a ChatGpt di elaborare tesi sui rischi che la stessa ChatGpt può rappresentare per il mestiere di giornalista e questa forma di intelligenza artificiale ha elaborato un testo complessivamente valido!

Tutte le professioni culturali e creative sono a rischio, tra “value gap” a favore degli “over-the-top” e sconvolgimenti imminenti del mercato dei lavoratori della conoscenza determinati dall’“artificial intelligence”.

Il “casus” Siae vs Meta (ovvero Meta vs Siae) rientra perfettamente in questo processo: Meta fattura miliardi e miliardi di dollari e poi concede le noccioline ai creativi… Qualcosa non va.

Rispetto all’I.A., si assiste ad un grande ritardo di analisi, nel nostro Paese: servono iniziative che stimolino la costruzione e la diffusione di una coscienza critica su un fenomeno che avrà un impatto radicale ed irreversibile nelle nostre vite.

È urgente discutere dell’impatto imminente dell’Intelligenza Artificiale nei vari settori, dalla educazione alla sanità, dal lavoro alle conseguenze dirette sulla stessa democrazia liberale.

Si debbono condividere le conoscenze e si deve avviare una riflessione critica sulle possibili misure di governabilità che possano essere assunte per impedire che la proprietà in poche mani dei software di I.A. non si trasformi in uno strumento di potere senza precedenti, senza trasparenza e senza valori umanistici sui quali fondare l’uso dell’intelligenza artificiale… Un’accademica del livello di Teresa Numerico (insegna Logica e Filosofia della Scienza all’Università di Roma Tre) ieri ha evocato il concetto di “governo dell’immaginario”, concetto che si accompagna a “governo del digitale” così come a “governo dell’intelligenza artificiale”: chi potrebbe “governare” la transizione, superando la sudditanza attuale nei confronti delle sfuggenti multinazionali del digitale?

Gli Stati nazionali? L’Unione Europea?! Le Nazioni Unite?!

A proposito di intervento della “mano pubblica” (e di “senso dello Stato”?!) è di oggi la notizia dello “stop” imposto a ChatGpt dal Garante per la Protezione dei Dati Personali, fino a quando non rispetterà la disciplina “privacy”. Il Garante Privacy ha infatti disposto oggi, con effetto immediato (clicca qui per il comunicato, intitolato “Intelligenza artificiale: il Garante blocca ChatGpt. Raccolta illecita di dati personali. Assenza di sistemi per la verifica dell’età dei minori”), la limitazione provvisoria del trattamento dei dati degli utenti italiani nei confronti di OpenAI, la società statunitense che ha sviluppato e gestisce la piattaforma (si veda l’intervento di Luigi Garofalo su “Key4biz” di oggi, “Stop del Garante a ChatGpt: “Finché non rispetterà la privacy Il commento della stessa Ia”)…

A proposito di “governo del digitale” e di strapotere delle multinazionali…

Si sente l’esigenza di stimolare un “umanesimo digitale” rispetto a fenomeni sconvolgenti come l’Artificial Intelligence, allorquando invece a livello di “mainstream” mediatico prevale ancora in Italia l’affabulazione tecnologista…

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.

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