Da Key4biz (31/10/24): La deriva della Rai, le criticità della “riforma Borgonzoni” del settore cine-audiovisivo ed il deficit di conoscenza
Si continua a (mal) governare le politiche culturali e mediali, a causa di prassi approssimative e di assenza di adeguati strumenti di analisi e valutazione. Gli “Stati Generali” voluti dalla Presidente della Vigilanza Barbara Floridia il 6 e 7 novembre come occasione di “dialogo” per consentire alla maggioranza l’elezione di Simona Agnes alla presidenza della Rai?
Nell’edizione di ieri, mercoledì 30 ottobre, di questa rubrica curata dall’IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale, centro di ricerca indipendente, per il quotidiano online “Key4biz” (rubrica unica, rispetto alle politiche culturali e le economie mediali e le dinamiche sociali, nel panorama giornalistico italiano), abbiamo affrontato due tematiche legate tra loro da un “fil rouge”: la riforma della Rai e la riforma della Legge Franceschini sul cinema e audiovisivo. Vedi “Key4biz” del 30 ottobre 2024, “Rai e Ministero della Cultura: tra passerelle, ritualità politiche e nuovi ricorsi al Tar”.
Entrambe le tematiche (Rai e settore cine-audiovisivo) versano in condizione di grave deficit di conoscenza: come abbiamo segnalato ieri su queste colonne, da molti anni Viale Mazzini non sviluppa più ricerche comparative a livello internazionale sui “public service broadcaster” ovvero – ormai – sui “public service media” – e la questione non ha peraltro attratto l’attenzione dell’accademia né di altri soggetti italici, a distanza di ormai quasi dieci anni dall’entrata in vigore della cosiddetta “Legge Renzi” (la n. 220 del 2015); stesso problema si riscontra nell’ambito del Ministero della Cultura, che ha (mal) governato la cosiddetta “Legge Franceschini” (la n. 220 del 2016), che regola l’intervento dello Stato nel settore cine-audiovisivo…
Se la deriva della Rai, della sua funzione istituzionale e delle sue capacità di mercato, è ormai sempre più evidente (sia in termini di offerta di palinsesto sia in termini di fruizione), così come la sua perdurante sudditanza rispetto alla politica (basti ricordare la indegna procedura di cooptazione discrezionale –mascherata da “elezione” – dei membri del Consiglio di Amministrazione messa in atto dal Parlamento il 26 settembre scorso, ignorando le previsioni dell’Unione Europea a partire dall’“European Media Freedom Act” alias “Emfa”, e bypassando minime regole di trasparenza), è sempre più evidente anche la crisi del settore cine-audiovisivo, ovvero delle procedure con cui il Ministero della Cultura (specificamente la Direzione Cinema e Audiovisivo) eroga contributi agli operatori, artistici ed imprenditoriali.
Il “filo rosso” che lega questi due settori (senza entrare nel merito di altre interazioni: basti ricordare il ruolo improprio assunto da Rai Cinema nel finanziare il settore cinematografico…) è il deficit di conoscenze: esso emerge inequivocabile anche dalle tante contraddizioni che caratterizzano la politica culturale e l’economia mediale del nostro Paese.
Come abbiamo scritto ieri (e non siamo stati gli unici) “molte parole”, tante e confuse, in occasione del convegno promosso dal think-tank “Eurovisioni” martedì 29 a Palazzo Farnese…
E temiamo che questa ritualità evanescente possa riprodursi in settimana prossima, in occasione dell’incontro intitolato “Le sfide del servizio pubblico”, ormai noto coll’altisonante quanto improprio titolo di “Stati Generali della Rai”, previsto in Senato per mercoledì 6 e giovedì 7 novembre, iniziativa fortemente voluta dalla pentastellata Presidente della Commissione di Vigilanza Rai Barbara Floridia…
Si segnala en passant che, ad oggi, il programma definitivo dell’incontro non è stato reso di pubblico dominio, ed anche questo è un rinnovato segnale delle logiche di approssimazione, ovvero della gestazione “a porte chiuse”, tipica della partitocrazia autoreferenziale… Sulle pagine “social” della Presidente Floridia (Facebook, Instagram, X…), appare ad oggi soltanto la “copertina” dell’evento…
IsICult ha comunque acquisito un file in formato .pdf che si presuppone essere definitivo (o semi-definitivo) e lo pubblica… “in anteprima” (si veda in calce): per alcuni aspetti, già il sottotitolo del convegno si commenta da solo, nel suo approccio generico assai: “Ripensare il servizio radiotelevisivo pubblico nell’era digitale, esplorando le sfide tecnologiche e l’influenza delle piattaforme globali, promuovere un’informazione indipendente e pluralista”… E su tutto campeggia “su iniziativa della Presidente Barbara Floridia”, con tanto di riproduzione della firma calligrafa.
Quindi non si tratta di una iniziativa della Commissione Bicamerale, ma di un’iniziativa – per così dire… –“personale” della Presidente della stessa: non si tratta di un dettaglio da poco.
Barbara Floridia, Presidente della Commissione Vigilanza, cerca un compromesso per “consentire” alla maggioranza di centro-destra di raggiungere il quorum dei due terzi dei commissari e quindi confermare Simona Agnes come Presidente della Rai: quale sarà il… “do ut des”?!
Si legge nella presentazione di Barbara Floridia: “Le sfide del Servizio Pubblico rappresenta un evento di fondamentale importanza, articolato in una due giorni dedicata a ridefinire il concetto di servizio pubblico nel contesto contemporaneo. L’iniziativa nasce con l’obiettivo di esplorare le sfide che il servizio pubblico radiotelevisivo affronta nel nuovo ecosistema digitale, caratterizzato da rapide trasformazioni tecnologiche, nuovi modelli di consumo e la crescente influenza delle piattaforme globali. Nel corso della due giorni inoltre, esperti del settore, rappresentanti istituzionali, accademici e operatori del mondo dell’informazione e della comunicazione si confronteranno per riflettere sulla necessità di adeguare il servizio pubblico ai principi del Media Freedom Act europeo. L’obiettivo è quello di promuovere un dialogo costruttivo e partecipato, volto a tracciare un percorso di svolta che risponda alle esigenze della società contemporanea, tutelando l’indipendenza, la qualità e la pluralità dell’informazione pubblica”.
Da osservare che la Presidente della Vigilanza curiosamente cita quel “Media Freedom Act” le cui regole (di trasparenza e di indipendenza e di valutazione comparativa dei curricula) sono state platealmente violate dal Parlamento stesso in occasione della pseudo-elezione, di fatto una mera cooptazione politica, del 26 settembre 2024…
Secondo alcuni osservatori, l’iniziativa corre il rischio di rivelarsi giustappunto una passerella iconico-relazionale, sostanzialmente finalizzata a definire un “accordo” trans-partitico per superare l’impasse in atto da settimane, rispetto alla presidenza di Viale Mazzini, che i più (ovvero la maggioranza) vorrebbero affidata alla consigliera Simona Agnes – “in quota” Forza Italia – consigliera “non eletta” ma designata dal Mef a prendere le redini del Cda… Si ricordi che i 4 membri del Cda eletti dal Parlamento il 26 settembre sono: Federica Frangi “in quota” Fratelli d’Italia, Antonio Marano “in quota” Lega, Roberto Natale “in quota” Alleanza Verdi Sinistra, Alessandro Di Majo “in quota” M5s (già consigliere dal 2021)… Di fatto, ad oggi, Forza Italia non ha un “proprio” consigliere nel Cda Rai…
Il “pallottoliere”, ad oggi, non garantisce che in Commissione di Vigilanza si raggiunga la maggioranza richiesta per legge: la Renzi prevede che si debba raggiungere il quorum dei due terzi del totale dei 42 membri della Vigilanza, tra 21 deputati e 21 senatori, ovvero 28 parlamentari.
Al momento, i partiti di centro-destra possono contare su 25 commissari e quindi hanno necessità di almeno altri 3 voti per poter eleggere Agnes.
Mancano quindi almeno 3 voti… “ad oggi”, appunto… Magari venerdì prossimo 8 novembre (l’indomani rispetto al convegno), l’accordo sarà stato raggiunto, sulla base di quale “do ut des” non si saprà mai…
Dietro la “facciata” del bel convegno istituzionale, con tanti ministri e qualificati operatori (nessuno – però, si noti – con posizioni critiche sulla Rai così com’è), ci sarà quindi verosimilmente un “dietro le quinte” di intrecci relazionali, nelle felpate stanze di Palazzo Giustiniani…
Come commentare, in effetti, la dichiarazione di ieri della Presidente Barbara Floridia, rispetto al “caso Agnes”?! Estrapoliamo da un dispaccio dell’agenzia stampa AgenParl, che ha rilanciato un suo intervento a “Un giorno da pecora”, trasmissione di Rai Radio1: “qualcosa non quadra, il Presidente deve essere condiviso con le opposizioni… Se noi non vogliamo Simona Agnes? Non è che non si vuole la dottoressa Agnes, ma è corretto che la maggioranza condivida con l´opposizione la scelta… Serve un dialogo, in Commissione non è stato finora possibile e quindi mi sono inventata gli Stati Generali del Servizio Pubblico per provare a parlarci, il 6 e 7 novembre”.
Si noti bene: dice Floridia, “inventata”.
E alla domanda esplicita “quindi voi non voterete Simona Agnes?” così risponde, con stile che non può non essere definito… “democristiano” (un “mood” certamente anni-luce lontano da quello del Movimento 5 Stelle delle origini): “finché non ci sarà un dialogo corretto e definito, in serenità, tra maggioranza e opposizione, non ci muoviamo e non votiamo”.
Come dire?! “in assenza” di dialogo in Commissione… la Presidente della Commissione organizza un simpatico convegno per addivenire ad una “ratifica” consensuale?!
In Italia, continua a mancare la volontà e la capacità di studiare, analizzare, valutare seriamente le politiche pubbliche
Quel che manca in Italia, che continua a mancare, è la volontà e la capacità di studiare, analizzare, valutare seriamente le politiche pubbliche: se la criticità è presente in tutti i settori (dalla sanità alla scuola), nello specifico delle politiche culturali e mediali la situazione appare particolarmente grave.
Un esempio, tra i tanti: alcuni anni fa, in occasione di un incontro tecnico presso la sede romana della Lega con un gruppo di operatori del settore cine-audiovisivo, dimostrammo al leader Matteo Salvini che la quantificazione, nell’economia del “Pnrr”, di 300 milioni di euro a favore di Cinecittà era avvenuta con una logica del tutto… nasometrica: avrebbero potuto essere 100 milioni o finanche 1 miliardo, dato che nessuno aveva condotto studi di scenario ed analisi di mercato che potessero – anche soltanto indicativamente – confermare la correttezza dell’allocazione (e della quantificazione) delle risorse pubbliche, ovvero del ruolo potenziale degli “studios” nell’economia complessiva del sistema audiovisivo nazionale (vedi “Key4biz” del 28 maggio 2021, “La Lega si interessa (finalmente) di cultura, cinema e audiovisivo”). L’attuale Vice Presidente del Consiglio Matteo Salvini concordò sulle nostre critiche, ma non ci sembra che, da quando la Lega è al Governo, ci sia stata una svolta “tecnocratica” nelle politiche culturali nazionali…
Stessa dinamica è avvenuta rispetto alla quantificazione delle risorse per la Rai: la scellerata decisione (dovuta soprattutto alla Lega di Salvini, ma anche al leader di Italia Viva Matteo Renzi) di ridurre l’entità del canone (per quanto inserito obbligatoriamente nella bolletta elettrica, per superare il problema acuto dell’evasione) è stata correlata ad una analisi accurata dei fabbisogni – contingenti e prospettici – del servizio pubblico radiotelevisivo?! No. Anche in questo caso, nasometria.
Stessa patologia per quel che è avvenuto nel settore cine-audiovisivo con il “tax credit”: prima tanto decantato, con entusiasmo, e da un anno e mezzo sottoposto a… revisione (ma soltanto dopo la “scoperta” da parte dell’ex Ministro Gennaro Sangiuliano – Fratelli d’Italia – che “qualcosa” non andava), con la “riforma Borgonzoni” della “legge Franceschini”: riforma messa in cantiere dopo adeguate valutazioni di impatto?! No. Anche in questo caso, spannometria.
Con i risultati che ora sono (ormai) sotto gli occhi di tutti: s’è “scoperto” un buco di bilancio che può essere stimato tra i 600 milioni di euro ed 1 miliardo, nella (cattiva) gestione dei primi 8 anni della “Legge Franceschini” (2017-2024)…
E chi ha deciso – e perché?! – che il Fondo Cinema e Audiovisivo creato dalla “Legge Franceschini” dovesse essere sempre più squilibrato a favore del “credito di imposta” rispetto ai “contributi selettivi”?
Ciò è avvenuto alla luce di… studi, analisi, indagini?
Perché il 47 % della dotazione totale del “tax credit” (2,1 miliardi di euro dal 2017 al 2024) è andato a favore della televisione, a fronte del 31 % soltanto del cinema?
L’Istituto italiano per l’Industria Culturale ha dimostrato ieri l’altro su queste colonne come, nel periodo 2017-2024, gli oltre 2 miliardi di euro assegnati dal Ministero della Cultura al “Tax Credit” siano andati prevalentemente a favore della produzione di “fiction” televisiva piuttosto che di “film” cinematografici: 1.008 milioni di euro la fiction, 659 milioni il cinema-cinema…
Naturale sorge il quesito: “chi” ha deciso e (soprattutto) “perché” che il 47 % della dotazione totale del credito d’imposta dovesse andare a favore della televisione, a fronte del 31 % soltanto del cinema?
Senza dimenticare i ben 323 milioni a favore delle opere straniere girate in Italia (altra questione dolente, con la logica del “prendi i soldi e scappa”…) ed i 61 milioni di euro destinati ai videogames e gli altri 61 milioni di euro per il cosiddetto tax credit “esterno”.
In argomento, si rimanda alla tabella – inedita – pubblicata su “Key4biz” del 29 ottobre 2024, “Il Ministero della Cultura rivela a “Quarta Repubblica” che 130 film di 21 società di produzione cine-audiovisiva segnalati alla Guardia di Finanza”.
Questa ripartizione delle risorse – questa allocazione del danaro dello Stato – è avvenuta sulla base di un qualche criterio tecnico o piuttosto di mere impressioni del “decision maker” di turno?!
Purtroppo il Governo guidato da Giorgia Meloni da fine ottobre 2022 si è dimostrato in una linea di continuità rispetto ai precedenti esecutivi, in materia di tecnicalità del “policy making”, e non ha messo mano al principale, essenziale, fondamentale problema di fondo: la carenza di strumenti di navigazione, che determina inevitabilmente la riproduzione di… “rotte” da… “vascello ubriaco”.
Per queste ragioni chi cura questa rubrica – e studia la politica culturale da oltre trent’anni – si vive un conato di noia, stanchezza, distacco… di fronte all’ennesimo convegno, nel quale i politici di professione verranno verosimilmente ad esporre idee generiche e tesi evanescenti.
Nessuno di loro dispone di una “cassetta degli attrezzi” minimamente adeguata, e quindi procede in modo inevitabilmente approssimativo…
Per quanto riguarda specificamente la Rai, da anni sia la Direzione Marketing sia l’Ufficio Studi hanno sostanzialmente ignorato le analisi comparative internazionali, come se l’analisi del “benchmark” in Paesi come la Francia, il Regno Unito, la Germania, la Spagna non potesse fornire stimoli adeguati…
Meglio chiudersi in sé stessi e… contemplare serenamente il proprio ombelico?! Anche quando non è esattamente pulito?!
Il “vascello ubriaco” della politica culturale italiana continua a muoversi su rotte perigliose
E questa carenza di conoscenza, di dati e di analisi, si ripropone anche quando l’Amministrazione deve rendere concreta la fumosa “linea politica” decisa dal Ministro in carica: la riforma della Legge Franceschini, affidata dall’ex Ministro Gennaro Sangiuliano alla regia della leghista Lucia Borgonzoni (incarico confermato qualche settimana fa dal successore Alessandro Giuli), si sta concretizzando in queste settimane (a partire dal 10 luglio 2024, con l’ormai famigerato decreto “interministeriale” co-firmato dall’ex Ministro Gennaro Sangiuliano ed al suo collega Giancarlo Giorgetti…), con una serie di decreti attuativi ovvero i “direttoriali” firmati dal Dg Nicola Borrelli, emanati negli ultimi tre mesi (da agosto ad ottobre)…
Decreti direttoriali che – al di là dell’approccio barocco dei testi, di una tortuosa complessità, con ampi margini di possibili interpretazioni – vengono ora sottoposti al vaglio del Tribunale Amministrativo, affinché faccia dapprima chiarezza e poi giustizia, perché si ha ragione di ritenere che possano finire per penalizzare i piccoli imprenditori e la produzione indipendente. Senza peraltro toccare i poteri forti, ovvero i “big player”, i grossi produttori (anzitutto televisivi) e le multinazionali dell’audiovisivo…
Pessima la “linea politica”, e pessima la “traduzione” in linguaggio giuridico ed operativo.
Il “vascello ubriaco” della politica culturale italiana continua a muoversi su rotte perigliose: nella migliore delle ipotesi, è destinato ad incagliarsi su imprevisti fondali bassi…
Clicca qui, per il programma del convegno “Le sfide del servizio pubblico” (sottotitolo: “Ripensare il servizio radiotelevisivo pubblico nell’era digitale, esplorando le sfide tecnologiche e l’influenza delle piattaforme globali, promuovere un’informazione indipendente e pluralista”), Senato della Repubblica, Sala Zuccari, Palazzo Giustiniani, Roma, 6 e 7 novembre 2024.
[ Note: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale”. ]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz” (ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale).
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