“Contratto di servizio” nelle nebbie, riduzione dei ricavi pubblicitari, audience in calo, incerta modalità di riscossione del canone: il 2023 sarà per la Rai un anno di crisi acutissima.

Da molto tempo, anche su queste colonne, segnaliamo – anzi denunciamo – la complessiva indifferenza con cui il sistema della politica ed il sistema dei media affrontano il futuro del servizio pubblico radiotelevisivo in Italia.

È triste, ma è così.

E questa mattina se ne ha una riprova, sfogliando la rassegna stampa e web: centinaia di articoli dedicati all’annunciato ritorno di Fiorello su Rai2, e nessuno che si ponga quesiti come “il contratto di servizio a che punto è?” (non se ne ha pubblica notizia, da mesi) e “come verrà riscosso il canone dal 2023?” (dato che non potrà essere più associato alla bolletta elettrica, perché lo Stato italiano si deve adeguare alle direttive comunitarie che condannano l’utilizzo di ditte fornitrici dell’energia elettrica come esattori delle tasse)… Quesiti, questi due, che rappresentano soltanto la punta dell’iceberg di una deriva continua del servizio pubblico.

Nella precedente legislatura, due erano i parlamentari che erano emersi per intensità di interventi sulla Rai: senza dubbio il record lo detiene Michele Anzaldi di Italia Viva, che però non è stato rieletto; molto attivo anche Federico Mollicone, Responsabile Cultura di Fratelli d’Italia e da più fonti accreditato come possibile prossimo Ministro della Cultura…

Sia la politica sia i media non affrontano in Italia il tema “Rai” nella sua dimensione complessiva e globale.

La gran parte dei giornalisti si appassionano di tematiche interessanti, ma futili (correlate a singoli programmi), fatte salve poche eccezioni, da Andrea Biondi su “il Sole 24 Ore” a Claudio Plazzotta su “Italia Oggi”, senza dimenticare le testate specializzate come “VigilanzaTv” di Marco Zonetti ed la neonata “Tvmediaweb”, promossa da Patrizio Rossano e Marco Mele. Eppure le questioni di cui qui trattasi non sono di natura esclusivamente “economica”, perché la struttura di una industria culturale determina la sua sovrastruttura: l’offerta ovvero il palinsesto è il risultato di processi ideativi, produttivi, organizzativi, tecnologici, economici…

Il “caso Fiorello”: altro fumo negli occhi per distrarre dai veri problemi della Rai?

Affrontiamo (e liquidiamo subito) il “caso Fiorello”: questa mattina, in Consiglio di Amministrazione Carlo Fuortes ha spiegato di cosa si tratta, facendo chiarezza rispetto alle indiscrezioni dei giorni scorsi. Si chiamerà “Viva Rai2” il nuovo programma dell’artista, autore e intrattenitore per la Rai. Consisterà in 135 puntate e andrà in onda dal lunedì al venerdì dal 7 novembre su RaiPlay e dal 5 dicembre su Rai2, fino a giugno 2023. In palinsesto è posizionato nella fascia tra le 7 e le 8.30, con un orario preciso ancora da stabilire nei dettagli. Oltre che su RaiPlay il programma potrà essere ascoltato su RayPlaySoundRai Radio Tutta Italiana; inoltre il sabato e la domenica, su Radio2, “il meglio” della settimana.

Molti si sono appassionati ad una polemica infra-Rai, e – come scrive oggi Davide Maggio sul suo blog specialistico “La Tv Dietro le Quinte” – “dunque, è il Tg1 di Monica Maggioni, che non voleva perdere lo spazio di TgUnoMattina, a vincere il braccio di ferro con l’azienda che aveva deciso di programmare Fiorello su Rai1. Ora però il Tg1 se lo ritroverà contro rischiando di perdere ancora di più spettatori (ieri il 13,4 % per il TgUnomattina). Di conseguenza è cambiato anche il titolo dello show: da “Viva Asiago 10” a “Viva Rai2”

Come sintetizza accuratamente il Redattore Anonimo di “BloggoRai”: allora estrapoliamo le frasi topiche in sequenza: “il Comitato di redazione del Tg1 esprime tutto il suo sconcerto e la sua totale contrarietà nell’apprendere del possibile approdo di un programma satirico di intrattenimento, guidato da Fiorello…” e poi “questa decisione semplicemente non può essere accettata, né tantomeno imposta, e rappresenta uno sfregio al nostro impegno quotidiano” (comunicato Cdr del Tg1 di lunedì scorso). Segue a ruota un comunicato dell’Adrai, l’associazione dei dirigenti Rai (inedito e anomalo: per la prima volta interviene su un programma specifico): “Si esprime il più totale sconcerto alle dichiarazioni del Cdr del Tg1…il progetto di spettacolo a cui si sta lavorando sarebbe una grande operazione industriale e di marketing … i dirigenti Rai hanno la responsabilità di definire le strategie aziendali …”.

Queste piccole vicende sono sintomatiche di una dinamica “pagliuzza” versus “trave”.

Dal 2019 al 2022, fuga dalla tv generalista: – 4 milioni di spettatori

Ed è Claudio Plazzotta su “Italia Oggi” a mettere il dito su due piaghe (anche dal punto di vista della Rai), in due articoli: nel primo, si segnala (secondo i dati Auditel) la fuga dalle tv generaliste registrata nel mese di settembre rispetto l’analogo periodo pre-Covid del 2019; si è passati da 22,5 milioni di spettatori a 18,6 milioni, con un decremento del 17,2 % – ovvero meno 4 milioni di telespettatori – e con perdite in particolare per la Rai, superata nel totale degli ascolti dai canali Mediaset, e un calo preoccupante per Rai Due, ed il sorpasso di Mediaset sul servizio pubblico nel settembre 2022, con 37,3 % di share di Cologno a fronte del 36,3 % di Viale Mazzini in prima serata (in seconda serata, siamo addirittura a 40 % versus 30%!); il secondo articolo segnala la crescita di Netflix, che a livello planetario ha fatto registrare 2,41 milioni di sottoscrittori in più nell’ultimo trimestre con un aumento dei ricavi del 6 %. L’annuncio che presto Netflix proporrà abbonamenti con inserti pubblicitari riducendone il prezzo, provocherà una riduzione dei ricavi pubblicitari delle tv generaliste…

Questioni come quelle sollevate dal Plazzotta entrano nel dibattito pubblico, mediale e politico, sulla Rai?

La risposta è semplice e netta: no.

Prevale, anche rispetto alla Rai, inerzia, conservazione, deriva.

Il leader della Lega Matteo Salvini ribadisce la volontà di abolire il canone Rai

E, su temi delicati come il finanziamento del servizio radiotelevisivo pubblico, prevalgono le tesi ad effetto: in diretta su Facebook, il leader della Lega Matteo Salvini ha ribadito ieri la volontà di abolire il canone Rai. Queste le sue parole: “cancellare il canone Rai? Assolutamente sì, anche perché guardando certi programmi della Rai, ti vien da domandarti ma perché gli italiani devono pagare certi professionisti o presunti tali di sinistra che fanno comizi in Rai?”. E, ancora: “lavoreremo affinché la televisione pubblica non gravi sulle spalle dei cittadini”.

Con quale modalità non è dato sapere: come abbiamo già segnalato settimane fa, è passata inosservata la notizia della possibile “regionalizzazione del canone” (si veda il nostro intervento su “Key4biz” del 9 agosto 2022, “Rai, la proposta: “Regionalizzarla insieme al canone”. Di cosa si tratta?”), anche se qualcuno osserva che non avere il canone in bolletta per alcuni sarebbe scomodo in quanto non consentirebbe la rateizzazione. Si ricordi infatti che il canone, quando veniva riscosso attraverso la bolletta, veniva suddiviso in dieci bollette e quindi il pagamento dello stesso era quasi inavvertito dalle famiglie (9 euro al mese). La regionalizzazione potrebbe determinare che esso venga addebitato tramite l’ente e si debba pagare con il modello F24.

Una abolizione totale potrebbe concretizzarsi soltanto con la definizione, nel bilancio dello Stato, di una posta specifica a favore del finanziamento del servizio radiotelevisivo pubblico, ma questa soluzione sarebbe – più di quella attuale – soggetta agli umori delle maggioranze, e ridurrebbe oltre la già modesta stabilità di certezza di risorse della Rai, impedendole una programmazione di medio periodo…

Porta acqua al mulino salviniano della Rai “sinistrorsa” Giorgio Gandola, che, due giorni fa (martedì 18), su “LaVerità” titolava “In Rai l’hanno presa bene: ‘Sono fasci e talebani’, ‘Brividi’, ‘Valanga nera’” e sosteneva: “i giornalisti della tv pubblica a ruota libera sui social, con insulti ai presidenti di Camera e Senato. Le offese finiscono sulla scrivania di Fuortes, che nicchia”. Federico Mollicone (vedi supra) e Daniela Santanché – entrambi componenti della Commissione bicamerale di Vigilanza sulla Rai – hanno richiesto che “intervenga immediatamente l’Ad Fuortes sul grave caso di Carmela Giglio e Sandra Cecchi che sui loro social hanno insultato le istituzioni di Camera e Senato con un linguaggio d’odio… Anche sui social personali dei giornalisti bisogna garantire il rispetto della deontologia professionale”, come già approvato in una risoluzione in Vigilanza. Sandra Cecchi, giornalista del TgR, ha scritto “agghiacciata da La Russa e Fontana. Not in my name”; Carmela Giglio, corrispondente da Istanbul, ritwitta “una Camera ai fasci e l’altra ai talebani. A posto”.

Non è un bel clima…

Un 2023 anno incerto e cupo per la Rai, se non interverranno in aiuto Governo e Parlamento

Attendiamo di conoscere chi deciderà di nominare Giorgia Meloni alla guida del Ministero della Cultura e del Ministero dello Sviluppo Economico (si ricordi che il “contratto di servizio” è firmato giustappunto tra Mise e Rai): e magari fosse che la Premier in pectore accogliesse la proposta che le abbiamo manifestato ieri su “Key4biz”, con una “lettera aperta” con la quale prospettiamo la costituzione di un nuovo dicastero, il Ministero per la Cultura, i Media, il Digitale, che potrebbe finalmente affrontare anche il tema Rai in una ottica sistemica, organica, strategica (vedi “Key4biz” del 19 ottobre 2022, “Lettera aperta alla futura Premier Giorgia Meloni: istituire un Ministero per la Cultura, i Media e il Digitale”).

Se la competenza Rai resterà invece nell’ambito del Mise, merita essere segnalato che non abbiamo traccia storica di prese di posizione dell’ex e forse neo-ministro Giancarlo Giorgetti in materia di canone ovvero di sua eventuale abolizione: d’altronde è ben noto che Salvini e Giorgetti, anche nell’economia interna della Lega, non sono sempre esattamente in sintonia…

Si ricordi peraltro che il pagamento del canone attraverso il bollettino della luce ha ridotto l’evasione ed aumentato il gettito, ma gli incassi aggiuntivi non sono stati però tutti lasciati alla Rai, bensì dirottati su un Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione. In totale sono 110 milioni di euro l’anno, con i quali vengono beneficiate centinaia di televisioni e radio locali e un gruppo di periodici e giornali, da “Dolomiten” a “Famiglia Cristiana” ed “Avvenire”, “il Manifesto”, “Il Secolo d’Italia”, “Italia Oggi”, “Libero” e “il Foglio” (alcune briciole vanno anche alla stampa degli e per gli italiani all’estero). L’Amministratore Delegato della tv pubblica, Carlo Fuortes confidava di poter contare su quelle risorse per mettere a posto i conti della Rai, ma Governo e Parlamento non gli hanno prestato ascolto…

Ed il bilancio 2022 di Viale Mazzini non sarà certo roseo: si ricordi che è stato ulteriormente abbassato dal 7 per cento al 6 il tetto all’affollamento pubblicitario, cioè la quantità trasmissibile di spot nell’arco della programmazione giornaliera. E la raccolta pubblicitaria della Rai sarà indebolita a causa della esclusione della nazionale italiana dai Mondiali di Calcio d’autunno di cui la Rai si è assicurata i diritti di trasmissione…

Contratto di servizio nelle nebbie, riduzione dei ricavi pubblicitariaudience in calo, incerta modalità di riscossione del canone: se non interverrà un Governo deciso a rilanciare il senso del servizio pubblico radiotelevisivo il 2023 potrebbe essere per la Rai un anno di crisi acutissima.

E, nei corridoi di Palazzo, si vocifera già che, a seguito del cambio di governo, l’Amministratore Carlo Fuortes sarebbe disponibile a dimettersi dalla Rai, ma “in cambio” vorrebbe un incarico di non minor prestigio, quale potrebbe essere la Presidenza dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni… Si ricordi che Giacomo Lasorella, già Vice Segretario Generale della Camera, è stato designato nell’agosto di 2 anni fa, ed il mandato dei consiglieri Agcom è di 7 anni… Ma per l’attuale Presidente dell’Agcom potrebbe essere imminente un altro incarico istituzionale – ancora più importante – nel Governo in gestazione.