Attesa per l’avviso pubblico per la presentazione delle candidature per il Cda di Viale Mazzini, che verrà pubblicato domani sui siti web di Camera e Senato: ci sarà finalmente innovazione?

La Commissione Parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi ha deciso di avviare una “indagine conoscitiva”, uno strumento cognitivo che viene utilizzato in Parlamento per studiare ed approfondire tematiche che richiedono uno studio accurato: l’indagine è stata proposta per primo dal deputato Andrea Romano (Partito Democratico), l’idea è stata accolta dal Presidente della Commissione Andrea Barachini (Forza Italia), e nella seduta di martedì della scorsa settimana è stata approvata.

Si prevede che l’indagine si focalizzi “sui sistemi di ‘governance’ dei servizi pubblici radiotelevisivi in ambito europeo”, avendo come primo obiettivo “raccogliere – attraverso un ciclo di audizioni – contributi, valutazioni sulle prospettive di riforma della disciplina della ‘governance’ della Rai”.

Lo studio dovrebbe affrontare il ruolo della Rai sia come concessionaria del servizio pubblico, sia come principale industria culturale del Paese.

Si tratta di una iniziativa apprezzabile, anche perché lo stato dell’arte delle conoscenze sui sistemi televisivi pubblici di altri Paesi è in Italia veramente deficitario, come abbiamo denunciato molte volte su queste colonne.

Va segnalato che la notizia non è stata rilanciata da nessuna testata giornalistica o web, se non con un trafiletto de “Il Sole 24 Ore” di sabato scorso 27 marzo e dalla fonte specialistica sempre molto accurata “BloggoRai”.

Ha scritto sabato scorso – sul suo profilo Facebook – il promotore dell’iniziativa, Andrea Romano (classe 1967, cattedra di Storia Contemporanea a Roma Tor Vergata, portavoce della corrente Pd “Base riformista” che fa capo a Lorenzo Guerini e Luca Lotti) che l’indagine guarderà “da un lato all’urgenza di tutelare la proprietà intellettuale nel nuovo contesto creato dall’arrivo dei principali player internazionali e dall’altro alla funzione di principale industria culturale svolta dalla Rai”.

Senza dubbio condivisibile l’osservazione critica che “l’internazionalizzazione del mercato audiovisivo apre nuovi spazi di produzione e commercializzazione, ma tende anche a imporre cessioni di diritti di lungo periodo che disincentivano la creatività e il consolidarsi di nuovi protagonisti italiani”.

Ricordiamo che negli ultimi anni, peraltro, alcune delle maggiori società italiane di produzione audiovisiva hanno ceduto quote, talvolta di maggioranza, a favore di “player” stranieri: la globalizzazione è prospettiva inevitabile, ma crediamo che il titolare del Ministero della Cultura Dario Franceschini dovrebbe avviare una riflessione sulle industrie culturali e creative italiane nella prospettiva internazionale. Sostiene Romano: “d’altra parte è indispensabile riflettere anche in sede legislativa sul ruolo e sulla funzione della Rai in questo nuovo contesto, come fondamentale veicolo di diffusione delle produzioni audiovisive e come principale industria culturale italiana, e dunque come soggetto attivo di sviluppo della produzione audiovisiva italiana”. Il parlamentare dem spiega anche che “la Commissione di Vigilanza Rai ascolterà le associazioni di settore, le principali imprese italiane e straniere dell’audiovisivo, i principali gruppi editoriali, la Siae, l’Agcom e ogni altro soggetto che sarà ritenuto utile alla ricognizione, ed elaborerà entro sei mesi una Relazione conclusiva che potrà servire da base per gli interventi normativi che saranno ritenuti utili e necessari dal Parlamento italiano”.

Ci auguriamo che l’indagine conoscitiva dedichi adeguata attenzione alle analisi comparative scenaristiche internazionali, dalle quali la Rai (ed il Paese tutto) ha molto da imparare, al di là del sempiterno “modello Bbc”.

Lo stato dell’arte del dataset informativo e documentativo di cui dispone la Commissione – e, più in generale, il Parlamento italiano – è infatti limitato e modesto: uno dei prodotti più recenti elaborati dal Servizio Studi della Camera dei Deputati (Documentazione Parlamentare) ne è evidente esemplificazione: si legga il “Il servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale e il canone radiotelevisivo”, in data 5 febbraio 2021.

L’ultimo “Focus” prodotto dal Servizio Biblioteca – Legislazione Straniera della Camera, intitolato “I sistemi radiotelevisivi pubblici di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna, con particolare riferimento alla governance e ai meccanismi di finanziamento” (peraltro citato come testo di riferimento – sic – anche nel succitato documento del Servizio Studi in data 5 febbraio 2021), è datato 26 febbraio 2018, e già soltanto questo dato evidenzia il ritardo nell’aggiornamento di una materia estremamente complessa e mutevole: negli ultimi 3 anni, si sono registrate non poche modificazioni significative negli assetti dei sistemi radiotelevisivi pubblici presi in considerazione.

Anche la documentazione di analisi prodotta dall’Ebu – European Broadcasting Union, l’associazione dei “psb” europei, ed in particolare del suo Media Intelligence Service (Mis), non appare particolarmente utile ai fini dei fabbisogni cognitivi della Commissione, perché si tratta di prodotti standard, non rispondenti ad esigenze “su misura” dal punto di vista della prospettiva italiana (ed in particolare da parte del legislatore).

Come si può decidere del futuro della Rai senza disporre di adeguata documentazione cognitiva?

Come può il Parlamento (e non soltanto la Commissione bicamerale di Vigilanza) maturare una idea evoluta di possibile riforma della “governance” della Rai, senza disporre di analisi comparative evolute ed aggiornate?

Le audizioni si riveleranno certamente preziose, ma saranno necessari anche studi accurati.

In materia, qualcosa ha elaborato Rai – all’interno della Direzione Marketing ed all’interno dell’Ufficio Studi – ma la gran parte di queste analisi restano chiuse a chiave nei cassetti del “settimo piano” di Viale Mazzini.

C’è addirittura chi maligna che molti studi realizzati dalla Direzione Marketing non vengano “disseminati” nemmeno all’interno del Gruppo Rai per precisa volontà autocratica dell’Amministratore Delegato Fabrizio Salini… Come dire?! Si tratta della logica tipica di alcune burocrazie italiane: “meno si sa, meglio è”. Così il “manovratore” può operare indisturbato, senza nemmeno tanta dialettica interna… Questa “ritenzione” pare riguardi anche quelli che dovrebbero essere i destinatari naturali di queste ricerche, ovvero i membri dello stesso Consiglio di Amministrazione, che raramente vengono portati a conoscenza di ricerche interne: un vero… paradosso!

D’altronde, è noto che, ormai da molti anni, il Marketing Rai si concentri più su iniziative “tattiche” che “strategiche”: molte risorse economiche (milioni e milioni di euro) vengono allocate per analisi di prodotto, per sondaggi demoscopici sui programmi, piuttosto che in ricerche scenaristiche, nazionali ed internazionali, che possano consentire a Viale Mazzini di comprendere al meglio qual è l’evoluzione del sistema dei media, anche alla luce di un approccio comparativo con le esperienze di altri “public media service” all’estero…

Va anche segnalata un’altra questione, non meno importante: ha senso focalizzare l’attenzione parlamentare soltanto sulla “governance” Rai, senza affrontare correlate questioni come il finanziamento del servizio pubblico, il nuovo assetto tecnologico provocato dal digitale e dal web e dal 5G (oltre che dal Dvb-T2) e soprattutto la sua “mission” istituzionale?! Si tratta di questioni che sono intimamente correlate tra loro.

A parte il Pd, nessuno sembra comunque realmente intenzionato ad affrontare il “dossier” Rai

La senatrice Valeria Fedele (Pd), nel convenire sulla opportunità di una “indagine conoscitiva”, ha sottolineato la rilevanza dell’iniziativa proposta, ed ha auspicato un rapido svolgimento. Come segnalato, si prevede che l’indagine possa concludersi entro sei mesi, e quindi in autunno.

Dallo studio, potrebbe anche scaturire una novella proposta di legge, rispetto a quelle che giacciono nei cassetti delle commissioni parlamentari.

Nel mentre, tra fine giugno ed inizio luglio, Rai riavrà un Cda formato con la legge vigente, la controversa “mini-riforma” voluta da Matteo Renzi (la legge n. 220 del 2015) che ha accentrato il potere nelle mani dell’Amministratore Delegato.

Si ricorda che la ex titolare del Miur (dal dicembre 2016 al giugno 2018) ha presentato il 6 novembre 2020, a nome del suo partito, un disegno di legge, ma l’iter non è ancora di fatto iniziato, sebbene l’Atto Senato n. S2011, intitolato “Disposizioni in materia di servizio pubblico radiotelevisivo” sia stato assegnato ormai un mese fa alla 8ª Commissione permanente (Lavori Pubblici, Comunicazioni) in sede “redigente”. Una piccola accelerazione, dopo quasi quattro mesi di… stagnazione.

Insomma, al di là degli annunci, tutta questa volontà di avviare l’iter per una nuova riforma della Rai non è proprio emersa.

D’altronde, va osservato che, al di là del Partito Democratico (ormai convinto della necessità di istituire una “fondazione” per allentare il rapporto diretto ed invasivo della partitocrazia rispetto alla Rai), non si registra da parte di altre forze politiche una particolare sensibilità e spinta propulsiva nell’affrontare le tematiche del servizio pubblico radiotelevisivo.

Dal fronte del Movimento 5 Stelle, silenzio assoluto. È pur vero che il partito ha ben altre questioni interne da affrontare, ma questa inazione è impressionante, soprattutto per chi ha memoria (ben pochi, in verità?!) che nelle piattaforme programmatiche sia del Conte 1° sia del Conte 2° era stata annunciata la volontà di affrontare una riforma del sistema della comunicazione.

Continua a martellare a cadenza quotidiana critiche aspre nei confronti della Rai il Segretario della Commissione Vigilanza Michele Anzaldi, esponente di spicco di Italia Viva, le cui tesi vengono spesso amplificate anche dal tg satirico di Mediaset “Striscia la notizia”.

Strane interazioni tra Rai e Mediaset: molti volti di Cologno accolti a braccia aperte a Viale Mazzini

In argomento, va anche osservato che si registrano strane “interazioni”, accresciute nelle ultime settimane, tra Mediaset Rai: aumenta il numero delle “comparsate” (interventi ed interviste) di esponenti del gruppo di Cologno nelle trasmissioni di Viale Mazzini, ed oggettivamente sorge naturale il quesito se si tratti di fenomeni casuali o rispondenti ad una qual certa strategia di immagine.

In questa “strategia” (se c’è realmente una “regia”), rientra anche la notevole quantità di spot pubblicitari di “player” concorrenti della Rai che trovano spazio sulle sue reti, da Sky Netflix ad Amazon PrimeVideo e Disney+

Il telespettatore medio si trova inevitabilmente… spiazzato, e si osserva peraltro una notevole asimmetria: a fronte di tanti personaggi Mediaset ospitati da Rai, non si registra una speculare presenza di molti personaggi Rai ospitati da Mediaset, e non ci sembra che la pubblicità di Sky e Netflix e Amazon e Disney sia così imponente sulle reti di Cologno…

Riteniamo che queste pratiche – immaginiamo ben note all’Amministratore Delegato Fabrizio Salini ed al Presidente Marcello Foa – siano veramente pericolose per la Rai, perché contribuiscono ad annacquare il suo già problematico profilo identitario.

Domani mercoledì 31 l’avviso di Camera e Senato per le auto-candidature al Cda Rai

Come abbiamo già segnalato su queste colonne (vedi “Key4biz” di venerdì 26 marzo 2021, “Rai, più trasparenza per l’elezione del nuovo Cda?”), è finalmente imminente l’avvio formale della procedura per la composizione del prossimo Consiglio di Amministrazione della Rai, che è in scadenza a fine giugno 2021, subito dopo l’approvazione del terzo bilancio societario. La notizia è stata resa in una nota congiunta dalle presidenze di Camera e Senato martedì della scorsa settimana 23 marzo (anche in questo caso, ricaduta mediatica tendente a zero).

La giornata di domani, mercoledì 31 marzo, sarà cruciale, perché verrà pubblicato sui siti web di Camera e Senato l’avviso per l’invito a presentare, entro la scadenza del 30 aprile 2021, auto-candidature per i 4 membri del Consiglio di Amministrazione Rai che dovranno essere eletti dal Parlamento. Si ricorda che gli altri 3 membri del Cda di Viale Mazzini sono così scelti: 1 è eletto dai dipendenti Rai e gli altri 2 sono indicati dal Governo.

Da più parti, viene auspicato che la procedura si caratterizzi per uno sforzo di innovazione, in nome del buon senso democratico: ci si augura che, nell’impostare questo nuovo avviso pubblico, i Presidenti del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e della Camera Roberto Fico abbiano finalmente previsto una procedura che possa consentire un processo comparativo, che garantisca finalmente un minimo di tecnocrazia/meritocrazia e pubblicità/trasparenza nei processi selettivi.

Finora, nonostante le lamentazioni emerse dalla società civile, non è mai stato così. Si ricordi anche la presa di posizione assunta da questa testata, in occasione della precedente procedura elettorale: vedi “Key4biz” del 2 luglio 2018, “Cda Rai, lettera aperta al Presidente della Camera Roberto Fico”).

Eppure basterebbe poco: prevedere, esemplificativamente (alcune di queste procedure potrebbero essere combinate tra loro):

  • una programmatica dichiarazione di intenti…
  • una forma standardizzata per la presentazione dei curricula
  • delle audizioni da parte della Commissione parlamentare di Vigilanza…
  • uno schema interrogativo, una griglia di poche ma essenziali domande, a mo’ di questionario, affinché gli aspiranti candidati possano esprimere la loro “idea” di Rai che sarà…

Non è complicato: basta che i Presidenti di Camera e/o Senato (i due avvisi non debbono essere necessariamente identici) chiedano ad un funzionario del legislativo dei rispettivi staff di introdurre nell’annuncio un paio di frasi (non dissimili da quelle che qui abbiamo proposto), rimandando poi ad un regolamento attuativo della procedura.

Il coraggio di innovare, per evitare la replica di una presa in giro

I Presidenti di Camera e Senato avranno questo coraggio di innovazione?

Oppure, ancora una volta, assisteremo a quel che è avvenuto in passato, ovvero a centinaia di candidature che vengono inviate da qualificati professionisti, illustri accademici, simpatici Carneadi, onesti cittadini, dilettanti allo sbaraglio… con il risultato che quasi nessuno dei parlamentari si prenda la briga di sfogliare i curricula?

Col risultato che i nomi dei candidati che “debbono essere eletti” vengono segnalati ai componenti dei gruppi parlamentari dai rispettivi Capo Gruppo, a poche ore dalla votazione, con la logica del “pizzino”, ovvero – in versione digitale moderna – del messaggio whatsapp arrivato all’ultimo minuto (così è avvenuto tre anni fa, come ha denunciato anche un qualche parlamentare)…

È anche questo un tipico caso di “trasparenza a metà”, ovvero di procedura ipocrita dell’italico Stato: si invitano i cittadini a candidarsi, ma si sa benissimo che questi curricula non verranno nemmeno sfogliati, e l’eletta schiera è pre-determinata dalle segreterie di partito…

I curricula non vengono nemmeno presi in considerazione. I candidati vengono presi in giro. Il Paese stesso viene preso in giro.

Attendiamo di leggere il testo dell’avviso, domani mercoledì 31 marzo 2021.

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