Audizione dell’Ad Fabrizio Salini in Commissione Vigilanza: si conferma la confusione intra-governativa dello scenario politico complessivo. Forse s’avvia il dibattito per la riforma, a partire dalla proposta Fedeli (Pd).

Mercoledì sera, alcune centinaia (o decine?!) di appassionati di… “cose televisive” (intese come “politica della tv”) hanno assistito ad uno spettacolo non proprio entusiasmante, né per “l’attore” né per “gli spettatori” in modalità “live”: ci riferiamo all’audizione dell’Amministratore Delegato della Rai Fabrizio Salini di fronte alla Commissione bicamerale di Vigilanza, presieduta da Alberto Barachini (Forza Italia), che è “andata in onda” (trasmessa dalla web tv della Camera dei Deputati e da Radio Radicale) dalle ore 20:30 alle 22:45 (due ore ed un quarto!)…

Questa audizione è interessante, soprattutto perché sintomatica delle strane dinamiche che stanno caratterizzando il Paese, in una sorta di confusione tra quelle che, fino a pochi giorni fa, il cittadino medio credeva essere “maggioranza” e “minoranza”, ovvero “governo” ed “opposizione”: in altre parole, il rimescolamento di carte è stato tale che… non si capisce più (per usare un eufemismo) un’acca!

Un Amministratore Delegato della Rai che è stato nominato durante un Governo “giallo-verde” (la strana accoppiata Lega + Movimento 5 Stelle: esecutivo Conte 1°), che è stato “delegittimato” (politicamente e nei fatti) dal successivo Governo “giallo-rosso” (la strana accoppiata Movimento 5 Stelle + Pd: esecutivo Conte 2°), e che viene messo sulla graticola da una Commissione parlamentare nella quale non si comprende più chi è “a favore” e chi è “contro”, avendo ormai un Governo “tutti frutti”, un Governo “Arlecchino”, un simpatico “tutti assieme appassionatamente” (fatta eccezione di Giorgia Meloni per Fratelli d’Italia e Nicola Fratoianni per Sinistra Italiana)…

Il vate Luigi Pirandello si accarezzerebbe il pizzetto, con filosofico sorriso, e ci guarderebbe compassionevolmente, ma noi, molto modestamente, non riusciamo ad arrivare a simili picchi di relativismo estremo, e ci sforziamo di capire.

Si comprende che “il bene della Nazione” deve prevalere su tutto, ma come diavolo è possibile “governare” il Paese, se siedono intorno allo stesso tavolo decisionale forze che, fino a “ieri”, si combattevano con asprezza?!

Le tante latenti “contraddizioni interne”, anche nel neonato “Mic” (Ministero della Cultura)

Temiamo che quelle che abbiamo più volte evocato su queste colonne, ovvero le latenti “contraddizioni interne”, possano determinare presto o una paralisi del processo decisionale o una conflittualità continua ovvero un (non) governo inerziale dei fenomeni.

Esempi?!

La lottizzazione dei sottosegretariati tra le varie forze politiche evidenzia molte delle “contraddizioni interne”.

Cosa prevedere di quel che accadrà al neonato “Ministero della Cultura” (il “Turismo” è stato scorporato ed elevato a dicastero a sé e nel pomeriggio di oggi è stato comunicato che “con l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del decreto di riordino delle attribuzioni dei ministeri, nasce oggi il Ministero della Cultura, che ha per acronimo MiC”), tra un titolare del dicastero come Dario Franceschini che è esponente di spicco del Partito Democratico ed una Sottosegretaria qual è Lucia Borgonzoni, appassionata leghista?!

La distanza culturale – per così dire – tra un Franceschini ed una Borgonzoni è ben maggiore di quella – che pure c’era – tra Franceschini e Anna Laura Orrico, la precedente Sottosegretaria al Mibact (delegata dal Ministro a seguire cinema e audiovisivo).

L’approccio alla “politica culturale” di Pd e Lega è assolutamente divergente, se non agli antipodi: che cosa uscirà fuori dalla… “mediazione”?!

Un livello è il “volemose bene” finalizzato alla gestione della perdurante emergenza pandemica, altro è la gestione dei processi di governo in tutte le sue attività, sociali ed economiche.

Non è questione minore osservare come le due ex Sottosegretarie al Mibact, giustappunto la Orrico e la sua collega Lorenza Bonaccorsi abbiano manifestato con polemica il proprio “dispiacere” per non essere state rinnovate nell’incarico. La seconda, in particolare, non soltanto non è stata confermata nel Governo, ma ha dovuto assistere allo “split” tra Cultura e Turismo, allorquando per anni ed anni la linea del Pd (e di Franceschini stesso) è stata basata sulla fondamentale sinergia e coordinamento tra i due settori.

Contraddizioni interne, anche queste.

Le ex Sottosegretarie alla Cultura, Orrico (M5S) e Bonaccorsi (Pd) polemizzano

Le due “ex” hanno indirizzato via “social” un messaggio ai rispettivi partiti.

Anna Laura Orrico (M5S) ha sostenuto “mi dispiace che il Movimento abbia deciso di rinunciare ad un presidio importante al Ministero della Cultura Resto convinta, infatti, che la cultura sia la vera chiave di volta per immaginare e costruire uno sviluppo sostenibile per il nostro Paese: per questo non smetterò di occuparmi delle imprese che nascono in questo settore, dei suoi professionisti e delle opportunità di rinascita attraverso una seria politica di valorizzazione dei nostri borghi, del nostro dna”.

Lorenza Bonaccorsi (Pd) ha sostenuto “io ci ho messo tutto l’impegno e la competenza che potevo. Senza risparmiarmi mai… Mi dispiace che il mio partito non abbia riconosciuto come elemento strategico e caratterizzante per la ripartenza il settore del turismo. Ma questo è un problema che viene da lontano ed è un’altra faccenda”.

Rispetto ai posti di “sottogoverno”, ci piace riportare un estratto dell’editoriale di Piero Sansonetti, su “il Riformista” di oggi, in un divertente passaggio: (…) “ci avevano annunciato meraviglie, ci siamo trovati a un livello bassino. Sottosegretari. Anche qui qualche eccezione lodevole (ovvio che tra le eccezioni metto la mia amica Deborah Bergamini, che insieme a me ha fatto partire e diretto ‘il Riformista’, prima di tornare alla politica pura) ma poi tanti nomi difficili da digerire. Alla scuola, mi pare, c’è un sottosegretario convinto che la frase “Chi si ferma è perduto” sia un verso di Dante e non una battuta di Topolino di 70 anni fa, ripresa vent’anni dopo da Totò. Ce l’avrà la terza media? Boh. Alla cultura la simpaticissima Borgonzoni, che però sosteneva che l’Emilia (la sua Regione) confina col Trentino e non legge un libro da 3 anni. Poi c’è Sibilia, quello dei chip sottopelle, del mancato sbarco sulla luna, forse anche delle scie chimiche, che è finito all’Interno. Castelli, che dava esilaranti lezioni di economia a Padoan, l’hanno lasciata all’Economia. Alla difesa c’è una certa Stefania Pucciarelli che una volta mise un like a un tweet che invocava i forni nazisti per gli immigrati. E non si ferma mica qui l’elenco. Sono solo finite le righe. Dopodiché ci sono i primi passi del governo. Malfermi e preoccupanti” (…).

Contraddizioni, tra le tante

Abbiamo già segnalato un’altra “contraddizione interna” emersa in occasione dell’approvazione del “Milleproroghe” alla Camera: i partiti che compongono la maggioranza avevano trovato un accordo per limitare le conseguenze dannose (per i proprietari immobiliari, come denunciato tante volte dalla loro associazione Confedilizia) del “blocco degli sfratti” fino al 30 giugno 2021 (un emendamento concordato avrebbe escluso dal “blocco” gli inquilini già sottoposti a procedura esecutiva prima del marzo 2020), ma il Sottosegretario ai Rapporti col Parlamento Federico D’Incà (M5S) ha posto il veto del Governo, adducendo che la questione richiede approfondimenti… In questo caso, la “contraddizione” è paradossalmente tra la maggioranza e l’Esecutivo che essa stessa ha prodotto!

E che dire del titolare del dicastero dello Sviluppo Economico (Mise), chiamato – tra l’altro – ad interagire con Rai, essendo il co-firmatario del pur evanescente “contratto di servizio” tra Stato e Viale Mazzini: Giancarlo Giorgetti non è soltanto esponente apicale della Lega, ma anche l’artefice dello “u-turn” del partito guidato da Matteo Salvini, partito che improvvisamente ha scoperto (anch’esso “per il bene superiore” del Paese) una qual certa vocazione europeista, abbandonando le vesti sovraniste…

La Lega si è espressa in passato – almeno in alcune sue componenti – in modo molto critico rispetto alla Rai, e non è un caso che in Commissione di Vigilanza sia leghista uno dei due parlamentari che non passa giorno che non attacchino Viale Mazzini, con continua “vis polemica”: Massimo Capitanio per la Lega, ed il suo collega, sempre più effervescente, Michele Anzaldi per Italia Viva. Entrambi, non a caso, beneficiano delle positive attenzioni del tg satirico di Mediaset, “Striscia la notizia”, che continua imperterrito la sua campagna contro “gli sprechi Rai”, e Capitanio ha rilanciato in Vigilanza i servizi sarcastici dell’inviato Pinuccio (nome d’arte di Alessio Giannone, che peraltro qualche mese fa ha dato alle stampe un interessante pamphlet, “Annessi e connessi. La vita al tempo dei social”, per i tipi di Mondadori Electa, libro sul quale torneremo presto su queste colonne).

Insomma, sinteticamente: non si capisce veramente un’acca.

E questa confusione è emersa anche nell’audizione di Salini in Vigilanza, mercoledì sera.

L’Amministratore Delegato si è presentato – come usa fare – con un compitino scritto (verosimilmente predisposto da Roberto Ferrara, Direttore del suo Staff, e Stefano Luppi, Direttore delle Relazioni Istituzionali), che ha letto con il suo tono abituale, pacatissimo (eufemismo)… proponendo quasi una sorta di “bilancio” di fine mandato, ma ribadendo che intende restare bene in sella per altri 4 mesi (il mandato dell’attuale Cda scade a fine giugno 2021).

Salini in audizione ed il suo florilegio di orgoglio (da RaiPlay a Rai Documentari)

Dall’intervento di Salini, sono emerse alcune informazioni inedite: per esempio, che la Direzione Ragazzi di Rai ha registrato un incremento di budget da 20 milioni a 22 milioni, che il canale internazionale in lingua inglese è in avanzata gestazione e potrebbe andare in onda tra pochi mesi… Per il resto, l’Ad si è simpaticamente fatto vanto, nell’ordine di: (1.) i successi di RaiPlay (secondo alcuni analisti, son tutti da verificare); (2.) la nascita di Rai Documentari (dotata però di un budget poco più che simbolico, intorno ai 3 milioni di euro); (3.) le iniziative di Rai per il Sociale (commendevoli certamente, ma sempre col rischio “foglia di fico”); (4.) le attività dell’Ufficio Studi (vantandosi Salini del primo libro promosso da questa direzione, dedicato alla coesione sociale: “Coesione sociale. La sfida del servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale”, per tipi della Eri), del tavolo “interdirezionale” (sic) per la parità di genere infra-aziendale (stimolato peraltro dalle attività dell’Ufficio Studi)… Si saranno compiaciuti, nell’ordine Luca Milano (Ragazzi), Elena Capparelli (Digital), Duilio Giammaria (Documentari), Giovanni Parapini (Sociale), Andrea Montanari (Studi), ma poi…

Tempo di bilanci: è stato fatto poco?! è stato fatto tanto?!

Rispetto alla “mission” che Rai dovrebbe svolgere – istituzionalmente, “a priori”, ovvero indipendentemente dal lasco sinallagma dell’evanescente “contratto di servizio – riteniamo che sia stato fatto poco, che “il consuntivo” non sia positivo.

Anzitutto, manca ancora al servizio pubblico radiotelevisivo italiano un profilo identitario, forte e preciso.

Salini è stato sottoposto ad un fuoco incrociato di domande, in fondo nemmeno tanto cattive, che hanno prodotto in lui stesso – e provocato nei parlamentari e negli “spettatori” da casa – una impressione di giustappunto enorme confusione.

Ai limiti del ridicolo (cioè del comico, ovvero commedia all’italiana), allorquando Salini ha cercato di spiegare cosa è avvenuto rispetto alla sedicente “piattaforma italiana della cultura” (Netflix della cultura?!) alias ItsArt (ovvero “Italia is Art”), nella quale Rai non è stata esattamente coinvolta (iniziativa Mibact d’intesa con Cassa Depositi e Prestiti – Cdp e Chili; sull’argomento vedi i nostri approfondimenti, da ultimo su “Key4biz” del 5 febbraio 2020, “Il Governo Draghi staccherà la spina al CdA Rai? E ‘ItsArt’ parte a “fine febbraio, forse marzo”?”).

A seguito delle martellanti domande del Responsabile Cultura di Fratelli d’Italia (Fdi) Federico Mollicone, l’Ad si è veramente arrampicato sugli specchi (ma non è esattamente Spider-Man), di fatto senza rispondere al quesito, netto e chiaro “il Ministro Franceschini le ha proposto, sì o no, un coinvolgimento diretto e attivo di Rai nella piattaforma?!”.

A fronte dei tentennamenti e farfugliamenti dell’Ad, il Presidente Alberto Barachini ha cercato di fornire un “assist”, con un “ora cerco di interpretare cosa ha sostenuto Salini”, al che la senatrice Valeria Fedeli (Pd) che ha reagito “no, che sia Salini a rispondere, non lei o noi ad interpretare il Salini-pensiero”. E l’Ad… non ha chiarito.

Più di un parlamentare ha richiesto quindi che venga audito il Ministro Dario Franceschini.

Ieri sera, “Striscia” ha irriso nuovamente, prendendo in giro Salini e la sua audizione di mercoledì, su più fronti (vedi il servizio di Pinuccio di RaiScoglio24, “Sprechi Rai, l’audizione di Fabrizio Salini”), rilanciando soprattutto le “impertinenti” domande del leghista Massimo Capitanio.

E ciò basti.

Attacchi a Viale Mazzini, dall’esterno e dall’interno

La situazione Rai registra una deriva preoccupante, giorno dopo giorno: le critiche non vengono soltanto dalla concorrenza (Mediaset alias “Striscia”), ma anche da chi l’azienda la conosce bene dall’interno, e ricopre il ruolo di (co) amministratore.

Impressiona leggere quel che ha scritto il consigliere indipendente (in quanto non lottizzato dai partiti, ma eletto dai dipendenti) Riccardo Laganà che ha denunciato le incongruenze del controverso programma di Rai1 “A grande richiesta”, sostenendo: “destano estrema preoccupazione i risultati di ascolto della produzione del sabato sera di Rai1 ‘A grande richiesta’ realizzata in appalto totale dalla Ballandi per una previsione di costo a puntata di circa (omissis) (720.000 euro a puntata, secondo stime IsiCult ndr) come riporta il piano di produzione e trasmissione 2021 recentemente approvato a maggioranza. Se la prima puntata ‘A grande richiesta-parlami di amore’ aveva conseguito il preoccupante 10,2 % di share, la seconda puntata ‘A grande richiesta: minaccia bionda’ ha raccolto, in un periodo in cui il pubblico potenziale è costretto a casa dalle normative Covid, l’8,3 %”. Il problema non è però di audience, segnala Laganà: “il combinato disposto di tali risultati di ascolto, discutibili scelte autoriali e la decisione di realizzarla interamente in appalto ha fatto infuriare le lavoratrici e i lavoratori Rai che da tempo attendono di avere la loro possibilità e di essere valorizzati e che non si accontentano più delle solite, sterili motivazioni riferibili ad asserita cronica carenza di mezzi e personale”. Continua il consigliere indipendente: “normalissima diligenza aziendale avrebbe peraltro consigliato…”. E qui commette un errore marchiano: la dirigenza aziendale Rai non è una… normale (altro che “normalissima”!) dirigenza di un’azienda qualsiasi… “Normalissima diligenza aziendale avrebbe peraltro consigliato di andare in diretta laddove possibile o registrare le puntate del programma con cadenza settimanale al fine di valutare per tempo eventuali correttivi e in ipotesi persino di sospenderlo per bassi ascolti (con conseguente significativo risparmio del costo a puntata) come avvenuto per altre produzioni di reti Rai. Invece parrebbe che – salvo smentita – con inusuale urgenza e sollecitudine si sarebbe già provveduto a registrare tutte o quasi le puntate pianificate, circostanza che – se confermata – costringerebbe l’Azienda a corrispondere per intero alla società di produzione l’importo pattuito per il lavoro svolto persino nell’ipotesi in cui si decidesse la chiusura anticipata del programma per bassi ascolti”.

Il caso che Laganà – che è micro” ma sintomatico di “macro” – solleva è… uno dei tanti problemi che caratterizzano la Rai.

In estrema sintesi, Viale Mazzini è attanagliata da due macro-problemi: la razionalità della gestione economica (che, secondo alcuni analisti, tende a far acqua da molti punti di vista), ovvero efficienza / efficacia e “vision” strategica, e la “governance” politica (per quel attiene il proprio profilo identitario ed il ruolo di garante – spesso disatteso – del pluralismo politico e socio-culturale del Paese).

Urge la riforma!

Intanto, è in carica un nuovo Governo, ma la riforma Rai “stagna”.

Unico segnale incoraggiante, ieri giovedì, come da annuncio nella seduta n. 300 del Senato: l’ultima proposta di legge in materia, quella presentata dalla senatrice Valeria Fedeli (Pd) il 6 novembre (annunciata nella seduta del 10 febbraio), ovvero l’Atto Senato n. 2011, intitolata “Disposizioni in materia di servizio pubblico radiotelevisivo”, è stata finalmente assegnata: in sede redigente alla 8ª Commissione permanente ovvero Lavori pubblici, comunicazioni (su questi temi, vedi anche “Key4biz” del 20 novembre 2020, “Rai, la Cgil apre il laboratorio per la riforma del servizio pubblico”).

Si confida veramente in un iter realmente concreto e rapido, con la stimolazione di un dibattito che fuoriesca dalle aule di Palazzo Madama e Montecitorio e coinvolga attivamente la società civile. E auguriamoci che il Presidente del Consiglio si renda conto che il “dossier Rai” è importante per la socio-economia del Paese.

Link all’articolo originale >