Due iniziative in curiosa contemporanea a Roma, una passerella di interventi retorici promossi da un’Anica gaudente e le preoccupazioni degli editori della Fieg per la pirateria libraria

Questa mattina si sono tenute a Roma due iniziative, entrambe interessanti, promosse da alcune delle maggiori lobby dell’industria culturale italiana: l’Anica (che rappresenta storicamente i produttori e distributori cinematografici, e poi audiovisivi e multimediali ed infine digitali), e l’Aie (che rappresenta i maggiori editori di libri) in collaborazione con la Fieg (l’associazione degli editori di quotidiani e periodici).

Può sembrare una sfortunata coincidenza di calendario, ma riteniamo essa sia sintomatica della asintonia e della frammentazione delle varie componenti settoriali del sistema culturale italiano, anche nella loro anima imprenditoriale (o datoriale che dir si voglia, con lo slang sindacalese): come diavolo si può pensare di organizzare kermesse di questo tipo in coincidenza di orario, a poche centinaia di metri l’una dall’altra?!

Presso la sede del Ministero della Cultura, al Collegio Romano, è stata presenta una indagine sul fenomeno della pirateria, intitolata “La pirateria nel mondo del libro. Crescita del fenomeno e strumenti di contrasto”, promossa da Aie e Fieg.

Presso il Teatro Argentina, è stato promosso il convegno “La fabbrica delle immagini non si ferma. Le industrie audiovisive al lavoro, in un’Italia che vuole progredire” (evitiamo commenti salaci sulla retorica titolazione: esiste forse una parte del Paese che vuole regredire?!), una sorta di lunga passerella con decine e decine di interventi, tra sessione mattutina e pomeridiana, promossa da Anica.

Se il primo evento ha messo il dito in una piaga che però riguarda soprattutto l’economia audiovisiva (e la questione è però stata affrontata soltanto superficialmente in occasione dell’evento Anica) ma che riguarda un complessivo approccio “culturale” degli italiani alla materia, il secondo evento è parso una sorta di occasione autoreferenziale dell’Anica, per riaffermare il proprio ruolo nel sistema (la propria “potenza di fuoco” lobbistica) ed anche per ringraziare il Ministro Dario Franceschini per il suo gran allargamento dei cordoni della borsa, ovvero delle sovvenzioni pubbliche al settore.

Come abbiamo dimostrato tante volte anche su queste colonne, nessuno può infatti esprimere un giudizio accurato, completo, organico sul reale “stato di salute” del sistema culturale italiano, perché nessuno dispone degli strumenti cognitivi adeguati.

Esistono alcuni dataset, pubblici e privati, senza dubbio, ma sono parziali, settoriali, incompleti e frammentati.

Due esempi, per tutti:

Cinema: 252 film cinematografici prodotti nel 2020 e 325 (!) nel 2019?! E chi li ha visti?!

Cinema: secondo i dati resi pubblici dalla Direzione Cinema e Audiovisivo del Ministero (Dgca Mic) un paio di settimane fa, nel 2020 sarebbero stati prodotti 252 film lungometraggi, a fronte dei 325 film prodotti nell’anno 2019 (vedi “Key4biz” del 10 marzo 2022, “Salto di qualità della Direzione Cinema e Audiovisivo del Mic: online il nuovo sito web”), una quantità senza dubbio impressionante… è dato sapere quali siano i titoli di questi film, che distribuzione hanno avuto, nei cinematografi, nelle piattaforme, in televisione? No. Questi dati non sono disponibili, e quindi nessuno può capire se questa quantità è adeguata ai bisogni del mercato. Gran parte di questi film restano paradossalmente “invisibili”… E qualcuno si concentra sul problema della desertificazione culturale dell’intero territorio nazionale, con sale cinematografiche che chiudono sia nelle metropoli sia in provincia?! Anche su questo, non esistono dati accurati, coerenti, affidabili… Eppure il Ministro si vanta dell’aver incrementato in mondo significativo il budget allocato a favore del cinema e dell’audiovisivo: è vero, perché, senza dubbio, si è passati dai 450 milioni previsti dalla Legge Cinema e Audiovisivo del 2016 (fortemente voluta dallo stesso ministro) agli attuali 750 milioni di euro. Il Principe ha ben allargato i cordoni della borsa, ma qualcuno si è preso la briga di verificare se questo incremento dell’output produttivo (dato indubbio, almeno questo, secondo le statiche del Ministero) è andato incontro ad una domanda del mercato?! Qualcuno si è domandato se non si sta alimentando una produzione che finisce per arricchire soprattutto le piattaforme web?!

Editoria: quante librerie hanno chiuso in Italia, negli ultimi anni?! Nessuna pare lo sappia…

Editoria: al di là dell’emerso problema della pirateria – che non colpisce soltanto il cinema e l’audiovisivo e la musica, e l’indagine odierna purtroppo lo conferma – le recenti statistiche dell’Aie sembrano dimostrare un incremento della spesa degli italiani in prodotti librari, aumento del consumo co-determinato anche dalle conseguenze delle limitazioni imposte dalla pandemia ai consumi culturali (come ovvio, la fruizione di cinema in sala, di teatro, di concerti ha subito un colpo semi-letale, e si sta riprendendo a fatica), ma nessuno sembra porsi realmente il problema di un’altra desertificazione in atto, quella delle librerie. Ed altresì dicasi per le edicole

In sostanza, si assiste inerti a processi di modificazione del sistema dell’offerta, a tutto vantaggio della fruizione digitale ed a tutto vantaggio delle piattaforme.

In nessuna delle due iniziative (Anica / Aie) è emersa una visione organica del sistema culturale nazionale. In nessuna delle due iniziative è emersa l’esigenza di una cassetta degli attrezzi adeguata al buon governo del sistema.

Deficit di autocoscienza del sistema

In sostanza, permane un complessivo deficit di autocoscienza del sistema, e quindi una inevitabile carenza di capacità autocritiche da parte di chi lo governa.

La politica culturale italiana sembra dettata da una logica inerziale, con due lobby molto potenti (l’Anica e l’Apa) nel settore audiovisivo ed altre lobby più deboli (l’Agis ha perso forza nel settore dello spettacolo dal vivo, e la sua associata Anec – esercenti cinematografici – sembra oggi l’ombra di quella che è stata nel passato; l’Aie e la Fieg e la Fimi appaiono deboli, a fronte delle consorelle dell’audiovisivo…).

Esisterebbe anche una “confederazione” di associazioni imprenditoriali, ovvero Confindustria Cultura Italia, ma la sua voce non si ascolta da tempo (sono associate le “audiovisive” Anica ed Apa ed Univideo, le “musicali” Fimi ed Afi e Pmi, la libraria Aie…).

Manca unità e visione organica. Manca strategia di sistema.

Completamente assente, poi, nello scenario del “decision making” della politica culturale, il ruolo delle associazioni degli autori e degli artisti e dei creativi in generale, fatto salvo qualche guizzo di vitalità – occasionalmente – dell’Anac, la storica associazione degli autori cinematografici. Non giunge voce dai sindacati e dalle associazioni dei teatranti, dei musicisti, degli scrittori…

Assenza di sintonia e sinergia tra Mic e Rai

Manca anche una sintonia (e sinergia) tra il Ministero della Cultura ed il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, e basti osservare come proceda per la sua via la “politica culturale” del Ministro Luigi Di Maio, in assenza di adeguati raccordi con il Mic. E che dire del Ministero dello Sviluppo Economico?! Anche in questo caso, il dicastero procede per la sua via.

Emerge anche l’assenza di una reale interazione tra il Ministero della Cultura e la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo: quella che viene retoricamente definita “la maggiore industria culturale” italiana, la Rai, ha un ruolo modesto nell’economia complessiva del settore.

Certo… Rai è senza dubbio il maggior committente della “fiction” nazionale (realizzata soprattutto grazie al contributo del Ministero). Certo… RaiCinema è maggior co-produttore di cinema “theatrical” italiano… Certo, esiste un canale di qualità come Rai Radio 3 che stimola la diversificazione culturale… ma tutto questo è portato “a sistema”, in una ottica integrata di marketing strategico e di democrazia culturale? No.

Esiste forse una politica di offerta della Rai che promuove il consumo di cultura, inteso come cinema in sala, libri nelle librerie, musiche nei negozi di dischi, giornali e periodici nelle edicole?! No. Assolutamente no. Iniziative rare e sporadiche.

Eppure una articolata sinergia tra Mic e Rai potrebbe determinare positivi effetti dirompenti nella stagnante situazione del sistema culturale italiano. Anche soltanto a livello di promozione dei consumi.

L’iniziativa Anica è stata una vetrina per consentire al Presidente del Consiglio dei Ministri di elogiare l’industria culturale nazionale, ma anche questa è retorica allo stato puro. Ha sostenuto Mario Draghi: “dal Dopoguerra, l’industria del cinema e audiovisiva italiana ha ricoperto un ruolo centrale nella nostra società. È stata fonte di intrattenimento, di bellezza, di conoscenza. Ha portato la cultura italiana nel mondo. Oggi il settore del cinema e audiovisivo si muove con nuovi strumenti e si rivolge a pubblici più vari. Ha bisogno di tecnologie aggiornate e di trovare nuove forme di collaborazione internazionali. Deve continuare a promuovere il talento, a essere un laboratorio di creatività, a mantenere come adesso profondità e ambizione”. Bene, grazie, bis. Stesse parole potrebbe averle spese un Presidente della Repubblica in occasione dell’ennesima presentazione dei David di Donatello… E stendiamo un velo di silenzio sui “numeri” spesi da Draghi nel suo messaggio alla kermesse Anica, che ha sostenuto: “nel 2020 sono stati prodotti 252 film, di cui 161 interamente italiani, e 105 opere audiovisive. Sono segnali incoraggianti, che indicano una continuità rispetto ai risultati economici positivi raggiunti negli anni precedenti”. Nemmeno Draghi ha l’elenco di questi misteriosi 252 film cinematografici, e chissà se si tratta di segnali veramente “incoraggianti” o di numerologie fantasiose…

Nicola Zingaretti (Regione Lazio): “una creatività che sia produttrice di buon lavoro e sviluppo, redistribuendo la ricchezza”

Più concreta la richiesta del Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti: “vi chiediamo due cose: un aiuto perché la creatività, sia anche produttrice di buon lavoro e sviluppo, ridistribuendo la ricchezza; in secondo luogo, impegniamoci tutti nella ricostruzione di una grande identità collettiva dell’Italia e dell’Europa, in questo il ruolo del cinema e dell’audiovisivo è insostituibile”. Tesi condivisibili, soprattutto la prima, perché si ha ragione di temere che, nella grande esplosione della fruizione di audiovisivo su piattaforme e web, l’anima fondamentale del settore – ovvero gli autori ed in generale i creativi – non stia beneficiando di tutta questa produzione di ricchezza, anzi ne viene progressivamente marginalizzata e depauperata… a favore dei giganti del web.

Interessante la tesi dell’Assessore alla Cultura di Roma Capitale, Miguel Gotor, che ha auspicato concretamente “soluzioni condivise, come la riduzione della Tari per le sale cinematografiche, fondi a sostegno della cultura, e scuole specifiche… Sul fronte del cinema, bisognerebbe intervenire sulle leggi, imponendo ai colossi dello streaming di rendere fruibile il film online solo 3-4 mesi dopo la proiezione in sala, altrimenti questa non può sopravvivere…”.

Concreto anche Antonio Tajani, Vice Presidente del Partito Popolare Europeo, Vicepresidente e Coordinatore unico nazionale di Forza Italia: “dobbiamo essere inflessibili nei confronti dei giganti del web che devono pagare le tasse in Europa”.

Paolo Gentiloni, Commissario Europeo per l’Economia, ha sostenuto che “non c’è società libera senza una offerta culturale ampia e pluralistica”, belle parole, ma forse ci si dovrebbe domandare se l’attuale architettura della politica culturale italiana stimola realmente l’estensione dei consumi culturali e dello spettro di un’offerta plurale.

Apprezzabile l’intervento del Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, che ha affrontato uno dei punti dolenti del sistema: “molto deve essere fatto per cercare in qualche modo di garantire l’italianità delle imprese, sempre più frequentemente inglobate in società straniere. Per questo, è necessario continuare a utilizzare gli strumenti e le risorse europee a disposizione per creare e mantenere le condizioni affinché le idee e la volontà di fare si possano esprimere, incentivando la nascita di imprese italiane ed europee che possano diventare un esempio del domani”. Attendiamo interventi normativi a difesa della “italianità” delle imprese culturali nazionali.

Dario Franceschini (Mic): “90 giorni nelle sale cinematografiche prima di andare sulle piattaforme”

Chiudiamo questo florilegio di interventi con la tesi del titolare del Mic. Dario Franceschini ha dichiarato di aver già firmato “il decreto che prevede 90 giorni nelle sale prima di andare sulle piattaforme. Questo vale da sempre in Italia per i film italiani che hanno avuto contributi pubblici. Stiamo lavorando, un po’ come hanno fatto in Francia, per immaginare una norma che estenda questo tempo anche a tutti i tipi di film. Italiani e non italiani”.

Questo sì è un annuncio importante, di un intervento che sembra finalmente caratterizzato da un sano approccio di ecologia dei media, nella attuale grande confusione che finisce per favorire soprattutto le piattaforme web e la loro attività spesso vampiresca…

Ipsos per Aie: il 35 % degli italiani utilizza libri in maniera illegale, quasi 2 miliardi di perdita per il Paese

Se molte belle parole nel fluviale incontro promosso dall’Anica (una vera e propria… passerella), dati allarmanti quanto concreti dall’Associazione Italiana Editori (Aie).

Da notare “en passant” che il Ministro Dario Franceschini si è affacciato alla kermesse dell’Anica, ma non a quella dell’Aie, sebbene questa fosse paradossalmente ospitata presso la sede del suo stesso Ministero: insignificanti dettagli… “coreografici”, o significative indicazioni di diversa… potenza delle due lobby?!

Durante la pandemia, è cresciuta la pirateria nel mondo del libro, in Italia: nel 2021, sono stati registrati 322mila “atti illegali” al giorno, in crescita del 5 % rispetto al 2019…

La seconda indagine Ipsos per Aie presentata nell’incontro de Gli Editori (Aie e Fieg): i “libri piratati” costano al mondo del libro 771 milioni di euro di mancato fatturato e la perdita di 5.400 posti di lavoro.

Contando anche l’indotto, il costo per il Paese è di 1,88 miliardi e 13.100 posti di lavoro…

Utilizza libri, “ebook” e audiolibri in maniera “illegale” ben il 35 % della popolazione sopra i 15 anni, e la quota percentuale sale all’81 % degli universitari ed al 56 % dei professionisti…  

Cresce la percentuale di chi considera poco probabile essere punito: sono ormai il 68 % degli italiani…

Esiste una politica nazionale ben coordinata di contrasto alla pirateria?! Non ci sembra che l’azione della Fapav (Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali) sia ancora sufficiente a contrastare il fenomeno, e non abbiamo memoria di campagne di sensibilizzazione di minima portata nazionale e di carattere continuativo. E sarebbe necessario affrontare il problema pirateria di petto ed in modo organico, unendo gli sforzi tra audiovisivo ed editoria libraria e musica…

Anche in questo caso, è un problema di natura culturale: far comprendere alla cittadinanza che, per risparmiare qualche euro, con piccoli ed apparentemente innocui atti di simpatica “pirateria”, si sottrae in verità linfa vita all’industria culturale e creativa nazionale, come ben ci può insegnare la Siae (Società Italiana Autori Editori).

E la Rai si è forse mai mossa anche su queste problematiche?! Non risulta.

Torneremo presto su queste tematiche (con un resoconto dettagliato delle due kermesse), ma dalle due iniziative emerge –  ribadiamo – l’impressione di un complessivo deficit di strategia, “di sistema” e “di Paese”, nelle politiche culturali nazionali. Ognuno per la sua via, ognuno nel proprio orticello, guardando al proprio ombelico. Frammentazione diffusa.

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