Sono oltre 4.000 gli “operatori di teatro sociale”, professione ancora sconosciuta. Oggi a Montecitorio iniziativa promossa dal deputato Raffaele Bruno (M5s), convegno-spettacolo “Operatori / Operatrici di Teatro Sociale e di Comunità: una professione che (non) esiste!”.

Iniziativa d’avanguardia, oggi a Montecitorio, anzitutto perché non si tratta di un rituale “convegno”, ma di una inedita occasione di spettacolo associata ad un incontro convegnistico: si tiene a partire dalle 15, presso la Nuova Aula dei Gruppi Parlamentari di Montecitorio (a via di Campo Marzio), il convegno-spettacolo che intende porre l’attenzione sulle centinaia di operatori di teatro nel sociale che si occupano di soggetti vulnerabili.

Il titolo sintetizza l’obiettivo dell’iniziativa: “Operatori/Operatrici di Teatro Sociale e di Comunità: una professione che (non) esiste!”. Si vuole focalizzare la figura dell’“operatore di teatro sociale” e promuovere la sua importanza fondamentale nei contesti dove opera (carceri, scuole, centri di recupero, realtà periferiche, associazioni, centri anziani, etc.) e per la società tutta. Abbiamo già segnalato l’iniziativa su queste colonne, qualche settimana fa: vedi “Key4biz” del 29 settembre 2023, “Gli e-sports seducono il Ministero della Cultura. Claudio Baglioni seduce i suoi fan. Ma il teatro sociale?”.

In Italia, la figura dell’“operatore di teatro sociale” non è ancora “legalmente” riconosciuta, nonostante sia ampiamente diffusa da almeno 30 anni in realtà di tutto il territorio.

Si tratta di migliaia di professionisti – che oscillano tra la dimensione artistica e la dimensione sociale –spesso non noti ai media, ma che fanno un lavoro capillare in realtà complesse, da numerosi anni, senza la ribalta e l’attenzione che pure meriterebbero: dati alla mano (esiste ormai ampia letteratura scientifica, in ambito sociologico e medico, ed altri ancora), l’uso del teatro come mezzo di relazione, espressività e inclusione produce risultati tangibili e inaspettati, spesso più di interventi “dall’alto” privi della necessaria empatia, competenza e adattabilità in contesti sempre differenti e non omologabili.

L’iniziativa è promossa dal deputato Raffaele Bruno (Movimento 5 Stelle), appassionato teatrante ed al contempo attivista politico, che si interessa da anni delle problematiche del sistema culturale, con particolare attenzione allo spettacolo. Bruno è alla seconda legislatura, e, tra le sue iniziative, emerge la proposta di legge “Disposizioni per la promozione e il sostegno delle attività teatrali negli istituti penitenziari”.

Raffaele Bruno è anche il fondatore del collettivo “Gli Ultimi saranno”, attivo nella promozione dell’arte come strumento sociale, in particolare nelle carceri, fin dal 2018.

Il parlamentare ricorda come il “tasso di recidiva” dei detenuti, ossia il numero di detenuti che una volta scontata la pena tornano a delinquere, sia – a livello nazionale – intorno al 65 %.

Quando le persone recluse frequentano attività creative, ed in particolare laboratori teatrali, questo tasso scende al 6 %, con un calo quindi del 90 %: “fare teatro in carcere – sostiene Bruno –, fare di tutto affinché si faccia e si faccia bene, è una misura di umanità, ma anche una misura di pubblica sicurezza. È una misura che, visto l’entità dell’impatto benefico, andrebbe considerata non solo necessaria ma urgente. Di questo e del prezioso ruolo degli operatori di teatro sociale in tanti contesti ‘sensibili’ parleremo al convegno grazie alle testimonianze di tantissimi operatori che da anni portano avanti il loro lavoro prezioso. Prezioso per la società tutta. Inoltre ci sarà lo spettacolo da me diretto e ispirato alle storie raccolte nei nostri incontri in carcere: ‘La lupa nella gabbia’ e il coro ‘Academia Alma Vox’”.

Previste molte testimonianze di artisti, organizzatori culturali, operatori di teatro sociale… Intervengono (qui di seguito riportati in ordine alfabetico): Gaetano Battista (Coordinamento Teatro Carcere Campania, Napoli), Tiziana Bergamaschi (Teatro Utile, Milano), Massimo Bonechi (Sta/Coop Margherita, Prato), Carolina Damiani (attrice operatore Teatro Sociale, ludoterapista, Salerno), Filippo Lange (Teatro del Lido di Ostia, Roma), Damiana Leone (Compagnia Teatrale Errare Persona, Frosinone), Andrea Lombardi (“counselor”, operatore Teatro Sociale Assisi, Perugia), Emiliane Rubat Du Mérac (Università La Sapienza, Roma), Giovanni Savino (Il Tappeto di Iqbal, Barra, Napoli), Gilberto Scaramuzzo (Università Roma Tre e Accademia Nazionale Danza), Laura Sonnino e Vania Castelfranchi (Rete Sanbarte, Teatro popolare San Basilio, Teatro Ygramul, Roma), Angelo Zaccone Teodosi (Presidente Istituto italiano per l’Industria culturale, IsICult).

L’incontro è moderato da Pascal La Delfa, formatore ed autore, esponente di “Oltre le Parole”, autore del più recente saggio in argomento, “Il Non-Manuale dell’Operatore Sociale”, pubblicato per i tipi di Seri Editore di Macerata.

Sono previsti i saluti istituzionali del Presidente della Commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone (Fratelli d’Italia).

I materiali che emergeranno dal convegno saranno messi a disposizione sul sito web dedicato all’iniziativa.

La relazione introduttiva al convegno: son oltre 4mila operatori di Teatro Sociale attivi in Italia

Alcune considerazioni sul “Teatro Sociale” in Italia, tra arte e welfare… Una premessa (che è semantica, scientifica, ideologica): tutto il teatro, in tutte le sue forme ed espressioni, svolge, fin dalle origini, una preziosa funzione sociale, che si accompagna a quella artistica.

Anche nelle tribù primitive di cui si registra traccia vivente in Africa o in Australia o nelle Americhe, sono presenti riti che evocano gli spiriti più spaventosi per scioglierne gli incantesimi: cosa c’è di più intimamente sociale di queste prime forme di teatro, che intendono sconfiggere le paure ancestrali ed il disagio dell’esistenza stessa?

Facendo un salto di migliaia di anni, qui interessa il teatro che ha nella dinamica specificamente sociale una dimensione più propria e specifica, perché intende combattere il disagio, nelle sue varie forme.

Preziosa qui una citazione di Jacques Coupeau: “il teatro nasce dove ci sono ferite”. Ovvero “non nasce teatro laddove la vita è piena e dove si è soddisfatti, il teatro nasce dove ci sono ferite, dei vuoti”.

Ove c’è deficit, carenza, malattia, malessere: in una parola soltanto: “disagio”.

Il disagio fisico, il disagio psichico, il disagio sociale.

Possiamo definire – convenzionalmente – come “teatro sociale” ogni forma ed espressione teatrale che si pone esplicitamente l’obiettivo di combattere il disagio, di contrastare il malessere, di lenire fragilità, sofferenze e discriminazioni.

Il “teatro sociale” mira a rendere evidente meccanismi psico-sociali che spesso sono occulti o inconsapevoli, per cercare di alleviarne gli effetti attraverso una consapevolezza individuale e collettiva. È un teatro che ha anche una preziosa funzione di sensibilizzazione, educazione, coscientizzazione…

In sintesi: stimolazione di coscienza critica.

Assorbiamo nella definizione di “teatro sociale” alcuni quasi-sinonimi come “teatro integrato” o “teatro di comunità”.

Il teatro sociale è una pratica teatrale in cui équipes di artisti, professionisti di teatro e di promozione del benessere delle persone operano in maniera interdisciplinare con gruppi e comunità di cittadini – spesso svantaggiati – e realizzano percorsi teatrali, performance e progetti con finalità culturali, civili, artistiche e di benessere psico-sociale.

Alcune parole-chiave del teatro sociale: interazione, inclusione, integrazione, animazione, espressività, fragilità, complessità, relazionalità, trasversalità, innovazione, terapia, cura, riabilitazione, sensibilizzazione…

Ci limitiamo qui a rimandare allo studio più accurato e recente realizzato in materia: “Breve storia del teatro sociale in Italia”, di Giulia Innocenti Malini, pubblicata per i tipi di Cue Press (Imola) due anni fa. L’autrice definisce il “teatro sociale” come “una fenomenologia dinamica, plurale e frammentata”. Un “arcipelago” certamente difficile da definire e circoscrivere, ma che va studiato con grande cura, e con metodologie inter-disciplinari.

Così inteso, il “teatro sociale” è comunque un sotto-insieme della complessiva dimensione del “teatro”.

Alcuni dati sul teatro in Italia

Il “teatro sociale” rientra nel grande perimetro del “teatro” in senso lato, e quindi vanno anzitutto spesi alcuni dati, per cercare di comprenderne le dimensioni.

Nell’ultimo anno (il 2022), secondo i dati pubblicati dalla Società Italiana Autori e Editori il 12 ottobre 2023, sono stati venduti in Italia 19 milioni di biglietti teatrali, ma in questo “calderone”, nelle elaborazioni, la Siae include anche la lirica, la rivista e il musical, il balletto, il circo e finanche burattini e marionette… Gli spettacoli messi in scena sarebbero stati complessivamente 384mila, la spesa del pubblico 384 milioni di euro. Tutti valori in forte crescita rispetto al 2021, ma negativi rispetto all’ultimo anno pre-pandemia: spettatori -21 %, incassi -20 %, spettacoli -4 %. Gli spazi (quelli che Siae chiama “locali”) che hanno ospitato uno spettacolo sarebbero stati 14mila nel 2022 (si segnala “en passant” che ad oggi non esiste in Italia nemmeno un censimento accurato degli spazi teatrali, così come non c’è – incredibilmente – un censimento delle librerie o delle edicole…).

Focalizzando l’attenzione su quello che potremmo definire “teatro-teatro” convenzionalmente, ovvero il “teatro di prosa”, il consuntivo 2022 riporta: 11 milioni di biglietti venduti, 175 milioni di euro di spesa, 73mila rappresentazioni.

Ancora negativo il confronto col 2019:  -10 % per gli spettacoli, -27 % gli spettatori, -24 % la spesa.

Secondo un’altra fonte, l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat), nel 2022, su 100 persone residenti in Italia, sono andate a teatro (almeno 1 volta l’anno) 12 persone, a fronte delle 31 persone del cinema.

Si osservi come la media nazionale (12 su 100) oscilli tra il picco del Lazio, con 17 persone a teatro su 100 e quella della Sardegna con 6 persone. Il divario culturale tra Nord-Centro e Mezzogiorno è drammatico, ma nessuno sembra interessarsene a livello istituzionale e politico.

In altri parole, il teatro italiano è in crisi, se non a livello di offerta creativa, sicuramente a livello di fruizione.

Qualche dato essenziale sul ruolo dello Stato, premettendo che forse dovrebbe intervenire nei settori del sistema culturale anche in funzione delle criticità di ognuno di essi, volendo dare un senso realmente strategico alle politiche culturali, e non limitandosi ad amministrare l’esistente.

Se va a teatro una quantità di persone che corrisponde a circa un terzo di quelle che vanno al cinema, si potrebbe (dovrebbe) ragionare su un intervento della mano pubblica di maggiore sostegno a favore del teatro.

Ed invece non è così; nel 2023, i due fondi attivi a livello nazionale (il Fondo Cinema e Audiovisivo creato nel 2016 con la cosiddetta Legge Franceschini ed il Fondo Nazionale Spettacolo dal Vivo, eredità del “vecchio” Fondo Unico per lo Spettacolo – Fus) vedono un impegno del Ministero della Cultura rispettivamente di 746 milioni di euro per il cinema e l’audiovisivo e di 420 per il teatro.

Nei 420 milioni del “teatro”, sono però incluse le fondazioni lirico-sinfoniche (che assorbono il 46 % del totale del Fnsv), la musica (19 %), la danza (4 %), i circhi (2 %), i progetti multidisciplinari (6 %).

Di fatto, al “teatro-teatro” va soltanto il 22 %, ovvero circa 92 milioni di euro.

Il sostegno pubblico: al cinema 746 milioni di euro nel 2023, al teatro soltanto 92 milioni di euro

In sintesi: al cinema 746 milioni di euro l’anno, al teatro 92 milioni di euro.

Un rapporto di 8 ad 1 a favore del cinema. Una impressionante asimmetria.

Queste sono cifre sintetiche, e comunque parziali, perché non stiamo qui considerando gli interventi delle Regioni e dei Comuni: cifre parziali anche perché l’Italia non dispone ancora di un sistema informativo che possa consentire di comprendere quale sia la spesa della mano pubblica nei vari settori.

Da decenni, fin dalla nascita del Fondo Unico per lo Spettacolo nel 1985, si “governa” il sistema dello spettacolo (e, più in generale, della cultura) con un enorme gravissimo deficit di dati, analisi, conoscenze: la legge istitutiva del Fus creò nel 1985 un “Osservatorio dello Spettacolo” che è stato depotenziato e definanziato nel corso degli anni…

Sulla base di oltre trent’anni come ricercatore specializzato sulle politiche culturali e le economie mediali, sono giunto alla conclusione che chi governa, in Italia, preferisce avere una situazione nebbiosa, per esercitare meglio la propria discrezionalità nell’allocare le risorse pubbliche.

Meno si sa, più il “manovratore” può gestire liberamente.

Per quanto riguarda il “teatro sociale”, non esistono dati accurati sulle dimensioni e sulle caratteristiche di questa attività.

Il Ministero della Cultura non ha mai promosso un’iniziativa di censimento, anche perché, per farla, dovrebbe definire (anche) giuridicamente cosa si intende per “teatro sociale”, sia a livello di imprese teatrali sia a livello di operatori di teatro sociale.

Al “teatro sociale” le briciole della torta delle sovvenzioni pubbliche al teatro: 430mila euro l’anno a fronte del totale di 92 milioni di euro: lo 0,5 %

Non entriamo qui nel merito dell’aspetto della critica teatrale, dell’estetica teatrale, ovvero su come dovrebbe porsi uno spettatore appassionato o un critico di professione rispetto al “teatro sociale”, lasciando prevalere o meno l’analisi della dimensione artistica (come avviene negli spettacoli “normali”) sull’analisi della funzione sociale (che identifica per definizione il “teatro sociale”). Questo paradosso di convergenza o di scontro tra la finalità estetica e la finalità sociale può essere oggetto di raffinate analisi, che però in questa sede non interessano.

Va evidenziato (denunciato) che l’espressione “teatro sociale” non è presente nell’attuale sistema normativo del teatro italiano: un riferimento, indiretto e debole, lo si ritrova soltanto all’articolo 41 del Decreto Mibact del 27 luglio 2017 (“Criteri e modalità per l’erogazione, l’anticipazione e la liquidazione dei contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo Unico per lo Spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163”), poi aggiornato con il Decreto ministeriale del 25 ottobre 2021.

Si tratta dell’art. 41 cosiddetto della “Promozione teatrale” (nel Capo VII “Azioni trasversali”), laddove si prevede il finanziamento di attività di “soggetti pubblici e privati che realizzino progetti di promozione finalizzati: a) al ricambio generazionale; b) alla coesione e inclusione sociale; c) al perfezionamento professionale; d) alla formazione del pubblico”.

Il “teatro sociale” rientra quindi soltanto nelle attività di promozione finalizzate alla “coesione e inclusione sociale” (o finanche alla “formazione del pubblico”)?!

Secondo i dati dell’ultima Relazione annuale al Parlamento sul Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus), relativa all’anno 2021 (pubblicata il 22 dicembre 2022), sono stati assegnati 410mila auro a 7 soggetti soltanto: in ordine decrescente per contributo: Carte Blanche / Compagnia della Fortezza (Volterra) 89mila euro; Arte della Diversità / La Ribalta (Bolzano) 69mila euro; La Ribalta/Centro Studi Enrico Maria Salerno (Roma) 66mila euro; Aenigma (Urbino) 65mila; Teatro Patologico (Roma) 59mila; Nest Napoli Est Teatro (Napoli) 43mila; Animali Celesti / Teatro d’Arte Civile (Pisa) 19mila… Si debbono aggiungere i 27mila euro a favore di Fort Apache Teatro (Roma), come “prima istanza”…

E di tutte le altre realtà che sono attive su tutto (o quasi) il territorio nazionale?!

Nessuna traccia.

Sommersesconosciute, e quindi “inesistenti”: almeno per il Ministero della Cultura.

E si rimarca che questi 427mila euro rappresentano una quota percentuale veramente marginale rispetto al totale di circa 93 milioni di euro di sostegno che lo Stato ha assegnato al teatro nell’anno 2021: si tratta di un budget che rappresenta lo 0,5 % (zero virgola cinque per cento) del totale.

Come definirla, se non una dotazione budgetaria… simbolica?!

Una stima IsICult, nell’economia del progetto di ricerca e promozione “Cultura vs Disagio. Censimento delle Buone Pratiche Contro il Disagio (fisico, psichico, sociale”): circa 425 soggetti promotori di iniziative, almeno 4.000 gli operatori di “teatro sociale”.

Da alcuni anni, l’Istituto italiano per l’Industria Culturale (IsICult) lavora ad un complesso e faticoso progetto di censimento e monitoraggio di tutte le iniziative culturali ed artistiche che combattono il disagio: l’iniziativa, denominata “Cultura vs Disagio. Censimento delle Buone Pratiche Contro il Disagio (fisico, psichico, sociale)” da cui l’acronimo “Cvd”, ha censito finora complessivamente oltre 3.300 iniziative.

Si tratta di un’iniziativa che nasce oltre dieci anni fa da un’idea di Lorenzo Scarpellini (già Segretario Generale dell’Agis) e di Angelo Zaccone Teodosi (Presidente di IsICult), avviata come “progetto speciale” della allora Direzione Generale Spettacolo dal Vivo dell’allora Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (Mibact), e successivamente sostenuto invece dalla Direzione Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura (Mic). “Sostenuto” – va precisato – con un contributo ridicolo: senza l’impegno di una piccola équipe di giovani ricercatori appassionati, l’iniziativa sarebbe presto svanita.

Nel 2012, alle origini del progetto “Cultura vs Disagio”, è stato promosso presso il San Camillo Forlanini di Roma il primo festival organizzato dentro un ospedale, iniziativa di promozione delle attività teatrali, musicali, cinematografiche nelle carceri, ospedali, e nelle dimensioni della disabilità e marginalità. Nell’economia del festival, denominato “Lo Spettacolo Antidoto Contro il Disagio”, è stato organizzato anche il convegno “I festival per la diversità e contro il disagio in Italia. Primo incontro nazionale”, confronto tra le esperienze di oltre venti direttori artistici di festival (da tutt’Italia), i cui atti sono disponibili sul sito web www.festivaleccellenzenelsociale.it .

È online il sito web dedicato del progetto IsICult “Cultura vs Disagio”: www.culturavsdisagio.it, che consente ricerche di vario tipo e che tra poche settimane verrà proposto in versione rinnovata, sia per quanto riguarda il layout grafico, sia per quanto riguarda il motore di ricerca interno.

È in fase di redazione una versione aggiornata del “rapporto” annuale di “Cvd”: possiamo qui anticipare che sono state censiti 263 spettacoli, 88 rassegne, 88 laboratori, 53 festival (precisiamo che qui si considera esclusivamente l’ambito “teatro”, e non quello “danza”), per un totale di circa 500 iniziative (per la precisione, si tratta di 492 iniziative).

Le iniziative nell’ambito della danza sono 40 (di cui 15 prevedono sia “danza” sia “teatro”, per un totale complessivo di “teatro” + “danza” che risulta essere di 532.

Gli ambiti considerati sono quelli delle 3 dimensioni del “disagio”, ovvero il disagio fisico, il disagio psichico, il disagio sociale.

In base alle tipologie del “disagio” (tassonomia IsICult nel progetto “Cvd”), il 40 % delle 492 iniziative teatrali censite riguarda le persone detenute, il 14 % i migranti e stranieri, il 9 % persone residenti in contesti disagiati, l’8 % persone vittime di violenza di genere, il 7 % persone a rischio di disagio psichico, il 6 % persone affette da malattia, il 4 % persone vittime di bullismo, il 3 % persone con disabilità psichica, il 3 % persone con disturbi psichici, il 2 % persone con disabilità sensoriale, l’1 % persone con disabilità motoria, l’1 % persone vittime delle mafie

Le Regioni che risultano più attive sono (in ordine decrescente per quantità di iniziative): il Lazio con 97 iniziative, la Lombardia 96, l’Emilia Romagna 73, la Toscana 48, il Piemonte 40, la Campania e la Sicilia 25, la Puglia 23, il Veneto 19, le Marche 14, il Friuli Venezia Giulia e la Liguria 11, il Trentino Alto Adige e l’Umbria e la Basilicata e la Sardegna 8 e la Calabria 8, l’Abruzzo 4, il Molise e la Valle d’Aosta 1.

Secondo le elaborazioni di IsICult sono almeno 424 i soggetti attivi nell’ambito del “teatro sociale”.

Si tratta di una stima che evidenzia una quantità più che doppia rispetto ad un’iniziativa sperimentale promossa ormai venti anni, ovvero il “primo censimento nazionale di gruppi e compagnie che svolgono attività con soggetti svantaggiati/disagiati” (i cui risultati sono stati pubblicati nel volume “Teatro e disagio” a cura di Ivana Conte, Ilaria Fabbri, Bruna Felici, Vito Minoia, Claudio Paretti, Emilio Pozzi, Giorgio Testa, Stefano Viali, edito per i tipi di Stibu, Pesaro, 2003): in quel tentativo d’avanguardia, furono censite 180 compagnie teatrali. A distanza di vent’anni, la quantità è certamente più che raddoppiata.

Considerando – come mera ipotesi di lavoro – che ogni soggetto promotore (associazione culturale, compagnia teatrale, società cooperativa, associazione di promozione sociale, etcetera…) abbia uno staff medio di 10 persone (o che comunque “ruotino” intorno all’intrapresa una decina di persone, tra artisti, tecnici, professionisti…), si può ragionevolmente stimare che gli “operatori di teatro sociale” siano almeno 4.000.

Quella di 4mila è una stima prudente.

E non consideriamo in questa stima la dimensione – che pure è afferente al “teatro sociale” – dell’esperienza del “teatro nelle scuole”. In argomento, ci limitiamo a segnalare – a conferma della perdurante disattenzione delle istituzioni – che esiste una norma che consentirebbe di assegnare al teatro nelle scuole un 3 % del Fondo Nazionale Spettacolo dal Vivo: si tratterebbe di circa 12 milioni di euro l’anno. Norma vigente, ma inattuata: incredibile, ma vero. Mentre la norma “speculare” sul cinema ha avuto concreta attuazione ed è ben regolamentata da protocolli tra il Ministero della Cultura ed il Ministero dell’Istruzione e del Merito, e nel 2023 assegna risorse per 22 milioni di euro. Tra cinema e teatro, in Italia, due pesi e due misure. Contraddizioni incomprensibili della deficitaria politica culturale italiana. E, in questo settore, purtroppo non è emerso alcun segnale di innovazione da parte del Governo insediatosi un anno fa.

La figura professionale dell’“operatore di teatro sociale” deve essere focalizzata e valorizzata.

Si tratta di un lavoro che ha caratteristiche peculiari di flessibilità, interdisciplinarità, e spesso anche di discontinuità, che deve essere invece riconosciuto, codificato, e tutelato. Valorizzato. Sostenuto.

È evidente l’esigenza di studiare al meglio queste professionalità.

È evidente l’esigenza di tutelarle e regolamentarle.

È evidente l’esigenza di una maggiore e migliore attenzione da parte del Ministero della Cultura e di altre istituzioni (tra le quali il Ministero della Salute, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali…).

La gestazione del nuovo “Codice dello Spettacolo” può essere l’occasione giusta per puntare i riflettori su questa preziosa realtà artistica e professionale.

Si tratta di un settore che va… portato alla luce, “scoprendo” attività di grande impegno civile ed umano, oltre che – spesso – di grande qualità artistica, che non beneficiano ancora – se non raramente – degli adeguati riflettori mediali: attività preziose per l’emancipazione psico-sociale, nella prospettiva di un sistema di welfare evoluto.

Clicca qui, per il sito web dedicato al convegno “Operatori / Operatrici di Teatro Sociale e di Comunità: una professione che (non) esiste!”, promosso dal deputato Raffaele Bruno (M5s), Camera dei Deputati, Sala dei Nuovi Gruppi Parlamentari, Roma, 30 ottobre 2023.

[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.

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