il principio di discrezionalità, anche detta ‘intuitu personae’, esercitato dal ‘decision maker’ è in alcuni casi veramente estremo, agli antipodi di quelle regole di equità e trasparenza che regolano gli appalti pubblici.

Lunedì scorso 15 giugno è stata ufficializzata la notizia che pure era stata resa nota da alcune settimane, ovvero il rinnovo del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto Luce – Cinecittà, che è stato designato dal Ministero (rectius: dal Ministro) per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo, Dario Franceschini: con un “pubblico avviso”? No. In questo caso: “nessun avviso pubblico” e “cooptazione discrezionale”.

Il comunicato stampa diramato da Cinecittà recita: “L’Assemblea dei Soci ha proceduto alla nomina del nuovo Consiglio di Amministrazione di Istituto Luce-Cinecittà srl – già designato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – nominando Presidente Maria Pia Ammirati. L’Assemblea ha contestualmente nominato i componenti del Consiglio d’Amministrazione, Goffredo Bettini e Annalisa De Simone”.

Va osservato che Ammirati gode della stima (e fiducia) non soltanto del Ministro Franceschini, ma anche della Sindaca di Roma Virginia Raggi, che a metà aprile l’ha nominata nel Cda del Teatro dell’Opera, alla cui guida è stato rinnovato Carlo Fuortes come Sovrintendente (incarico che ha dal 2013).

Tutti professionisti di livello, senza dubbio alcuno.

Mercoledì scorso 17 giugno, la Sottosegretaria al Mibact delegata al Cinema ed all’Audiovisivo Anna Laura Orrico, si è recata in visita agli stabilimenti di Via Tuscolana, per portare il suo “personale augurio di buon lavoro”, ed ha incontrato sia la neo-Presidente sia il neo-Direttore Generale Claudio Ranocchi. In effetti, il nuovo cda della Società, riunitosi il 15 giugno (con la sola partecipazione di Ammirati e De Simone), ha conferito l’incarico di Direttore Generale a Claudio Ranocchi, che mantiene “ad interim” il ruolo di Direttore Amministrazione Finanza e Controllo della Società.

Una decina di giorni fa, il quotidiano “la Repubblica” ha pubblicato un lungo articolo, a firma di Lorenzo d’Albergo (intitolato “Auditorium. Mazzola, è fatta. Raggi la spunta”), secondo il quale sarebbe imminente la nomina di una giornalista Rai alla presidenza della maggiore “macchina culturale” della Capitale, ovvero Musica per Roma, la fondazione che gestisce l’Auditorium di Musica per Roma: si tratta di Claudia Mazzola, già redattrice del Tg1 Rai, e da un paio di anni Capo Ufficio Stampa di Viale Mazzini. Insieme a lei, entrerebbero nel Consiglio di Amministrazione Daniele Pitteri, sociologo ed esperto di marketing della cultura, già Direttore del complesso museale di Santa Maria della Scala di Siena e della Fondazione Modena Arti Visive. A Pitteri, probabile Amministratore Delegato di MpR, si affiancherebbe Paolo della Sega, docente di Comunicazione dello Spettacolo all’Università Cattolica di Milano.

Tutti professionisti di livello, senza dubbio alcuno.

Si ripropone la domanda: questa volta con una “call” pubblica?!

Questa volta, la risposta è positiva, ma il risultato paradossale.

Nel novembre 2019, la Sindaca Virginia Raggi ha infatti promosso un pubblico avviso che sollecitava auto-candidature al ruolo di consigliere di amministrazione della fondazione Musica per Roma. Pare ne siano arrivare 60 (l’elenco non è stato reso pubblico), ma, tra queste, non quelle di Mazzola, Pitteri, Della Sega.

Come è possibile?!

Nessuno dei candidati pare sia stato ritenuto all’altezza, e l’8 giugno la Sindaca ha presentato ai consiglieri della Commissione Cultura di Roma Capitale i profili professionali dei 3 “cooptati”, scelti da lei personalmente e discrezionalmente. In questo caso: “avviso pubblico”, ma “cooptazione discrezionale”.

Nel primo caso e nel secondo, cambia – apparentemente – la forma, ma non cambia la sostanza: il “principe” di turno (Ministro o Sindaco o Assessore che sia) decide in totale discrezionalità. Non deve rendere conto a nessuno, dato che il parere di altri soggetti – quando previsto dalle norme (e raramente lo è) – ha semmai, talvolta, una funzione squisitamente consultiva.

“Intuitu personae” versus “valutazione comparativa delle esperienze”

I tecnici usano chiamarlo “intuitu personae”: è la procedura secondo la quale, nei “negozi” (intesi giuridicamente) di particolare rilevanza viene valutata, dal “decisore”, la qualità personale (ovvero professionale anche) dei soggetti contraenti; nel caso in ispecie, del “nominato”.

Il problema di fondo è che il principio di discrezionalità che il “decision maker” esercita è in alcuni casi veramente estremo, agli antipodi di quelle regole di equità e trasparenza che regolano gli appalti pubblici, meccanismo complesso – e spesso farraginoso – cui lo Stato italiano ha dedicato particolare attenzione, costruendo addirittura un “corpus” normativo specifico, giustappunto il controverso Codice degli Appalti (di cui il leader della Lega Matteo Salvini invoca continuamente l’abolizione).

Il paradosso è che, a fronte di una notevole complessità nella gestione degli appalti, le procedure per le nomine di ruoli importanti nella “res publica” è invece affidata alla discrezionalità assoluta (monocratica) del “politico” di turno: del Ministro, del Sindaco, del Sottosegretario, dell’Assessore “pro tempore”.

Ne consegue che finiscono per trovarsi in ruoli apicali, e divengono quindi “decision maker” della cosa pubblica, persone che non sono state selezionate e scelte attraverso procedure comparative che abbiano consentito una valutazione oggettiva delle loro capacità professionali.

Non viene in fondo valutata la capacità, il merito, la professionalità, l’esperienza soltanto (che spesso ci sono, ma – nota bene – non sempre), ma soprattutto la affidabilità, intesa come fiducia personale. Questa “fiducia” può essere diretta, personale appunto, ma anche “indiretta”, ovvero stimolata da una logica di partito, di corrente, di fazione, di gruppo. In sostanza “di famiglia”, nel senso più deteriore del termine.

Una volta che il “decision maker” ha deciso, tutto passa sotto silenzio.

Il criterio essenziale, ahinoi: “è persona di fiducia”

Che nel cda di una società pubblica che fa cinema entri una esperta di teatro? Qual è il problema? È persona fidata…

Che nel cda di una società pubblica che organizza eventi musicali entri un consigliere di amministrazione che non ha alcuna competenza in materia di musica? Qual è il problema? È persona fidata…

Emergono talvolta anche profili di incompatibilità, ma questo è un altro discorso: per esempio, Maria Pia Ammirati è una stimata dirigente della Rai, e si ha notizia che continuerà a lavorare anche a Viale Mazzini nella sua veste di Direttrice delle Teche… In Rai (secondo i dati della sezione “Trasparenza” di Viale Mazzini), ha un compenso (2019) di 204mila euro, ben oltre il compenso di Presidente di Cinecittà, cui pare andrà a rinunciare: ma ci si domanda come può una top manager di così alto livello tenere il piede in due staffe?! Altresì dicasi di Claudia Mazzola, che è pur sempre dirigente Rai è e verosimilmente tale resterà: come può svolgere al meglio due incarichi così impegnativi, quali sono il Capo Ufficio Stampa della Rai e il Presidente di Musica per Roma?!

Queste sono però questioni minori, rispetto a quella principale, che è l’uso – e quindi l’abuso, o comunque il rischio di abuso – del rapporto fiduciario ovvero della selezione discrezionale.

Stesse dinamiche caratterizzano in Italia anche le autorità cosiddette “di garanzia” e la loro composizione: dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ed altre ancora.

Discrezionalità a gogò, anche se in questo caso l’“intuitu personae” deve essere mediato con le soggettività dei co-decisori, ovvero i capi gruppi dei partiti, anzitutto della maggioranza, ma, in qualche modo, della minoranza: vengono definite trattative “politiche”, giochi sui “rapporti di forza” in Parlamento, ovviamente condotti in totale assenza di trasparenza; tutto il resto è marginale.

Il “curriculum” diviene una sorta di foglia di fico. Fatti salvi casi rari (che pure si danno), non si arriva agli estremi fantasiosi della storia romana, come la nomina a senatore che l’imperatore Caligola fece di un suo cavallo…

Imminente l’elezione dei membri dell’Agcom: ancora discrezionalità e mercanteggiamenti?

Un qualche Presidente di Camera o Senato, qualche anno fa, ha cercato di eliminare, o almeno ridurre, questi “mercanteggiamenti” e fece in modo che, per le elezioni parlamentari dei membri del Consiglio dell’Agcom, si aprisse una procedura di pubblica “call”: arrivarono a Camera e Senato centinaia di curricula, ma mai fu promossa una procedura comparativa (per esempio, dei pubblici colloqui o anche soltanto l’invio di una qualche nota propositiva), e quindi si trattò di una pia intenzione contraddetta dai processi fattuali. Esattamente gli stessi prima.

Discrezionalità e mercanteggiamenti. Si auspica che, per le elezioni dei membri della prossima Agcom, si possa registrare una vera volontà di innovazione e trasparenza. Un minimo di tecnocrazia, insomma, un minimo, almeno in nome della decenza (oltre che della democrazia).

Il Parlamento italiano dovrà presto procedere all’elezione dei nuovi componenti dell’Agcom, i cui componenti sono scaduti ed i cui poteri sono stati poi prorogati in relazione all’emergenza Covid-19. Non è casuale che una settimana fa, il Servizio Studi della Camera abbia prodotto un dossier ad hoc (clicca qui, per leggerlo). Si ricorda che il decreto legge n. 104 del 2019 ha disposto la proroga delle funzioni del Presidente e dei componenti dell’Agcom, limitatamente all’ordinaria amministrazione ed agli atti urgenti, al 31 dicembre 2019, termine successivamente differito al 31 marzo 2020 dal decreto-legge n. 162 del 2019. Con il decreto legge n. 18 del 2020, il termine è  stato  ulteriormente  differito  fino a non  oltre  60  giorni  successivi alla  “cessazione  dello  stato  di  emergenza  epidemiologica”  da  Covid-19  e  sono  state  soppresse  le limitazioni all’ordinaria amministrazione, pertanto l’Autorità opera nella pienezza delle sue funzioni…

Torneremo su questa vicenda e su materie correlate.

L’indipendenza di un professionista o di un tecnico è un aspetto che in Italia quasi mai viene preso in considerazione: anzi, spesso vengono discrezionalmente cooptati proprio professionisti ed intellettuali che hanno fama di non essere critici. I “rompiscatole”, insomma, vengono esclusi dai processi selettivi, la scrematura è co-determinata da una complessiva acquiescenza con il “naturale ordine” delle cose.

L’autoconservazione del sistema, il killeraggio dell’innovazione

Tutto questo processo cosa determina?

Dinamiche vischiose e conservative, riduzione se non azzeramento di innovazione. Autoconservazione del sistema nel suo complesso.

Gli esperti di organizzazione insegnano che il primo obiettivo di una burocrazia è la propria conservazione.

Con buona pace della tecnocrazia e della meritocrazia. Sancendo il killeraggio dell’innovazione.

Con buona pace delle verifiche di operato, delle valutazioni qualitative, delle valutazioni di impatto.

Così va l’Italia. Non bene.

E stupisce un po’ che questi meccanismi non siano stati minimamente scalfiti da quella cultura “rivoluzionaria” che pure ha caratterizzato, almeno alle origini, il Movimento Cinque Stelle. Da potenziali apritori di scatolette (“apriremo il Parlamento come una scatola di sardine”, urlava Beppe Grillo nel gennaio 2013), i grillini sono divenuti produttori di novelle… scatolette.

Nominando persone “amiche” – anzi “di fiducia” – in posizioni apicali nel Governo del Paese, anche ai massimi vertici delle società pubbliche più potenti del Paese (da Eni a Leonardo): la logica de “gli amici degli amici”. I grillini sono divenuti anche loro “produttori di scatolette” sostanzialmente non diverse da quelle che così aspramente criticavano…

Servizio Studi della Camera, le regole per l’elezione in Parlamento dei nuovi componenti Agcom

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