Nella settimana che si chiude oggi assistiamo ad un florilegio di 4 “case study” del governo approssimativo e discrezionale della cultura italiana.

La settimana che si chiude venerdì 26 giugno registra alcuni accadimenti rispetto ai quali si può identificare una sorta di fil rouge dal punto di vista delle politiche culturali e delle economie mediali italiane: dall’esasperazione della vicenda de “i ragazzi del Cinema America”, alle controverse dimissioni di Eleonora Andreatta dalla Rai ed il suo approdo a Netflix, passando al nuovo Consiglio di Amministrazione di Cinecittà Luce la cui presidenza de facto è stata affidata a Goffredo Bettini, dall’esito della gara Mibact per la “valutazione di impatto” della Legge Cinema e Franceschini al nuovo bando della Regione Lazio per sostenere le attività culturali… Qual è il “filo rosso”?

La trasparenza, limitata. La meritocrazia, limitatissima.

In sostanza, tutte queste dinamiche si traducono sempre – o quasi – in procedure amministrative, che non sono (quasi) mai particolarmente trasparenti e non sono (quasi) mai particolarmente tecnocratiche.

Alla vicenda de “i ragazzi del Cinema America”, abbiamo dedicato grande attenzione su queste colonne (vedi “Key4biz” del 10 giugno 2020, “L’emblematico caso del Cinema America di Roma”), ed è stupefacente che la vicenda sia stata ritenuta degna di attenzione nientepopodimeno che da parte dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, che ha deciso mercoledì 24 giugno di avviare una istruttoria (che vede sia Anica sia Anec sul tavolo degli imputati) che ipotizza un’azione di disturbo delle dinamiche concorrenziali da parte delle imprese di distribuzione che non avrebbero concesso agli attivisti di Trastevere titoli da proiettare a Piazza San Cosimato (il provvedimento recita “ostacoli all’approvigionamento di film da parte delle arene cinematografiche a titolo gratuito”). Va dato atto che già in passato, anche nella sua “Relazione Annuale” al Parlamento, l’Autorità Antitrust presieduta da Roberto Rustichelli ha segnalato anomalie nei processi concorrenziali del settore “theatrical”, ma è veramente inconsueto che una vicenda piccina picciò come quella dei “ragazzi” guidati dall’iperattivo Valerio Carocci venga ritenuta significativa e degna di cotanta attenzione… Attendiamo l’esito dell’istruttoria, pensando però che – in verità – le patologie del sistema cinematografico ed audiovisivo italiano siano ben altre, a partire da alcune dinamiche di concentrazione oligopolistica e dalle conseguenze di alcune “integrazioni verticali” nella filiera…

La “regina” della Fiction Rai (per sette anni) Eleonora Andreatta passa a Netflix

Del passaggio di Eleonora Andreatta da Rai a Netflix, che dire?! Il suo operato, nel corso degli anni, è stato apprezzato dai più, per la serietà professionale e per l’impegno a stimolare le coproduzioni internazionali, ma… soprattutto di coloro che hanno avuto accesso agli interventi della Rai nella produzione audiovisiva. Ovviamente gioiscono della sua dipartita coloro che non erano mai entrati nella “eletta schiera” dei sostenuti da Viale Mazzini. Andreatta è stata alla guida di Rai Fiction per 7 anni, e qualcuno da tempo invocava una sana logica di avvicendamento (turnazione) anche per evitare che alcune “linee editoriali” restassero congelate per troppo tempo (anche dal punto di vista della visione culturale-ideologica dell’immaginario italico).

E qui si apre un altro capitolo della questione che affrontiamo: i criteri di selezione che la televisione pubblica italiana adotta, per scegliere quali “fiction” avviare e coprodurre, e quali no, sono sufficientemente trasparenti e meritocratici?! La risposta è incerta: una analisi comparativa internazionale consentirebbe di comprendere che i “public media service” di altri Paesi europei – Francia e Regno Unito, in primis – adottano criteri selettivi che sono più aperti e trasparenti, con “call” pubbliche periodiche e definizione di “linee guida” più chiare.

Eleonora Andreatta ha in effetti avuto “potere di vita e di morte” sull’intera comunità audiovisiva nazionale, per molti anni, forse troppi. Senza chance di appello. Se lei decideva positivamente, vivevi. Se lei decideva negativamente, morivi. Ovviamente questa analisi è volutamente semplificata, perché, certamente, si può anche tentare di “produrre fiction”, in Italia, senza la benedizione della Rai (e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo), ma è ardua intrapresa, andando a bussare alle porte di Mediaset, e di Sky Italia e finanche – in ultima istanza – di Netflix. Peraltro l’investimento di questi tre “player” è modesto e marginale, rispetto a quello della Rai. In sostanza, esiste una concentrazione anomala da parte del “triopolio” Rai + Mediaset + Sky, e la parte del leone l’ha sempre fatta, negli ultimi anni, Rai (ovvero la “leonessa” Andreatta). Peraltro, l’abbandono di Viale Mazzini di Tinny Andreatta determina che una posizione di “king maker” del sistema diviene vacante, e che la sua esperienza professionale – certamente preziosa per Rai – viene trasferita ad una pimpante multinazionale. Parrebbe con un raddoppio dello stipendio, che pure a Viale Mazzini era notevole, ovvero 240mila euro l’anno (dato ufficiale dalla sezione “Trasparenza” del sito web Rai, sulla quale campeggia ancora la sua fotografia e la sua biografia professionale).

Alcuni associano questa dipartita ad una altra “emigrazione eccellente”, quella di Andrea Fabiano, nel settembre 2019, da eccellenti posizioni dirigenziali apicali in Rai (Direttore di Rai 1 prima, poi di Rai 2 ed infine di “Viva Rai Play!”) alla guida di Tim Vision, come Responsabile Multimedia di Tim

Nessuno si pone il problema, politico prima che culturale, del ruolo critico della Rai nell’economia complessiva del sistema audiovisivo nazionale, così come del ruolo di “produttori indipendenti” che – con l’attuale framework normativo – continuano a non essere granché “indipendenti”.

La “valutazione di impatto” 2019 della Legge Franceschini ri-affidata a Cattolica e Pts Clas

Venerdì scorso 19 giugno, la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Mibact ha pubblicato l’esito del bando di gara (pubblicato il 28 febbraio scorso, e la cui scadenza è stata rimandata tre o quattro volte) per la realizzazione della “valutazione di impatto” socio-economico della Legge cosiddetta “Franceschini” (per l’anno 2019), ovvero delle nuove norme che, dal 2017, governano l’intervento della “mano pubblica” nel settore cinematografico ed audiovisivo, ovvero quei 400 milioni di euro che lo Stato inietta nel sistema.

Questa “valutazione di impatto” è relativa all’anno 2019, di fatto il terzo di applicazione della legge, ed è un documento fondamentale, perché consente (dovrebbe consentire) a tutti gli operatori (ma anzitutto al “policy maker”) di comprendere se la legge è efficiente e soprattutto efficace. Il bando è stato vinto, per la seconda volta, da un raggruppamento temporaneo di imprese formato dall’Università Cattolica di Milano e dalla società di consulenza Pts Clas, ovvero gli stessi co-autori della “valutazione” dell’anno scorso.

Si ricorda che questo documento non è mai stato oggetto di una presentazione (e discussione) da parte del Ministero, ed ha avuto una diffusione semi-clandestina, per incomprensibili ragioni. Alcuni malignano che il committente si sia reso conto che la relazione dell’anno scorso conteneva alcuni errori marchiani, che abbiamo segnalato anche su queste colonne: per esempio, secondo Cattolica e Pts Clas, l’export di audiovisivo della Repubblica Ceca sarebbe di oltre 1 miliardo di euro l’anno, a fronte dei 60 milioni di euro dell’Italia. Per la precisione (vedi pag. 76 della relazione), la Germania avrebbe esportato nel 2017 “prodotti audiovisivi e cinematografici” per oltre 2 miliardi di euro (!), ovvero, per la precisione 2.081 milioni di euro, seguita dalla Repubblica Ceca (?!) con 1.023 milioni, dalla Polonia con 684 milioni di euro (???). Insomma, Polonia batte Italia 10 a 0, nell’export audiovisivo. Incredibile, ma vero: nero su bianco, e trasmesso dal Mibact al Parlamento (ove temiamo – ahinoi – nessun deputato o senatore abbia degnato il report della più minima attenzione). Eppure il Mibact ha riassegnato questo incarico agli stessi consulenti dell’anno scorso, a fronte di un budget di 100mila euro. Il lavoro deve essere realizzato nell’arco di tre mesi, e sarà interessante leggere i risultati di questo novello incarico, sperando che, questa volta, il report sia più accurato, e che divenga magari anche oggetto di un pubblico confronto tra i vari “attori” della filiera.

Maria Pia Ammirati: neo Presidente di Cinecittà Luce mantenendo la direzione di Rai Teche

Oggi, la neo Presidente dell’Istituto Luce Cinecittà, Maria Pia Ammirati, ad una settimana dal suo arrivo ufficiale, ha concesso una intervista all’“house organ” della società di via Tuscolana, “Cinecittà News”, dalla quale non emergono particolari novità su una possibile nuova strategia nel settore. Nessuna “vision”, per esempio, su un possibile “asse” tra Cinecittà e Rai, come pure sarebbe naturale attendersi dato il suo percorso professionale.

Al di là di una qualche legittima rivendicazione per essere una delle poche donne chiamate in Italia, nel settore delle società pubbliche, ad un ruolo dirigenziale apicale, osserviamo che Ammirati dichiara con candore che manterrà i due incarichi: Presidente di Luce Cinecittà e Direttrice delle Teche Rai. Riteniamo questa scelta assolutamente errata, perché entrambi gli incarichi sono importanti e delicati, e nemmeno una “Super Woman” (precisiamo che, se fosse di gender maschile, la critica sarebbe la stessa) può oggettivamente assolverli al meglio.

Peraltro, la Presidente non lo rivela, ma, a quanto ci è dato sapere, il Consiglio di Amministrazione ha assegnato a lei la delega giustappunto per l’Archivio e quindi le Teche, mentre il potere reale sarebbe stato assegnato a Goffredo Bettini, una sorta di consigliere con deleghe così pesanti da essere un Presidente de facto di Cinecittà (da segnalare che Bettini viene intervistato dai quotidiani come “consigliere” di Nicola Zingaretti). Anche in questo caso, il criterio di selezione degli amministratori è stato assolutamente discrezionale, come abbiamo spiegato in un precedente intervento su queste colonne (vedi “Key4biz” del 19 giugno 2020, “Da Cinecittà, a Musica per Roma e all’Agcom. Il solito balletto della discrezionalità delle nomine?”): prevale il criterio dell’“intuitu personae”, ovvero della persona di fiducia del Ministro (o dell’Assessore, e variazioni sul tema). Nessuna pubblica “call” è stata infatti promossa dal Ministro Dario Franceschini per selezionare l’eletta schiera dei consiglieri di Cinecittà…

Il curioso bando della Regione Lazio per sostenere la cultura: ennesimo caso di discrezionalità

Infine, in questo “florilegio di discrezionalità” nella gestione della “res publica” culturale e mediale, che dire di un improvviso bando promosso dalla Regione Lazio una decina di giorni fa?

Pubblicato sul Bollettino della Regione Lazio nella sua edizione del 18 giugno 2020 (ma incredibilmente senza segnalazione di sorta sul sito web della Regione stessa), si tratta di 780mila euro affidati alla società “in-house” Lazio Innova, che gestisce la gran parte dei bandi regionali. Il bando recita pomposamente (al di là dell’esiguità della dotazione finanziaria): “Contributi per la realizzazione di iniziative di promozione della cultura e dello sport, di animazione territoriale e di inclusione sociale”.

Tre caratteristiche di questo bando hanno tratti surreali: si tratta di contributi per la promozione di iniziative culturali e sportive, ma la modulistica per presentare le istanze non prevede un “format” schematico (un “template” digitale), bensì consente di presentare le proposte in modo libero e discrezionale (non agevolando così granché il lavorio della commissione di selezione); l’elemento più incredibile è che verranno finanziati progetti, fino al 100 per cento dei costi, con un limite di 35mila euro, ma senza prevedere alcun acconto o anticipazione (!); ultima chicca, il bando è cosiddetto “a sportello”, ovvero chi… prima arriva, meglio alloggia.

Si tratta di una procedura senza dubbio consentita dalle leggi vigenti, ma naturale sorge la domanda: è questa una modalità corretta ed adeguata – in termini di “policy” – per sostenere le attività culturali, soprattutto in una fase critica, qual è quella attuale post pandemica, che ha messo in ginocchio tutte le attività economiche del Paese, ed in particolare quelle del settore culturale?!

Anche in questo caso, la trasparenza è modesta, dato che non si è ben compreso quale sia l’Assessorato competente e con quali criteri sia stato allocato questo budget e per quali ragioni con queste curiose modalità…

Un florilegio di discrezionalità a gogò

Conclusivamente, abbiamo a che fare con 4 vicende certamente diverse tra loro, ma accomunabili – a mo’ di “case study” patologico – nell’economia politica di un sistema di (non) governo della cultura.

Un “sistema” che non dedica attenzione ad una logica “sistemica” e strategica.

Un “sistema” che accantona i criteri del merito e della tecnocrazia, a favore della discrezionalità del “principe” di turno.

Un “sistema” che non adotta una politica culturale da “sistema Paese”, e non cerca di superare frammentazioni e paratie.

Un “sistema” che non utilizza al meglio le tecniche di analisi predittiva e di valutazione dell’impatto del proprio operato.

Insomma, un “non sistema”: complessivamente governato dalla nasometria e dalla discrezionalità, in un groviglio di interessi soggettivi partigiani e contingenti.

D’altronde, ascoltando penosamente le intercettazioni telefoniche del “caso Palamara” – al di là della rilevanza o meno ai fini dell’individuazione di fattispecie di reati penali – ci si rende conto di come il “capitale relazionale” finisca per prevalere sul merito, anche in una di quelle che dovrebbero essere le colonne portanti della democrazia, qual è (dovrebbe essere) giustappunto la magistratura.

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