Da Key4biz (20/6/19): Gli over 64 utilizzano sempre di più il web, lo dice l’Istat
Settimana affollata di eventi: l’Istat ha presentato oggi la sua relazione annuale (e si scopre che sempre più “over 64” usano il web), si prospettano riforme alla legge Franceschini su cinema e audiovisivo (neo-liberalizzazione?) e si discute anche di “blockchain” (miraggio o realtà?).
L’ultima settimana del modesto cronista che cerca di seguire per le colonne del quotidiano online “Key4biz” gli eventi più significativi dello scenario cultural-mediale nazionale si caratterizza per una “overdose” di iniziative, e quest’articolo propone una sorta di zibaldone, nell’auspicio di stimolare interessi variegati e curiosità policentriche.
D’altronde crediamo che uno dei deficit della politica culturale e mediale italiana sia proprio la frammentazione di interventi normativi e regolamentativi, ovvero un deficit di visione organica e strategica. E quindi, nel nostro piccolo, cerchiamo di fornire alcuni stimoli correttivi, cercando un filo rosso di interazioni tematiche e correlazioni sistemiche.
Quale ruolo dell’Italia nel Mediterraneo presente e futuro
Iniziamo da venerdì della scorsa settimana, 14 giugno: presso il Senato (per la precisione la Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro), il senatore Mario Michele Giarrusso, esponente del Movimento 5 Stelle e membro della Commissione Antimafia ha promosso un incontro di alto livello intitolato “Quale ruolo dell’Italia nel Mediterraneo presente e futuro”, che ha presentato i risultati della prima edizione sperimentale del ciclo di conversazioni denominato Polis, ideato dall’associazione culturale Hut8 Progettare L’Invisibile (dal nome della “baracca” ove lavorava, durante la Seconda Guerra Mondiale, il genio Alan Mathison Turing per decriptare i messaggi cifrati della Germania nazista), presieduta da Alberto Massari, incontri che hanno affrontato soprattutto i temi della difesa, della geopolitica e della criminalità organizzata nell’area mediterranea, ma in una chiave strategica che definiremmo “sistemica”, “olistica” e “culturologica”.
Sono interventi, tra gli altri, Paolo Sellari, esperto di geopolitica dei trasporti e Direttore del Master in Geopolitica e Sicurezza Globale presso l’Università La Sapienza di Roma, e Claudia Petrosini, esperta di sicurezza in tema di nucleare e di armi chimiche (nonché ufficiale di Marina). L’incontro è stato moderato (e stimolato) da Gianfranco Marcelli, giornalista ed editorialista del quotidiano “Avvenire”. Da segnalare l’intervento della Ministra della Salute Giulia Grillo, che ha voluto portare il saluto del Governo, a conferma della qualità dell’iniziativa. Chi redige queste colonne ha segnalato l’esperienza eccellente, infelicemente conclusasi ed incredibilmente rimossa, di RaiMed, canale tematico plurilingue (avviato all’epoca dall’allora Ministro per le Comunicazioni Salvatore Cardinale – che ha retto il dicastero dal 1998 al 2001, negli esecutivi guidati da Massimo D’Alema e Giuliano Amato – su stimolo del già Presidente Rai e poi dell’Isimm, il socialista Enrico Manca). Si ricorderà che si tratta del canale satellitare della Rai andato in onda dal 2001 al 2014 via satellite in modalità “free-to-air”, visibile attraverso qualsiasi decoder satellitare in Europa e dalla sponda settentrionale dell’Africa.
Rai Med
Rai Med era strettamente collegato al canale Rai News 24 (di cui trasmetteva il palinsesto-base), e proponeva ogni giorno, in prima serata, la traduzione in lingua araba dell’edizione principale del Tg3 delle ore 19, nonché programmi dedicati ai Paesi mediorientali che si affacciano sul mare Mediterraneo. Iniziativa saggiamente promossa dalla Rai per stimolare un dialogo fra l’Italia ed il mondo arabo e tra le numerose comunità di lingua araba italiane ed europee (ben prima della controversa “invasione dei migranti”), ma incomprensibilmente chiusa nel 2014, per le solite ragioni di riduzione dei costi (alias “spending review” malamente intesa) del “public service broadcaster” italiano, processi che spesso finiscono per colpire e penalizzare, paradossalmente, le iniziative più meritorie. È stato anche ricordato come la Rai abbia dapprima ridimensionato e poi sostanzialmente azzerato il ruolo che era riuscita ad acquisire nella Copeam (Conferenza Permanente dell’Audiovisivo Mediterraneo), l’associazione delle televisioni pubbliche del Mediterraneo, di cui l’appassionata Alessandra Paradisi (già Responsabile Relazioni Internazionali della Rai) è stata Segretaria Generale per anni. Il senatore Mario Michele Giarrusso ha convenuto che quello di RaiMed è stato un errore strategico gravissimo, sia in termini di politica socio-culturale, sia in termini di politica di intelligence nazionale. E ci si domanda se i servizi segreti italiani sono a conoscenza che a Viale Mazzini qualcuno (chi?!) sta ragionando sulla progettazione del canale internazionale in inglese, e sulla sua potenzialmente preziosa funzione strategica in termini di geopolitica del “sistema Paese”.
Peraltro, temiamo che la votazione in Commissione Vigilanza possa finire per rallentare la progettazione di questo canale, previsto nel “Contratto di Servizio” tra Stato e Rai: il voto di mercoledì mattina a San Macuto contro il doppio incarico di Presidente Rai e Presidente di Rai Com (la controllata cui è stata incomprensibilmente affidata la gestione del canale internazionale giustappunto) a Marcello Foa, secondo quanto previsto da una mozione presentata dallo stesso Movimento 5 Stelle ed approvata in una inedita maggioranza M5S + Partito Democratico (“prove tecniche” di novelle alleanze?!) determina infatti il rischio di una mina latente per il futuro di breve periodo di Viale Mazzini.
Regolamento delle finestre di sfruttamento delle opere audiovisive
Lunedì 17 giugno, la Direzione Generale Cinema del Mibac e l’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo (Oea) hanno organizzato presso il Planetario delle Terme di Diocleziano la conferenza su “Regolamento delle finestre di sfruttamento delle opere audiovisive”, nell’economia della presidenza italiana dell’Oae, iniziativa sulle “cinema windows” che incredibilmente non ha lasciato traccia alcuna nei dispacci di agenzia né su testate giornalistiche online (nemmeno sulla piuttosto attenta newsletter “Cinecittà News”): ci domandiamo… ma a cosa servono questi eventi… per pochi intimi (per quanto qualificati), se non stimolano una minima disseminazione nella comunità professionale di riferimento?! La tematica affrontata è peraltro importante. Il mercato dell’audiovisivo europeo deve affrontare tra l’altro la sfida di un quadro comune di regolamentazione delle “finestre di sfruttamento” delle opere cinematografiche: notoriamente, ogni film ha un proprio percorso che attraversa diversi canali (generalmente si parte dalla sala cinematografica per arrivare alla tv, a volte passando per le piattaforme di video in streaming), ed ha tempistiche diverse a seconda del Paese di distribuzione.
Tra i modelli di regolamentazione, vi è anche quello italiano introdotto nel novembre del 2018: anche a seguito delle polemiche sul rilascio simultaneo nelle sale cinematografiche e su Netflix del film “Sulla mia pelle” (per la regia di Alessio Cremonini), un decreto ministeriale – a firma del Ministro Alberto Bonisoli – ha reso obbligatorio un intervallo di tempo minimo di 105 giorni tra la distribuzione “theatrical” ovvero nei cinema e la sua disponibilità su altre piattaforme.
La questione resta complessa e controversa, e potrebbe essere anch’essa oggetto di quei “ritocchi” alla legge Franceschini di fine 2016, che venerdì scorso la Sottosegretaria delegata al Cinema, la senatrice Lucia Borgonzoni (Lega Salvini) ha annunciato: “alla luce di quanto richiesto in maniera unitaria dai produttori cinematografici, dalle emittenti televisive e dalle piattaforme video, che esprimevano difficoltà di applicazione davanti ad alcune misure obbligatorie previste dalla normativa vigente, ritenute poco in linea con il mutato contesto del settore e frutto di un ‘non dialogo’ istituzioni/settore, ho ritenuto e condiviso con il Mise un percorso di modifiche per non mettere in difficoltà un comparto che rappresenta una parte importante della nostra industria culturale e forte attrattore di capitale, con potenzialità che hanno margini di crescita che vanno incentivate e non penalizzate”, ha dichiarato la Sottosegretaria. Lucia Borgonzoni ha precisato che “l’intervento sarà finalizzato a mitigare il sistema attuale in quegli aspetti che imbrigliano troppo il settore, a partire dagli obblighi di investimento, che devono tenere conto delle prospettive economiche e soprattutto andare maggiormente a sostegno di tutte le produzioni italiane, cinematografiche e televisive, che devono essere sostenute e incentivate. Interverremo anche in merito agli obblighi di programmazione delle emittenti televisive, che vogliamo riportare ai termini previsti prima della riforma del 2017 e mantenere per la Rai l’obbligo di programmazione di prima serata, obbligo che per le altre reti potrà essere sostituito con maggiore acquisto di prodotto recente”.
Insomma, ci attende una piccola (grande) rivoluzione neo-liberista, a fronte del dirigismo statalista (morbido) di Dario Franceschini?!
Bye bye “quote obbligatorie” di trasmissione e di investimento?!
Ci auguriamo che così non sia, perché si andrebbe a vanificare uno dei pochi strumenti di stimolazione reale (per quanto “coercitiva”) della produzione audiovisiva nazionale. E francamente non condividiamo l’entusiasmo della Sottosegretaria, che esulta per un annunciato investimento da parte di Netflix nell’ordine di 200 milioni di euro nella produzione audiovisiva italiana nei prossimi 3 anni. Dato il livello di (totale) non trasparenza di Netflix, ci si può fidare di simili annunci?!
Fede cieca nel libero mercato e nella sua autoregolazione?!
Coi risultati che ben vediamo, con una quota di mercato del cinema italiano decrescente in modo inquietante (vedi “Key4biz” del 7 giugno 2019, “Il cinema italiano va a picco al box office. Questo voleva il Governo giallo-verde?”). Secondo i dati Cinetel dal 1° al 16 giugno 2019, la quota di mercato Usa è al 62 % degli incassi, quella dell’Italia al 19 %. Un anno fa (stesso periodo del 2018): Usa al 53 %, Italia al 30 %. Con buona pace della tanto strombazzata campagna promozionale “Moviement” al grido “Al cinema tutto l’anno”: sì, tutto l’anno a vedere i blockbuster “made in Usa”, prodotti dalle “major” vecchie e nuove; tra cui primeggiano Netflix – giustappunto – e Amazon.
Quali sono le ragioni di questa svolta radicale assunta dal Governo?! E come mai le associazioni degli autori e dei professionisti del cinema e dell’audiovisivo non reagiscono?! Anche loro ormai sedotte dalla fantasmagorica logica del “libero mercato” autoregolato?!
Qualcosa di strano sta avvenendo nel settore, nelle logiche ed interazioni tra “lobby” grandi e piccole, anche a seguito dell’annunciato strano accordo tra le imprese dell’Anica e l’associazione 100autori (vedi “Key4biz” del 14 giugno 2019, “Anica annuncia accordo con i 100autori e altre 4 associazioni (Anac, Wgi, Agici, Cna Cinema) insorgono”).
L’annuncio della Sottosegretaria è di venerdì 14 giugno e soltanto ieri mercoledì 19 giugno emerge una presa di posizione critica dei 100autori, che – in un comunicato – hanno manifestato preoccupazione per una ipotizzata approvazione, nel Consiglio dei Ministri di ieri, addirittura di un decreto legge: “100autori ha appreso che nel testo del Dl previsto per l’approvazione in Consiglio dei Ministri questa sera, anticipato ai media dalla Sottosegretaria Borgonzoni, oltre alle norme veramente necessarie e urgenti relative alle modifiche degli obblighi di investimento e programmazione per i fornitori di servizi media audiovisivi, è stata introdotta una modifica ai contributi selettivi previsti dalla legge 220/2016 ‘Disciplina del cinema e dell’audiovisivo’”.
In sostanza, i 100autori sembra condividano l’atteggiamento neo-liberista della Senatrice Lucia Borgonzoni (allentare gli obblighi ai broadcaster in cambio dell’introduzione di qualche obbligo per gli otte?), ma esprimono “preoccupazione per quest’ultimo inatteso intervento. Si riferisce, in particolare, alla modifica dell’articolo 13, comma 5 della legge n. 220 del 2016 con la quale vengono rimodulate le risorse obbligatorie da destinare ai contributi selettivi (di cui agli articoli 26 e 27, comma 1). Nello specifico, si riduce la percentuale minima prevista dal 15 % al 10 % e quella massima dal 18 % al 15 %. Tale modifica risulta contraria allo spirito della legge, poiché i contributi selettivi ad oggi stanziati non sono sovradimensionati rispetto all’effettivo utilizzo e questa modifica non ha carattere d’urgenza, né semplifica alcuna procedura, ma provvede a ridurre le risorse”. L’associazione dichiara di voler continuare “a vigilare affinché i contributi selettivi non vengano tagliati e i fondi vengano garantiti e assegnati ai giovani autori, alle opere prime e seconde, ai film difficili e alla promozione (festival, rassegne, internazionalizzazione), mentre auspica che venga, possibilmente, scorporata dal fondo la quota riservata agli enti di settore (tra cui Istituto Luce-Cinecittà, Miac, Biennale di Venezia e Centro Sperimentale di Cinematografia, elenco ulteriormente allungato nell’ultima legge di bilancio)”.
In verità, nel previsto ordine del giorno della riunione del Consiglio dei Ministri di ieri questa ipotesi di decreto legge non era annunciata (e peraltro la Sottosegretaria Borgonzoni in questi giorni è in missione in Brasile), e comunque nel comunicato ufficiale della Presidenza del Consiglio di ieri sera (la cui riunione è durata dalle 21.05 alle 22.18), non se ne riscontra traccia alcuna. D’altronde, non si comprende come si possa ritenere una simile materia così pressante ed incalzante, da richiedere un intervento normativo di questo tipo (il “decreto legge” si adotta – secondo il dettato costituzionale – in casi straordinari di necessità e urgenza). Va invece segnalato che è stato approvato ieri sera il regolamento di riorganizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (ne avevamo scritto su queste colonne, vedi “Key4biz” del 25 marzo 2019, “Mibac, previste 2mila assunzioni entro 2 anni. In anteprima le linee guida del ministero”).
Sulla “riforma della riforma” – ovvero sulle prospettate modificazioni alla legge cinema – la situazione appare quindi molto confusa, e certamente il “dibattito” s’è sviluppato, ancora una volta, “a porte chiuse”. Con buona pace dell’auspicata pubblica trasparenza e dei tanto annunciati “processi partecipativi”…
La tecnologia blockchain e il diritto d’autore: Miraggio o Realtà
Mercoledì 19, giornata “stressata” (e stressante), il cui calendario stimola in qualsiasi operatore del settore e giornalista specializzato un quesito naturale: ma perché nessuno cura una “agenda” settoriale che consenta di evitare sovrapposizioni di eventi destinati allo stesso target?!
Nella giornata di mercoledì, in effetti, in contemporanea, presso il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali si è svolto l’incontro “La tecnologia blockchain e il diritto d’autore: Miraggio o Realtà?”, e presso UnionCamere l’incontro “Internet e diritti Ip: opportunità o challenge?”, promosso da Indicam – Istituto di Centromarca per la Lotta alla Contraffazione, e, ancora, presso la Luiss, l’incontro “Value Gap e Link Tax: le nuove regole del mercato unico digitale”, promosso da Aippi – Associazione Internazionale per la Protezione della Proprietà Intellettuale.
Senza dimenticare che, sempre mercoledì 19, a Montecitorio veniva presentata la Relazione annuale dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza (Agia), curata da Filomena Albano, con intervento del Presidente della Camera Roberto Fico.
In contemporanea… tutti grosso modo nel perimetro del Centro Storico di Roma.
Surreale. Concentrazione e sovrapposizione con frammentazione di intenti e dispersione di energie.
Peraltro, ancora oggi, incredibilmente, una buona parte delle iniziative di questo tipo (seppur curate con attenzione in ambito accademico e/o professionale) non beneficia di adeguata attenzione da parte dei media, e nemmeno propone la chance di download della videoregistrazione degli eventi: quindi si tratta spesso di attività che raggiungono una minima parte della propria audience potenziale, restando talvolta “a porte chiuse”.
Ci permettiamo di osservare che una testata come “Key4biz” potrebbe divenire il curatore di una “agenda setting” delle iniziative in materia di cultura e media e digitale: una sorta di “ordinatore” del caotico calendario degli eventi (una testata specializzata come “Redattore Sociale” cura, nel proprio ambito di competenza, una iniziativa simile, col suo “Calendario”).
Non essendo dotati del dono dell’ubiquità, abbiamo quindi deciso di concentrarci su un evento soltanto, e quindi abbiamo assistito all’iniziativa al Collegio Romano, presso la “Sala Spadolini” del Mibac, promossa dall’Alai Italia (guidata da Stefania Ercolani e Paolo Marzano) gruppo italiano dell’Alai – Association Littéraire et Artistique Internationale, attivo fin dagli anni ’20 del secolo scorso, specializzato nell’organizzare incontri di esperti sul diritto d’autore ed i diritti connessi.
L’incontro – dall’efficace titolazione “La tecnologia blockchain e il diritto d’autore: Miraggio o Realtà?” – si è sviluppato dalla prima mattinata al tardo pomeriggio, e qui ci piace segnalare alcuni interventi, soprattutto della sessione pomeridiana: l’avvocato Giorgio Assumma (uno dei “padri” del diritto d’autore in Italia, professore a Roma3, Direttore della storica rivista “Il Diritto d’Autore”, già Presidente della Siae dal 2005 al 2010) ha manifestato, con la sua abituale dotta arguzia, le proprie perplessità sulle potenzialità “fantastiche” – secondo alcuni entusiasti filotecnologici – del sistema “blockchain”. Tra gli entusiasti, senza dubbio Christian Collovà (avvocato dello studio “Li – LegaI International”), che ha presentato una accurata relazione intitolata “La tecnologia blockchain e l’industria musicale”, inquadrando la nuova tecnologia quasi come una panacea, se non una manna, nella sua funzione “disruptive” rispetto al paradigma classico che vede un “intermediario” tra offerta e domanda. Tra gli scettici, Matteo Fedeli, giovane ed appassionato Direttore della Divisione Musica della Società Italiana Autori Editori (si ricordi che questa Sezione produce circa l’85 % del totale dei proventi della Siae), che ha affrontato il tema “La tecnologia blockchain e la gestione collettiva dei diritti”. Pur riconoscendo che si deve certamente guardare alle… stelle, ci è parsa molto più concreta e realistica, restando con i piedi per terra, la posizione di Matteo Fedeli, il quale ha segnalato come “la teoria” (le potenzialità eccezionali) sia ancora lontana, molto lontana da “la pratica” (ovvero la concreta applicazione della “blockchain” nella gestione del dataset relativo alle opere musicali ed audiovisive immesse nell’ecosistema digitale). Si tratta di una tecnologia ancora poco matura, e si deve procedere con cautela: lo scenario di un sistema completamente disintermediato è per ora una ipotesi di lungo periodo, così come molte “start-up” che nascono continuamente prospettando soluzioni eccezionali debbono dimostrare quale sia la loro “bacchetta magica”… La “blockchain” non determina un “big bang” del sistema mediale, ma prospetta scenari ancora molto aleatori. Nel mentre, Siae si sta attrezzando sviluppando una specifica attività di ricerca: ha affidato recentemente uno studio alla società specializzata Blockchain Core, d’intesa con il Diag della Sapienza, alias Dipartimento Ingegneria Informatica Automatica Gestionale. Un obiettivo concreto può essere rappresentato dalla definizione di standard condivisi per i database distribuiti con “identificatori univoci” per contenuti e aventi diritto.
Lo scontro (intellettuale e professionale, ma alla fin fine anche politico) tra i due – Collovà e Fedeli – è emerso evidente: il primo “sedotto” dalle potenzialità della nuova tecnologia, il secondo piuttosto scettico e prudente.
Siamo convinti che sia latente, anche per la “blockchain”, il rischio ideologico di una ennesima illusione tecnologista, un po’ come avvenuto per Wikipedia, per la democrazia diretta online, per il bitcoin ovvero le criptovalute: si tratta di ondate di anarco-liberismo travestite col manto di un’illusione democratico-partecipativa “dal basso”.
Come se la “rivoluzione del web” non portasse anche alla creazione di nuovi inquietanti oligopoli ed a nuove strategie di dominio del capitale: è di martedì scorso la notizia che un gigante come Facebook è entrato ufficialmente nella logica della “criptovalute”, presentando la sua “Libra” (vedi l’articolo di Piero Boccellato su “Key4biz” del 18 giugno 2018, “Criptovalute, Facebook presenta Libra. Il lancio nel 2020”).
È intervenuto per un saluto anche l’onorevole Gianluca Vacca (Movimento 5 Stelle) Sottosegretario ai Beni e Attività Culturali con delega al diritto d’autore, il quale ha annunciato che il Governo sta lavorando anche ad una riforma del diritto d’autore (avvalendosi tra l’altro della consulenza dell’avvocatessa Deborah De Angelis, consigliere del Ministro), ed ha segnalato che sta registrando la crescente preoccupazione degli organizzatori di concerti musicali che, nel panorama italiano parzialmente “liberalizzato” che vede il gigante Siae affiancato dalla formica Soundreef, finiscono per essere paradossalmente costretti a “duplicare” le proprie attività, per garantire la miglior tutela del diritto d’autore (su queste tematiche, rimandiamo a “Key4biz” del 12 aprile scorso, “Siae-Soundreef, lo storico accordo cambierà l’economia del diritto d’autore in Italia?”).
Rapporto Annuale 2019 – La situazione del Paese.
Giovedì 20 giugno, mentre presso il Mibac veniva presentata la nuova edizione della ricerca “Io sono cultura. L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”, promossa dalla Fondazione Symbola di Ermete Realacci, iniziativa senza dubbio interessante ma con i perduranti deficit metodologici che abbiamo già evidenziato più volte su queste colonne (vedi “Key4biz” del 22 giugno 2018, “I numeri (troppo) in libertà dell’industria culturale italiana”), presso Montecitorio veniva presentato dall’Istituto Nazionale di Statistica il “Rapporto Annuale 2019 – La situazione del Paese”.
Di questa edizione del Rapporto Istat, ci sembra particolarmente interessante, anche dal “point of view” di una testata come “Key4biz” (non a caso quotidiano online “sull’economia digitale e la cultura del futuro”), il dato secondo il quale si sta riducendo, seppur lentamente, il “ritardo digitale” della popolazione anziana. Si rimanda alla scheda di approfondimento alle pagine 161-164 del rapporto, “Gli anziani e le nuove tecnologie”.
Nell’ultimo decennio, la quota di utenti regolari di internet nella popolazione dell’Unione Europea (Ue 28) tra i 65 ed i 74 anni è triplicata, passando dal 16 % al 52 %, con un incremento di ben 36 punti percentuali nell’arco del decennio.
Questo trend positivo è confermato anche dall’Italia, che registra un incremento di 28 punti percentuali: passa dal 6 % del 2008 al 34 % del 2018.
Nonostante ciò, in questi 10 anni, i divari del nostro Paese dal valore medio “europeo” si sono paradossalmente ulteriormente ampliati, soprattutto a causa di una maggiore velocità di crescita nei Paesi più dinamici (Danimarca e Paesi Bassi).
In Italia, si diffonde l’uso del web soprattutto tra i ‟giovani anziani”, ovvero la classe di età che va dai 65 ai 69 anni (ovvero i nati tra il 1949 e il 1953): gli utenti regolari di internet sono una quota molto più elevata rispetto ai coetanei nati tra il 1934 e il 1938, con forti differenze di genere (tra gli uomini il 44,7 contro il 5,8 %; tra le donne il 34,9 contro lo 0,7 %).
Insomma, pur lentamente va sfatata l’idea che i “vecchi” non usino il web: il fenomeno del “digital divide” per classi di età si sta quindi attenuando, anche se il nostro Paese, una volta ancora, non brilla certo per velocità del cambiamento. E, anche in questa materia, va denunciata la totale assenza di iniziative di “alfabetizzazione digitale” da parte della Rai.
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