La vicenda del “Cinema America” è veramente sintomatica delle contrapposizioni ideologiche che caratterizzano l’analisi delle politiche culturali e delle economie mediali, ed emblematica del complessivo deficit di visione organica e strategica: si sono venuti a determinare, nel corso degli anni, due veri e propri “schieramenti”, l’un contro l’altro armati di debole dialettica. Da una parte, un gruppo di giovani attivisti che dapprima prendono possesso di un cinema abbandonato nel centralissimo quartiere romano Trastevere, con la logica “liberatoria” (ed anarcoide) dei centri sociali, poi divengono animatori di “cinema in piazza”, poi, benedetti da una parte delle istituzioni (la Regione Lazio, più che il Comune di Roma), divengono gestori di una sala di proprietà pubblica che viene loro assegnata con una procedura – secondo alcuni – assai agevolata. E nonostante gli ex “rivoluzionari” stiano per entrare nel tanto contestato “sistema” (tra qualche mese, saranno anche loro esercenti e – si presuppone – sottoposti alle regole generali del mercato), decidono di promuovere proiezioni gratuite in piazza, allorquando, a pochi giorni dalla “riapertura” teorica dei cinematografi (lunedì 15 giugno) consentita dal Governo, in tutta la città di Roma sono stati riaperti – incredibilmente! – soltanto 3 cinema tre (la storica monosala del Cinema Farnese al Centro Storico, la multisala Madison alla Garbatella, il multiplex Uci nel periferico centro commerciale Porta di Roma; se si guardano i dati degli incassi dei primi giorni… viene veramente da piangere!). Dall’altra parte, l’associazione nazionale degli esercenti cinematografici (Anec) e la sua filiazione regionale (Anec Lazio), che denuncia lo scandalo economico, oltre che la provocazione cultural-imprenditoriale: se i cinematografi tradizionali sono con l’acqua alla gola (le misure anti-pandemia riducono il numero dei potenziali spettatori e determinano costi imprevisti, senza dimenticare il crash delle uscite, con le società di distribuzione che preferiscono attendere l’autunno, e quindi con modesta attuale disponibilità di titoli appetibili), perché la “mano pubblica” (Ministero, Regione, Comune, finanche Municipio) sostiene una iniziativa – come quella dei “ragazzi del Cinema America” – che inevitabilmente finisce per porsi “concorrenzialmente”?! I “ragazzi del Cinema America” sostengono che loro fanno “altro”, che le loro proiezioni sono gratuite, sono evento sociale, sono rigenerazione urbana, e che comunque pagano qualche soldo ai distributori cinematografici, per ottenere i diritti a proiettare i titoli, che sono per la gran parte di film che sono stati abbondantemente sfruttati dal mercato (“theatrical”, “pay tv”, “free tv”, “dvd”, “streaming”…).

Oggettivamente, però, i “ragazzi del Cinema America” beneficiano di molti sostegni istituzionali, anche grazie alla loro militanza politica (si è addirittura ipotizzato che il loro leader Valerio Carocci possa essere il prossimo candidato del Partito Democratico alle elezioni del sindaco di Roma, che si terranno nella primavera del 2021). La ragione non è da una parte né dall’altra, ma va denunciato che lo Stato (il Mibact, in primis) ha assistito passivamente allo scontro, che è ideologico, culturale, economico: in una situazione di così grave crisi, lo Stato avrebbe dovuto iniettare nel sistema nazionale dell’esercizio decine di milioni di euro per interventi urgenti e radicali (per agevolazioni di varia natura, ben oltre il solito strumento del “tax credit”), a partire da una nuova immediata e robusta campagna per la promozione del cinema in sala (ben oltre la tanto decantata iniziativa “Moviement”, di cui hanno beneficiato soprattutto le solite “major” americane); al contempo, avrebbe dovuto operativamente convocare a Santa Croce in Gerusalemme (sede della Direzione Cinema e Audiovisivo) una serie di riunioni tra i “player” per stimolare le società di distribuzione a rendere disponibili i titoli che sono stati “congelati” nei listini, da marzo a giugno 2020, mettendo sul tavolo contributi pubblici che evitassero di rimandare tutto all’autunno. Questo possibile impegno intenso e deciso non c’è stato, ed allora si ascolta il pianto degli esercenti cinematografici, da un lato, e l’entusiasmo degli attivisti socio-culturali. Crediamo che, più delle nostre noterelle, conti quel che ci ha scritto un esercente, sofferente ed insofferente, leggendo un nostro articolo sulla vicenda sul quotidiano online “Key4biz”: “Da anni, gestisco un cinematografo, che, da indipendente, lotta, ma io non ho mai ricevuto 1 milione di euro per ristrutturare la mia sala, né 200mila euro ogni anno per fare programmazione. Io pago 100mila euro di affitto l’anno, e non ho ricevuto alcuno sconto. Nemmeno per la pandemia. Ho richiesto il contributo alla Regione del 40 %, e, se riuscirò a pagare l’affitto dei mesi di marzo aprile e maggio, prenderò il recupero del credito d’imposta del restante 60 %, che farà parte della ‘collezione dei crediti’, che continuo ad accumulare senza sapere a chi poterli cedere (fossero almeno cedibili ai soci… mi risparmierei di pagare le tasse, invece mi toccheranno anche quelle). Sono ancora in attesa di ricevere il contributo “d’essai” Mibact per l’anno 2018. Sono stato costretto a chiedere un appuntamento in banca per un novello fido, altrimenti non ho neanche i soldi per tirare su la serranda. E, ad ogni Natale, un buon titolo per il mio cinema non c’è. Ogni santissimo ponte o weekend lungo, debbo sempre tribolare per avere un film a cui da indipendente sono negati tutti i film. Nonostante tutto questo, gli ‘arrabbiati’ sono i ragazzi del cinema America?!”. Ho pensato di fare mie queste parole di “vita vissuta” e di condividerle con Diari di Cineclub: sono esemplificative dei deprimenti risultati di una cattiva gestione della politica culturale nazionale. La desertificazione culturale del Paese continua senza soste, con interventi estemporanei (pannicelli caldi) e l’assenza di una politica organica. Nelle metropoli (Roma in primis) continuano a chiudere cinematografi, teatri, librerie, nell’indifferenza sostanziale (a parole, invece, tutti… solidali!) delle istituzioni, ed anche in provincia sono pochi gli esercenti indipendenti che resistono alle dinamiche di concentrazione dei multiplex (che notoriamente non espandono granché lo spettro dell’offerta cinematografica). La Rai non muove un dito per stimolare la fruizione cinematografica in sala. E che dire della “cultura popolare” – veicolata dai media “mainstrem” anche – che stimola sempre più a fruire di audiovisivo più mediato dal web?! Nessuno afferma, in Italia, con la necessaria forza, con l’opportuno convincimento, che “il cinema” è veramente cinema soltanto nella magia della sala cinematografica, del grande schermo sociale, luogo altro rispetto alla dimensione individuale e domestica (nonostante gli schermi ad alta definizione da settanta pollici ormai acquistabili con poche centinaia di euro). Il resto – dall’“home entertainment” alla fruizione sul cellulare – è senza dubbio interessante, valido, prezioso, finanche innovativo, ma è – giustappunto – altro: il vero cinema è cinema nei cinematografi. Così è nato il cinema e così resisterà, se qualcuno non gli toglierà definitivamente l’ossigeno. La nota lamentazione ed invocazione di Gino Bartali ci sembra appropriata, per descrivere il disastro in atto in Italia (che pochi in verità sembrano voler vedere ed assai pochi denunciano): L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare. Temiamo che il titolare del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, Dario Franceschini, la pensi proprio all’opposto, anch’egli irretito dalla fascinazione del web, arrivando a teorizzare addirittura una improbabile Netflix italiana per la cultura…

L’autore: Angelo Zaccone Teodosi – Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult.

Classe 1960, romano, consulente indipendente e giornalista specializzato, esperto in ricerche socio-economiche, con particolare attenzione alle politiche culturali e sociali ed alle economie mediali, alle analisi scenaristiche comparative internazionali, alle strategie di sviluppo ed al marketing; nel corso di trent’anni di attività professionale, è stato anche consulente ed esperto indipendente per vari ministri, sottosegretari, assessori; è stato Direttore dell’Ufficio Studi dell’Anica, nonché il più giovane Consigliere di Amministrazione nella storia di Cinecittà; ha maturato esperienze come organizzatore culturale, dirigente, imprenditore, docente universitario, convegnista; laureato alla Luiss a pieni voti con una tesi sul marketing internazionale delle telenovelas, diplomato in organizzazione della produzione cine-audiovisiva al Centro Sperimentale di Cinematografia; iscritto all’Ordine dei Giornalisti dal 1983

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– Link al file in formato .pdf dell’intera edizione della rivista “I quaderni di cineclub”, numero 85, luglio 2020