Il budget per il progetto speciale Mibac “Moviement” non è di 1 milione (uno) di euro soltanto, bensì sarebbe (parrebbe) di 5,5 milioni di euro, così ha spiegato la sottosegretaria Lucia Borgonzoni.

Uno dei lettori di questa rubrica ha domandato perché ci ha tanto appassionato il tema dei “progetti speciali” del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (Mibac) cui abbiamo dedicato molta attenzione nell’ultima edizione de “ilprincipenudo” (vedi “Key4biz” del 23 aprile 2019, “Teoria e tecnica dei Progetti Speciali del Mibac, 13 milioni di euro tra teatro e cinema”): potremmo semplicemente e ironicamente rispondere che la “mission” è implicita nella denominazione stessa della rubrica… “omen nomen”.

Da anni, anche su queste libere colonne (al di là della nostra attività di consulenza come ricercatori indipendenti), cerchiamo di “fare luce” sulle politiche culturali e le economie mediali del nostro Paese, ed in tante occasioni, ci siamo domandati (ci hanno domandato) ma “perché” viene sostenuta l’iniziativa “alfa” piuttosto che l’iniziativa “beta”? “perché” quel progetto viene premiato? “perché” quel dirigente promosso? etc., e, nell’ambito delle pubbliche amministrazioni italiche, la risposta non è sempre chiara e trasparente.

Abbiamo tante volte, anche su queste colonne, spiegato perché il deficit di trasparenza produce inevitabilmente il rischio di una gestione eccessivamente discrezionale dell’intervento della “mano pubblica” nel settore culturale (ovviamente la tesi è valida anche ben oltre questo specifico settore). E, nell’ombra, alligna anche il rischio di procedure anomale e pratiche basse, e finanche il pericolo di clientelismo e finanche corruzione.

Se non si sa “cosa” e “quanto” e “come”, è arduo porsi il problema del “perché”.

Dopo trent’anni di esperienza professionale, siamo giunti alla conclusione che in Italia è “rara avis” il soggetto decisore (ministro, sottosegretario, direttore generale, assessore regionale o comunale che sia…) che pone la questione della trasparenza dei propri processi decisionali come priorità nella gerarchia delle proprie attività. Non c’è niente da fare: resta – ahinoi – l’eccezione alla regola, ancora oggi, Anno Domini 2019.

La patologia riguarda anche le due maggiori “macchine culturali” del nostro Paese, ovvero il Mibac e la Rai: abbiamo profuso fiumi di inchiostro per segnalare queste fenomenologie alias patologie.

Nell’edizione del 23 aprile di questa rubrica, abbiamo cercato di “fare luce” sui progetti speciali del Ministero, ovvero su quelle iniziative che rientrano nella “discrezionalità” del Ministro pro tempore: abbiamo segnalato come si tratti di “spiccioli”, ovvero quasi delle “briciole” della grande “torta” dei finanziamenti pubblici alla cultura; abbiamo calcolato che si tratta di circa un 2 % del totale della spesa del dicastero preposto ai beni ed alle attività culturali (13 milioni su 770 milioni di euro). Ed abbiamo evidenziato come nulla sia sostanzialmente cambiato, nel passaggio di consegne tra Dario Franceschini ed il suo successore Alberto Bonisoli.

Progetti speciali, pratiche particolari, erogazioni discrezionali.

Ci siamo concentrati in particolare su una sorta di “case-study”: su una iniziativa sulla carta lodevolissima, qual è la compagna nazionale per la promozione del cinema in sala durante i mesi estivi, denominata “Moviement” (ed ancora non sappiamo chi sia il “creativo” autore di cotanta originalità di “naming”…).

Abbiamo preso per buono quel che il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte ha dichiarato il 16 aprile 2019 in occasione della presentazione della ricerca del Centro Studi Confindustriaper Anica sull’occupazione nel settore audiovisivo: budget 1 milione di euro.

Abbiamo rimarcato come si trattasse di un budget veramente insufficiente, assolutamente inadeguato (anzi proprio ridicolo) rispetto alla gravità del problema italiano, generale (il continuo calo degli spettatori cinematografici anno dopo anno) e specifico (il crollo delle frequenze delle sale durante i mesi di luglio ed agosto).

Abbiamo criticato l’eccessivo entusiasmo (e la fiducia quasi cieca) manifestato da alcune associazioni del settore, ovvero Anica e Anec ed Anem, quindi dalla gran parte dei produttori e distributori ed esercenti cinematografici.

Abbiamo domandato quale fosse la procedura per cui il Ministero sostiene un “progetto speciale” e lo affida ad associazioni imprenditoriali, le quali, a loro volta, promuovono una “gara” tra agenzie di comunicazione e pubblicitarie, senza alcuna pubblica evidenza: chi ha scelto, alla fin fine, l’agenzia romana Ninetynine di Simone Mazzantini, che ha diramato un suo comunicato stampa per segnalare orgogliosamente l’incarico acquisito?!

Non abbiamo ricevuto risposte dal Ministero.

Il collega Andrea Dusio, sempre attento ed appassionato (anche lui spesso costretto a fare “giornalismo investigativo”, per superare le frequenti nebbie settoriali), ha preso al balzo la palla che abbiamo lanciato ed ha posto la questione direttamente alla Sottosegretaria delegata al cinema, la leghista Lucia Borgonzoni, ed ha ricevuto una risposta via WhatsApp (ormai gli “uffici stampa” sono… superati dai “social media”! e peraltro la Sottosegretaria non ha un suo addetto stampa, a differenza del suo collega Sottosegretario al Mibac, il grillino Gianluca Vacca): il budget per il progetto speciale Mibac “Moviement” non è di 1 milione (uno) di euro soltanto, bensì sarebbe (parrebbe) di 5,5 milioni di euro, così ha spiegato Borgonzoni. Una somma che riteniamo comunque ancora insufficiente ed inadeguata, ma certo meno… simbolica dell’evocato 1 milione uno di cui “supra”.

Ha precisato la Sottosegretaria: “si tratta di 4,5 milioni di euro. Abbiamo stanziato questa cifra. Per cui il budget com­plessivo è di 4,5 milioni di euro più 1”. Si legga quel che ha pubblicato il settimanale “Odeon del 26 aprile, che pure correttamente cita lo stimolo ricevuto da “Key4biz” (vedi “Key4biz” del 19 aprile 2019, “Moviement, facciamo luce sul progetto speciale della direzione cinema del Mibac”).

Si ha ragione di ritenere – ovvero immaginare (in assenza di alcun pubblico documento: nessuna traccia sul sito web del Ministero…) – che 1 milione di euro sia dedicato alla specifica campagna promozionale e 4,5 milioni siano invece le risorse ministeriali dedicate al sostegno dei film italiani che verranno lanciati tra luglio ed agosto: si tratta di un contributo fino al 40 % sulla distribuzione, che può salire sino al 70 % per film distribuiti in più di 200 schermi, con un piano di lancio di oltre 500mila euro… Il meccanismo è stato soltanto annunciato per sommi capi, e non è ancora ben chiaro nel suo funzionamento effettivo.

Non ci risulta che vi sia peraltro esattamente la coda, nell’anticamera del neo Direttore Generale del Cinema Mario Turetta, da parte di produttori e distributori di cinema “made in Italy”, per usufruire di questo sostegno, ma attendiamo qualche settimana per capire se il meccanismo funzionerà, e che risultati produrrà.

La Sottosegretaria Borgonzoni ha anche precisato, in relazione specificamente al milione di euro ovvero al budget citato dal Presidente del Consiglio (cifra che avrebbe provocato involontariamente una qual certa confusione): “Stanziato però. Non ancora speso, Se non in parte. Non avevamo ancora neanche la firma da poter apporre del Direttore Generale Cinema Mario Turetta, ma il progetto ha un costo di poco meno di 300mila euro”. A quale specifico progetto (si tratta di un “sub-progetto”?!) si riferisca la Sottosegretaria, non è ancora dato capire: 300mila euro… di 1 milione di euro… per cosa, esattamente??? Non è dato sapere.

Confusione perdurante e perdurante deficit di trasparenza.

Si resta in fiduciosa attesa di ulteriori chiarimenti.

E ci si augura che l’iniziativa “Moviement” preveda anche una sua specifica “valutazione di impatto”, che pure potrebbe anche rientrare in quella prevista ormai per legge, rispetto ai 400 milioni di euro l’anno allocati a favore del cinema e dell’audiovisivo nel Fondo voluto a fine 2016 dall’allora Ministro Dario Franceschini (vedi “Key4biz” del 15 aprile 2019, “Legge cinema e audiovisivo, bando per la valutazione d’impatto. Finalmente si farà luce?”).

Altro fronte, stesso problema: Rai

Il nuovo “contratto di servizio” tra Stato e “public media service” italico prevede che venga attivato un indice di “coesione sociale”.

La questione della misurazione della “coesione sociale” – che è (dovrebbe essere) uno degli obiettivi della Radiotelevisione Italiana spa – è stata sottoposta all’attenzione del Consiglio di Amministrazione di Viale Mazzini in occasione della riunione del 17 aprile 2019.

Il Consigliere indipendente Riccardo Laganà (eletto dai dipendenti del gruppo pubblico radiotelevisivo) ha spiegato che nei documenti presentati quel giorno al Consiglio in materia di “bilancio sociale”… non vi era traccia del tema della “coesione sociale”, ma gli è stato risposto che a Viale Mazzini ci stanno lavorando (alacremente? appassionatamente? o anche soltanto seriamente?!). E ciò basti.

Scrive giustamente Laganà: “sarà interessante capire il modo con cui verrà calcolato l’indice di coesione sociale” (vedi “Key4biz” del 26 aprile 2019, “Cda Rai del 17 aprile 2019: un verbale (in soggettiva) della riunione”).

Abbiamo affrontato la questione (bilancio sociale ed indice di coesione sociale), su queste colonne, anche in occasione del convegno promosso da Rai il 3 aprile scorso (vedi “Key4biz” del 3 aprile 2019, “La Rai introduce il ‘Disability Manager’, gesto apprezzabile ma ancora tanti dubbi”).

Ricordiamo che la proposta di misurazione della coesione sociale è stata introdotta nel “contratto di servizio” tra il Ministero dello Sviluppo Economico e la Rai per il periodo 2018-2022 a seguito di un emendamento proposto il 14 dicembre 2017 dalla deputata Lorenza Bonaccorsi (dal marzo 2018 Assessore al Turismo ed alle Politiche Sociali della Regione Lazio presieduta da Nicola Zingaretti): “Al comma 1, dopo la lettera n) sia aggiunta la seguente lettera: n-bis) Coesione sociale: La Rai è tenuta a dotarsi di un sistema di analisi e monitoraggio della programmazione in grado di misurare l’efficacia dell’offerta complessiva in relazione agli obiettivi di coesione sociale indicati all’articolo 2, comma 3, lettera a), anche attraverso l’elaborazione di dati di ascolto che arrivino a produrre indicatori specifici, quale ad esempio un indice di coesione sociale” (emendamento 23. 23. Bonaccorsi). Questa è stata una delle “condizioni” che la Commissione ha posto per esprimere il proprio parere favorevole al “contratto di servizio”, manifestato il 19 dicembre 2017 (vedi “Key4biz” del 23 dicembre 2017, “Nuovo ‘contratto di servizio’ Rai: tutte le novità (il testo in esclusiva)”).

L’indice è lo strumento di misurazione di quella auspicata “coesione sociale”, ovvero dell’obbligo Rai di “raggiungere i diversi pubblici attraverso una varietà della programmazione complessiva, che presti una particolare attenzione alle offerte che favoriscano la coesione sociale di tutti i cittadini”, come previsto dal comma 3 dell’articolo 2, intitolato “Principi generali”. L’“indice” è previsto alla lettera n-bis dell’art. 1, intitolato “Obblighi specifici”.

Domanda semplice e naturale: ma una tematica delicata come la “coesione sociale” non dovrebbe essere oggetto di un lavoro serio di confronto dialettico e plurale con la “società civile”, con le associazioni del terzo settore, del volontariato, con le tante espressioni di quella ricchezza socio-culturale del nostro Paese alla quale la Rai continua a dedicare un’attenzione assai limitata e spesso superficiale?! E magari anche con gli esperti (si spera soprattutto sociologi, mediologhi, culturologhi, e comunque tecnici delle scienze sociali: non soltanto economisti, please!), accademici o meno. Una iniziativa di questo tipo non dovrebbe essere l’occasione giusta per avviare anche una riflessione autocritica, un processo di autocoscienza da parte della Rai???

Non soltanto di… “piano industriale” (strumento tipico di una impresa commerciale) dovrebbero appassionarsi il Presidente Marcello Foa e l’Amministratore Delegato Fabrizio Salini (ed il Cda tutto ovviamente), ma anche della funzione sociale della Rai…

Perché non tirare quindi fuori dalle ovattate stanze del Settimo Piano della Rai questi documenti, e sottoporli ad un pubblico dibattito, sociale e scientifico, culturale e metodologico?!

Non si tratta di segreti industriali, si converrà.

E perché la questione non viene ritenuta prioritaria dalla Commissione Parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi e finanche dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom)???

Anche questa è “trasparenza”…

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