Il trapasso di anno tra il 2020 ed il 2021 resterà certamente nei libri di storia, in quest’Italia paralizzata dalle norme – isteriche e contraddittorie – imposte da un Governo per “proteggerci” dalla pandemia Covid-19, un Governo che versa in uno stato di discreta confusione, ed emana norme che invadono prepotentemente la vita privata dei cittadini, in nome di una tutela prioritaria della salute nazionale la cui logica complessiva sfugge ai più.

Il sistema culturale, uno dei più preziosi della socio-economia nazionale, resta debole, fragile, paralizzato, in crisi acuta e perdurante, e gli annunci di “ristori” del Governo (che vengono rinnovati a cadenza quasi quotidiana, con fuochi d’artificio numerici) sembrano quasi un tentativo di contenere la rabbia degli operatori del settore: lenitivi o palliativi?!

Quel che appare evidente è la quantità notevole di “contraddizioni interne” che possono essere riscontrate analizzando in modo serenamente critico le norme imposte dal Governo: perché diavolo il cittadino non deve essere libero di sorbirsi un cappuccino all’interno di un bar, se in quel locale si rispettano le norme di precauzione sanitaria e di distanziamento fisico?! Quale è la “ratio” di questo surreale divieto?!

E perché i cinematografi ed i teatri debbono restare chiusi, se all’interno di quei locali si rispettano le norme precauzionali, e se peraltro è stato dimostrato (da uno studio promosso dall’Agis) che nessun caso di contagio sia stato provocato in quegli ambienti?! E che dire – ancora – della chiusura totale dei musei?!

Decine sono le norme che appaiono dettate da un approccio isterico e repressivo (secondo alcuni con evidenti profili di incostituzionalità), senza alcun senso logico.

Su queste colonne, abbiamo seguito con cura e con attenzione tutta la vicenda pandemica, fin dalla sua origine, con particolare attenzione alla dinamica della infodemia: sia sul primo fenomeno, sia sul secondo correlato fenomeno, abbiamo maturato l’impressione di un approccio governativo dettato più da umoralità che da razionalità.

Siamo stati tra coloro (e forse tra i primi) che, in occasione della quotidiana conferenza stampa della Protezione Civile, abbiamo posto l’esigenza di contemperare la logica “sanitaria” con la logica “sociale”, ovvero con un approccio organico ed olistico alla pandemia: ricordiamo con piacere che sia il Capo della Protezione Civile Angelo Borrelli sia lo stesso Presidente del Consiglio Giuseppe Conte hanno accolto l’istanza a fare in modo che “la regia” del governo della pandemia fosse aperta anche ad esperti altri rispetto ai virologi ed epidemiologi. La composizione del Comitato Tecnico Scientifico (Cts) è stata un po’ aperta a professionalità e visioni altre, sebbene con scarsi risultati, dato che il pluralismo interdisciplinare è stato esteso in modo assai limitato, senza dimenticare la gravità della tardiva trasparenza del suo operato (l’accesso ai verbali del Cts, che è rimasto “secretato” per mesi, e, poi, quando è stata decisa una tardiva desecretazione, molti anzi troppi son emersi gli “omissis”).

Ad un certo punto, però, il Governo (ovvero l’asse Premier-Ministro della Salute) ha deciso che il Comitato Tecnico Scientifico (Cts) dovesse essere accantonato (subordinato), e che subentrasse – come vero luogo di decisione – la “cabina di regia”, ovvero un organo di diretta emanazione del Ministro.

Alla “cabina di regia” non partecipa alcun sociologo, psicologo, mediologo, economista, ma dominano – ancora una volta – gli “scienziati della pandemia”.

Le conferenze stampa presso la Protezione Civile sono state sostituite da un paio di incontri a settimana presso la sede del Ministero della Salute, con due intervenienti soltanto: il Presidente dell’Istituto Superiore della Sanità – Iss Silvio Brusaferro (ormai famoso per l’eleganza dei suoi modi) e il Direttore della Prevenzione del Ministero Giovanni Rezza (nominato in piena pandemia, ad inizio maggio 2020).

Le conferenze del Ministero della Salute, tra “numerus clausus” e “conventio ad excludendum”

Conferenze stampa caratterizzate da “numerus clausus”… e curiosamente chi redige queste noterelle non ha avuto più chance di porre domande.

Questa “conventio ad excludendum” ha riguardato testate giornalistiche ben più note, qual è il settimanale d’avanguardia di informazione critica della Rai (forse l’unico programma Rai degno della qualifica di giornalismo investigativo), l’ormai imperdibile “Report” di Sigfrido Ranucci.

Stranamente anche altri giornalisti che erano ormai abituati a porre quesiti “impertinenti” sono stati esclusi: decisione di cui è certamente corresponsabile Cesare Buquicchio, il Capo Ufficio Stampa del Ministro Roberto Speranza, in evidente sintonia con la gestione “selettiva” del Portavoce del Premier, Rocco Casalino (sia il primo sia il secondo appaiono “in video”, allorquando officiano il rito delle conferenze dei rispettivi datori di lavoro).

La sensibilità di questo Esecutivo nei confronti degli operatori dell’informazione che non pendono dalle labbra del Premier o del Ministro di turno è veramente molto modesta.

Jana Gagliardi (Sky Tg24): la giornalista che incarna “l’Italia che non capisce” il Governo

E ben si ricorderà la reazione, non soltanto sgarbata ma quasi stizzita, che il Premier Giuseppe Conte ha manifestato in occasione della sua ultima conferenza stampa a Palazzo Chigi di martedì 19 dicembre scorso, allorquando una collega di “Sky Tg24” ha osato – udite udite – porre un paio di domande lievemente critiche: Jana Gagliardi (nomen omen?!) ha posto questioni semplici e di buon senso, senza vis polemica, ed il Presidente del Consiglio ha… negato l’evidenza, senza celare fastidio per questo sacrosanto esercizio di libertà.

La giornalista di Sky Italia ha chiesto delucidazioni in merito ai ritardi nella approvazione dell’ennesimo Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri: in sintesi, “Perché siete arrivati in piena notte con queste misure?”. Più esattamente: “Presidente, il ritardo di questa conferenza stampa e le parole che tutti gli italiani aspettavano da ore mi porta a chiederle: visto che le misure che voi dite che stanno così tanto funzionando portano l’Italia a un bilancio di morti così grave nel mondo, e le misure che sono le stesse che hanno riportato i giornali, visto che erano così attese da giorni perché siete arrivati a quest’ora di notte?”. La risposta ha veramente quasi dell’assurdo. “Lei la fa facile – ha risposto Conte – fosse stato per lei, avrebbe già disposto da tempo i ristori. Non c’è nessun ritardo nelle misure, che toccano un periodo dal 24 dicembre al 6 gennaio. Stasera il decreto va in gazzetta ufficiale, interveniamo preventivamente, e contemporaneamente mettiamo sul piatto 645 milioni”. Eppure, poco più di una settimana prima Palazzo Chigi aveva lasciato trapelare possibili aperture, sia nei confronti degli spostamenti, che negli ospiti permessi per il cenone natalizio. Poi la Gagliardi ha contestato il numero di 2 persone ospiti all’interno delle case: “Ma non si era detto che è incostituzionale controllare le abitazioni delle persone?”, ovvero “Lei ha parlato di due persone soltanto extra-conviventi da poter ospitare nelle case. Ma non si era detto che era impossibile controllare quello che fanno le persone, è incostituzionale, è illegale. Chiarisca meglio questo punto perché non l’abbiamo capito, o almeno io non l’ho capito…”. La replica del Premier lascia quasi senza parole: “è vero, un sistema liberal-democratico non manda la polizia in casa dei cittadini a vedere cosa stanno facendo… Siccome siamo in ‘zona rossa’, però, noi interveniamo sulla circolazione, sugli spostamenti, con un forte inasprimento alla circolazione. Eventualmente se lei andrà in un’abitazione, si potrà verificare dopo…”. Un modo come un altro per dire: niente controlli in casa, ma semmai “verifiche dopo” (clicca qui, per vedere l’estratto della conferenza stampa, a cura dell’agenzia stampa Vista).

La collega è divenuta quasi un simbolo della Italia “che non capisce” la saggezza e la lungimiranza del Governo.

Dario Franceschini (Mibact): 11 miliardi di euro per la cultura ed il turismo

Focalizzando l’attenzione sul sistema della cultura, ci limitiamo qui a segnalare il comunicato diramato ieri, martedì 29 dicembre 2020, dall’Ufficio Stampa del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo:  dichiara Dario Franceschini: “Ho firmato un decreto che eleva di ulteriori 15,9 milioni di euro i fondi per i ristori di attori, cantanti, danzatori, musicisti, coristi, artisti circensi e maestranze scritturati da teatri, orchestre, fondazioni lirico sinfoniche e spettacolo viaggiante per lo svolgimento di spettacoli non andati in scena tra il 23 febbraio e il 31 dicembre 2020. Un provvedimento che dà risposte alle tante domande ricevute dalla direzione spettacolo dal Mibact e che rafforza le misure già approvate a novembre che da 20 milioni di euro arrivano così a circa 36 milioni di euro per queste categorie”. Così ha dichiarato il Ministro, al momento della firma del decreto che destina ‪ulteriori 7,1 milioni di euro per il sostegno degli “scritturati” per spettacoli di musica, danza e circo, e ‪ulteriori 8,8 milioni di euro per il sostegno degli “scritturati” per spettacoli teatrali.

Questo annuncio è l’ultimo di una lunga schiera: sempre ieri, il Ministro ha fatto pubblicare sul sito del Ministero un documento di sintesi rispetto alle misure assunte dal Governo per fronteggiare l’emergenza Covid, a favore di istituti, imprese, lavoratori, tra turismo, siti, cinema, siti archeologici, musei, editoria, musica, tutela del patrimonio, fiere, congressi, promozione del “sistema Paese”…

Complessivamente, sono stati iniettati (o stanno per essere iniettati) 11 miliardi di euro.

“Box office” Italia 2020: da marzo, – 93 % di incassi rispetto al 2019

Gli 11 miliardi di euro annunciati da Dario Franceschini sembrano però non aver convinto gli operatori del settore: “Undici miliardi sono una cifra altisonante, ma purtroppo la realtà con cui ci misuriamo è fatta di ristori di importo irrisorio, di poche migliaia di euro per impresa. Ci sono imprese che sono chiuse da 10 mesi e hanno ricevuto un contributo a fondo perduto pari a una piccola parte del fatturato di aprile” dichiara il Presidente di Federalberghi Bernabò Bocca; gli fa eco Marina Lalli di Federturismo: “gli 11 miliardi di cui parla il ministro Franceschini non li abbiamo visti e in ogni caso la situazione è talmente grave che, se anche fossero stati stanziati, non sarebbero comunque sufficienti a risollevare il comparto e a coprire le perdite subite”.

Già ad inizio settembre, le stime di Conturismo Confcommercio e Assoturismo Confesercenti – rilanciate anche dal quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore” – parlavano di imminente morte del settore, con oltre 100 miliardi di euro di perdita di fatturato…

Si ricordi che il 3 novembre scorso, in occasione della presentazione del 16° “Rapporto annuale” di Federculture, è emerso che, tra le aziende culturali colpite dalla crisi causata dal Covid, il 70 % stimava perdite del 40 % del proprio bilancio, il 13 % prevedeva perdite superiori al 60 % e solo il 22 % immaginava un futuro ritorno alla normalità…

Cinetel, la società che rileva circa il 95 % del “box office” dell’intero mercato, ha anticipato oggi 30 dicembre i primi risultati del mercato del “cinema in sala” nel 2020, sottolineandone l’esito negativo determinato dall’emergenza sanitaria che ha imposto la chiusura delle sale per più di 5 mesi; in Italia nel 2020, i cinema hanno registrato un incasso complessivo di poco meno di 183 milioni di milioni di euro, per un numero di presenze pari a circa 28 milioni di biglietti venduti. Si tratta, rispetto al 2019, di un decremento di oltre il 71 % degli incassi e delle presenze.

Se si considerano i dati a partire dall’8 marzo, primo giorno di chiusura nazionale delle sale cinematografiche, il mercato nel 2020 ha registrato invece il 93 % in meno di incassi e di presenze rispetto al 2019, per una differenza negativa di più di 460 milioni di euro. In precedenza, alla fine del mese di febbraio – prima dell’inizio dell’emergenza – il mercato cresceva in termini di incasso di più del 20% rispetto al 2019, del 7 % circa sul 2018 e di più del 3 % rispetto al 2017.

Domina assoluta incertezza sul futuro di breve e medio periodo

Auguriamoci che gli 11 miliardi siano sufficienti a “ristorare”, nelle more di una ripresa che appare, ad oggi, segnata da assoluta incertezza: quando potranno riaprire cinematografi e teatri? Non si sa. Quando potranno tornare a pieno regime (o comunque a regime parziale) alberghi e ristoranti? Non si sa. Domina l’incertezza.

Gli 11 miliardi di euro calcolati da Dario Franceschini sono la “sommatoria” di oltre 60 (sessanta) provvedimenti (clicca qui per leggere l’elenco elaborato dal Ministero stesso).

Ricordiamo che il 17 dicembre 2020, il leader di Italia Viva Matteo Renzi aveva chiesto che con i soldi del “Mes” 9 miliardi venissero destinati a cultura e turismo. L’altroieri 28 dicembre ha ribadito: “noi immaginiamo di essere tra dieci anni il Paese faro della cultura. Se devo dire quale è la parola d’ordine dei prossimi dieci anni è ‘cultura’, che crea posti di lavoro e investe sul capitale umano e sull’educazione. Vogliamo mettere su cultura e turismo nove miliardi di euro che risparmiamo dalla spesa sanitaria, in quanto finanzieremmo la sanità con il Mes”.

Quel che ci limitiamo ad osservare è una situazione di profondo e diffuso malessere da parte di gran parte degli operatori: ovviamente, non resta che augurarsi che i “ristori” siano adeguati e tempestivi.

Lamentiamo – ancora una volta – che non si sia “approfittato” di questo evento eccezionale per avviare un ragionamento critico sull’intervento della “mano pubblica” nel sistema culturale italiano: la quantità dei provvedimenti è essa stessa indicativa in sé del carattere parcellizzato, frammentario degli interventi.

Poteva essere questa della pandemia l’“occasione giusta” per una analisi riflessiva, retrospettiva e prospettica, ovvero per ragionare su una rigenerazione del sistema attuale di sostegno alla cultura, affrontando di petto la logica ancora vetusta del Fondo Unico per lo Spettacolo (che “unico” è ormai soltanto nel titolo della norma) o il meccanicismo mercatista (con il “tax credit” che domina) avviato da quattro anni con l’istruzione del Fondo per il Cinema e l’Audiovisivo… Si è ancora in tempo, riteniamo.

Quel che stupisce resta comunque il carattere disorganico dei tanti interventi, tra i quali l’avvio del controverso progetto per “la piattaforma digitale per la promozione della cultura italiana nel mondo: un palcoscenico virtuale per teatro, musica, cinema, danza e ogni forma d’arte, live e on demand, per raccontare il patrimonio culturale italiano”, dalla quale è stata però paradossalmente esclusa Rai (abbiamo dedicato molta attenzione a questa iniziativa – vedi, da ultimo, “Key4biz” del 7 dicembre 2020, “La ‘Netflix della cultura italiana’. Dubbi e perplessità” –  e presto vi ci torneremo) o la creazione addirittura di un “bond” per un ennesimo “rilancio” di Cinecittà Istituto Luce (verranno destinati ben 35 milioni di euro), iniziativa rispetto alla quale non è pubblico alcun intendimento progettuale (se non un assai generico “rinnovamento delle infrastrutture, attività legate alla produzione cinematografica, nuovi stabilimenti”)…

Manca ancora un approccio organico e sistemico al sistema cultura, e Rai resta in stagnazione

Ci sembra manchi ancora un approccio organico e sistemico alle politiche culturali del nostro Paese.

E stendiamo un velo di pietoso silenzio sulla stagnazione cui è costretta la Rai.

Senza che alcun partito abbia ancora deciso, concretamente, un avvio rapido delle proposte di legge di riforma della “governance” (anche se il Partito Democratico rinnova questo intendimento), si oscilla tra polemiche giornalistiche che certamente non rafforzano il senso del servizio pubblico: da ultima, l’idea bislacca di una nave da crociere nella quale ospitare la prossima edizione di “Sanremo” (con il consigliere di amministrazione eletto dai dipendenti Riccardo Laganà che propone – provocatoriamente – che, semmai, il simpatico vascello ospiti operatori della sanità e rappresentanti della società civile italica sofferente a causa del Covid, e non decine e decine di alti papaveri di Viale Mazzini…), o l’entusiasmo veramente eccessivo mostrato nei confronti del buon successo di audience su Rai2 di un documentario sui recenti ritrovamenti a Pompei (che si è poi scoperto – grazie al blog specializzato “BloggoRai”, con rilancio sull’effervescente blog “La Vigilanza Tv”, ed oggi alla grande da Claudio Plazzotta su “Italia Oggi” – che non è stato nemmeno coprodotto da Viale Mazzini!)…

Anche in questo caso, ci si disperde su piccole iniziative – più o meno nobili – perdendo di vista la rotta futura, ovvero la stella polare cui dovrebbe puntare il servizio pubblico: la definizione di un profilo identitario preciso e netto, che consenta al telespettatore di capire – sempre e comunque – che si è sintonizzato su Rai e non su un canale televisivo commerciale.

Clicca qui per le slide del Mibact “Undici miliardi di euro per Cultura e Turismo”, pubblicato il 29 dicembre 2020 sul sito web del Ministero.