Si matura l’impressione di una sorta di “disprezzo culturale” da parte del Governo nei confronti delle sale cinematografiche: rassegnazione digitale?!

Come è ben noto ai lettori più affezionati di questa rubrica “ilprincipenudo”, curata da IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale da anni per il quotidiano online “Key4biz”, da molto tempo denunciamo le asimmetrie dell’intervento pubblico a favore del cinema in Italia: se va dato atto al Ministro Dario Franceschini di aver allargato i cordoni della borsa (ormai lo Stato spende 750 milioni di euro l’anno per sostenere il settore), la gran parte dei danari pubblici viene destinata al segmento della produzione audiovisiva, trascurando – incomprensibilmente – il segmento della sala cinematografica.

Si assiste a quella che abbiamo definito una sorta di rassegnazione digitale, come se il trionfo del web debba segnalare la morte di una serie di attività che si caratterizzano per una preziosa dimensione di socialità fisica: tra queste, senza dubbio il cosiddetto “spettacolo dal vivo” – ovvero il teatro, la danza, la musica… – ma anche la fruizione di cinema giustappunto nei cinematografi…

WINDTRE BUSINESS

Ieri pomeriggio (28 aprile), il Ministro della Salute Roberto Speranza ha assunto una decisione che non esitiamo a definire ridicola, perché insensata ed irrazionale, firmando una ordinanza che prevede il perdurante obbligo delle mascherine – e peraltro quelle di tipo Ffp2 – nei cinematografi, nei teatri, nei locali di intrattenimento e di musica dal vivo… Il provvedimento impone la mascherina anche nel trasporto pubblico locale ed a lunga percorrenza.

L’obbligo vale per un mese e mezzo ancora, ovvero fino al 15 giugno 2022.

Ed anche nelle scuole, fino alla conclusione dell’anno scolastico…

Se è comprensibile che l’obbligo venga mantenuto nelle strutture sanitarie (per tutti: utenti, pazienti, visitatori, personale sanitario…), questa discriminazione in primis del settore dello spettacolo, a fronte di una sostanziale liberalizzazione in tanti altri settori della vita sociale (bar, ristoranti, altri esercizi commerciali…) appare veramente assurda.

Mario Lorini (Anec): “perché solo il cinema e lo spettacolo debbono essere penalizzati?!”

Come non condividere quindi la denuncia della principale associazione nazionale degli esercenti cinematografici italiani?!

Ha dichiarato ieri, poco prima che l’ordinanza fosse firmata, in una sorta di appello “in extremis”, il Presidente dell’Associazione Nazionale Esercenti Cinematografici (Anec) Mario Lorini: “è inaccettabile che sia ancora lo spettacolo l’unico a pagare una pesante e ormai non più sostenibile né comprensibile penalizzazione in materia di protocollo Covid”. Secondo gli esercenti, a fronte di una generica raccomandazione per tutte le attività lavorative, “comprese realtà commerciali sicuramente molto affollate e con elevate possibilità di contatto fra le persone, mentre si obbligano i cinema a impone la Ffp2, nemmeno le chirurgiche già concesse alle discoteche”.

L’Esecutivo vuole favorire ormai “senza se e senza ma” la fruizione di film sulle piattaforme?

L’Anec aggiunge, giustamente: “si dichiari dunque pubblicamente che si intende condannare definitivamente e senza appello un comparto, lo spettacolo cinematografico in sala, intendendo favorire, senza se e senza ma, gli sfruttamenti in piattaforma dei film. Sono due anni che, con senso di responsabilità, gli esercenti hanno preso atto delle stringenti misure, ma adesso l’accanimento non è più comprensibile. La filiera ha evidente la profonda crisi del cinema in sala che colpisce pesantemente e maggiormente le produzioni nazionali”.

L’associazione ricorda che il 2020 ha registrato perdite del 71 % rispetto al 2019. Il 2021, Italia unico paese in Europa che ha registrato perdite, ha chiuso con una diminuzione sul 2020 del 12 % ed il 2022, dopo 4 mesi, registra perdite del 60 % sul 2019.

Nessun settore è in grado di resistere a numeri disastrosi di questo livello, ed ormai non sembra più trattarsi  di un tema di salute, ma di volontà politica incomprensibile e unicamente dannosa per il settore… Chiediamo assunzione di responsabilità al Consiglio dei Ministri, per evitare ulteriore danno all’esercizio cinematografico, in vista di due mesi che vedranno arrivare in sala alcuni blockbuster di forte appeal che potrebbero consentire un ritorno in sala di pubblico..”.

L’appello è stato completamente ignorato.

La posizione del Ministro Dario Franceschini, sul delicato tema, non è stata registrata.

Una settimana fa, il Presidente dell’Anec dichiarava alla Adnkronos: “il governo decida al più presto, si attendeva una decisione già verso il 20 aprile, dopo le festività pasquali, e invece oramai siamo arrivati al secondo weekend e quasi alla vigilia del Primo Maggio…”. Lorini lamentava: “raccogliamo ancora notizie alterne, fra chi spinge e chi frena sul mantenimento delle mascherine nei luoghi chiusi. Per noi, la misura migliore consiste nel togliere l’obbligo, accompagnata da una forte raccomandazione a tenerla, come scelta consigliata e non come misura obbligatoria”. Così argomentava: “abbiamo rispettato al massimo ogni misura; non abbiamo neanche alzato la voce, davanti alle spiegazioni della scienza e alle esigenze di sicurezza. Ma ora devono essere comprese le nostre condizioni: se i cinema, come i teatri, si classificano come luoghi sicuri, perché poi sono penalizzati rispetto ad altri luoghi, come ad esempio i ristoranti, che certo non sono più sicuri delle sale cinematografiche? Serve coerenza con gli altri luoghi ricettivi. E poi, teniamo presente che tranne in caso di grandi eventi, che sono rarissimi casi, i cinema si stanno riempiendo per meno della metà della loro capienza…”.

Lorini ha perfettamente ragione.

L’andamento non più pandemico ma endemico del Covid ha già consigliato a Paesi simili all’Italia, come la Francia, dove l’obbligo delle mascherine è stato abolito, la Germania, la Spagna, ad attenuare le misure di sicurezza assunte nel momento della massima emergenza.

Ormai l’Italia è l’unico Paese in Europa a non aver abolito almeno parzialmente l’uso obbligatorio dei dispositivi protettivi. Questa è la situazione nel resto del continente.

Abolizione totale

A dire addio alle mascherine, ad oggi, sono il Regno Unito, la Danimarca, la Svezia, la Svizzera e la Croazia. Il primo Paese a prendere questa decisione è stato l’United Kingdom, che ha tolto l’obbligo già da gennaio anche sui mezzi pubblici, seguita da Svezia e Danimarca a febbraio. La Svizzera ha abolito l’obbligo dal 1° aprile ovunque, e poco dopo si è accodata anche la Croazia

Abolizione parziale

Nei Paesi Bassi, si usa la mascherina solo sui mezzi pubblici e aerei da fine febbraio. Situazione molto simile in Germania, dove vige l’obbligo solo su aerei e treni a lunga percorrenza. Analogamente anche in Francia e in Spagna è rimasta l’imposizione sui mezzi pubblici, ma si aggiungono anche le strutture sanitarie. Fra i Paesi che hanno optato per un’abolizione parziale è l’Austria che ha le regole più stringenti, vietando di entrare senza mascherina non solo nelle strutture sanitarie e sui mezzi pubblici, ma anche nei supermercati e nelle banche…

Dal Governo, una sorta di disprezzo culturale nei confronti della sala cinematografica

Ancora una volta, si registra: una gestione irrazionale della attuale fase post-pandemica; una assoluta superficialità nell’assumere provvedimenti che non sono basati su scienza e coscienza, ma su sensazioni emotive; e soprattutto, per quel che qui più interessa, una sorta di disprezzo culturale nei confronti dalla sala cinematografica.

Prevale amarezza e tristezza.

E nessuno sembra cogliere, al Governo, il suggerimento che abbiamo manifestato tante volte su queste colonne: ancor più a fronte di queste decisioni assurde, è indispensabile ed urgente una campagna promozionale di rilancio della fruizione di cinema in sala.

Scrivevamo qualche settimana fa (vedi “Key4biz” dell’11 febbraio 2022, “Lo stato di salute del sistema culturale italiano? Non si sa ma il cinema in sala muore”) ed oggi ribadiamo…

È indispensabile ed urgente una campagna promozionale potente e robusta per il “theatrical”: budget da 20 o 30 se non 50 milioni di euro

Il dato di fatto oggettivo è che ad oggi non è stata dedicata in Italia nessuna vera attenzione ad una campagna promozionale potente e robusta di ri-stimolazione alla fruizione in sala.

Serve un budget adeguato alla sfida da affrontare, almeno 20 se non 30 o 50 milioni di euro.

Sono cifre compatibili con l’attuale intervento dello Stato nel settore (i succitati 750 milioni di euro).

La attuale ripartizione tra le varie aree di intervento va modificata: è troppo squilibrata a favore della produzione. Almeno un 5 % del Fondo per il Cinema e l’Audiovisivo va allocato per iniziative di promozione (un 5 % di 750 milioni di euro sarebbero poco meno di 40 milioni di euro l’anno): serie, professionali, tecnicamente evolute, avvalendosi di agenzie pubblicitarie nazionali ed internazionali, bandendo un concorso che coinvolga i migliori creativi (e, ovviamente, anche la Rai, nella sua funzione di servizio pubblico radiotelevisivo sensibile alle industrie culturali e creative nazionali).

D’altronde, se lo Stato sta saggiamente per iniettare nel sistema della scuola oltre 50 milioni di euro per stimolare la cultura cinematografica e audiovisiva nelle scuole (vedi “Key4biz” del 1° febbraio 2022, “Borgonzoni (Mic), sbloccati fondi per 54 milioni. Cinema come materia scolastica?”), un budget simile non è necessario per ri-stimolare in modo finalmente serio la fruizione di cinema nelle sale?!

Temiamo che la gravità del problema “promozione” sia stata sottovalutata, gli effetti di questa distrazione istituzionale sottodimensionati.

Disprezzo culturale e rassegnazione digitale sono i veri “killer” del cinema in sala in Italia.

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