In attesa della nuova valutazione di impatto della Legge Cinema e Audiovisivo, l’Istat segnala che l’Italia è al terz’ultimo posto in Europa nella partecipazione culturale (seguita solo da Romania e Bulgaria): il cinema permane in sofferenza.

Come prevedevamo, la notizia della decisione assunta dal Ministero della Cultura di promuovere una nuova “valutazione di impatto” della Legge Cinema e Audiovisivo è stata segnalata soltanto da IsICult su queste colonne del quotidiano online “Key4biz” (specializzato sull’economia digitale e le culture del futuro) e stranamente nemmeno la sempre vigile agenzia stampa AgCult l’ha rilanciata: eppure questa decisione è veramente innovativa, in uno scenario di drammatico deficit di conoscenze sul funzionamento reale del sistema culturale italiano (si rimanda all’intervento IsICult su “Key4biz” di lunedì 15 aprile 2024, “Il Ministero della Cultura promuove (finalmente) una nuova ‘valutazione di impatto’ della Legge Cinema e Audiovisivo”).

Come abbiamo illustrato molte volte su queste colonne (nell’economia della rubrica IsICult “ilprincipenudo”), nel nostro Paese non esiste ancora una strumentazione tecnica di adeguata conoscenza (e coscienza) del funzionamento delle politiche pubbliche in materia di cultura, ed ancora oggi lo stesso “policy maker” (Ministro della Cultura o Sottosegretario delegato o Presidente di Regione o Sindaco o Assessore alla Cultura che sia) può attingere soltanto ad un alcuni “testi di riferimento” che forniscono visioni parziali, frammentarie, disomogenee del funzionamento strutturale del sistema, con set di dati insufficienti, lacunosi, e spesso nemmeno adeguatamente validati metodologicamente… Ci riferiamo ai soliti rapporti annuali di Symbola piuttosto che di Federculture o della Siae, ed anche ai più recenti – pubblicati nell’ultimo anno – “Atlante delle Imprese Culturali e Creative” di Italia Culturae e Treccanied alle “Mini-cifre della Cultura” promosse dalla Direzione Generale Educazione, Ricerca e Istituti Culturali dello stesso Ministero della Cultura: in argomento, si rimanda a “Key4biz” del 6 dicembre 2023, “Dal Ministero della Cultura alla Rai: quando gli elefanti partoriscono i topolini”; e, ancora, del 4 dicembre 2023, “Dall’“Atlante delle Imprese Culturali e Creative” della Treccani alle “Minicifre della Cultura” del Ministero: quando la ricerca porta acqua alla conservazione”.

I tanti perduranti deficit di conoscenza sul sistema culturale nazionale

Basti ricordare che non esiste ancora un censimento accurato di tutti i musei italiani, con studi quali-quantitativi del rapporto tra offerta e domanda ed analisi del pubblico, e che si deve fare riferimento alle elaborazioni de “Il Giornale dell’Arte” per avere cognizione delle mostre più visitate ogni anno in Italia…

Basti pensare che soltanto nel 2023 il Ministero della Cultura ha accolto una proposta progettuale dell’ Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult finalizzata alla prima rilevazione di tutti i festival italiani (si tratta dell’innovativa progetto “Italia dei Festival”, che sta schedando circa 3mila manifestazioni in tutta Italia)…

Il “padre” (assieme alla cinematografica Anica di Francesco Rutelli ed alla televisiva Apaallora guidata da Giancarlo Leone) della Legge n. 220 del 2016, ovvero il più longevo Ministro della Cultura della Repubblica, Dario Franceschini (Partito Democratico), allorquando decise di far crescere dai 250 milioni di euro l’anno del 2016 la dotazione della Legge Cinema Audiovisivo stabilizzandola a 400 milioni di euro nel 2017 (sganciando questo sostegno dello Stato dallo storico “Fondo Unico per lo Spettacolo” – il mitico “Fus” – istituito nel lontano 1985), pensò bene di prevedere una “valutazione di impatto” delle nuove norme (intanto il Fondo è cresciuto in modo impressionante, arrivando a toccare i 750 milioni di euro l’anno scorso).

Peccato che la prima edizione di questa ricerca fu affidata ad una società di consulenza britannica, Olsberg Spi (in associazione con l’italiana Lattanzio Monitoring and Evaluation), la quale si limitò a produrre un documento – di appena poche decine di pagine – di mera prospettiva metodologica (beneficiando di un budget di 100mila euro l’anno), e peccato che per i successivi cinque anni il Ministero della Cultura abbia affidato sempre allo stesso raggruppamento la realizzazione dell’indagine, ovvero all’“ats” Università Cattolica e Ptsclas spa (sempre con un budget oscillante tra i 100mila e gli 80mila euro l’anno), col risultato di acquisire un documento, certamente ricco di dati, ma impostato in modo così asettico e acritico da sostanzialmente vanificare la funzione prevista per legge. Un paradosso: e nel mentre, nell’euforia dei tanti beneficiari, il fondo cresceva e cresceva…

Tante volte abbiamo lamentato come dalla “valutazione di impatto” o da una pubblicazione ufficiale del Ministero qual è il report “Tutti i numeri del cinema italiano”, non fosse possibile nemmeno acquisire alcune informazioni che potremmo definire proprio “basic”, se non essenziali: i titoli di tutte le opere cinematografiche e audiovisive prodotte in Italia, con particolare attenzione a quelle sostenute dal Ministero, con indicazione del loro percorso di vita (nascita, distribuzione nei cinematografi, trasmissione in televisione, offerta nei cataloghi delle piattaforme)…

Ciò basti.

In assenza di dati, si è (mal) governato un sistema di sovvenzionamento della cultura, privi di strumenti di conoscenza

Peraltro questa “valutazione di impatto” è sempre stata pubblicata in sordina, sul sito web della Direzione Cinema e Audiovisivo, senza che vi fosse nemmeno uno straccio di comunicato da parte dell’Ufficio Stampa del Ministero.

La “valutazione” non è mai stata oggetto di un approfondito convegno di pubblica discussione.

Nella storia della “Legge Franceschini”, c’è stata soltanto 1 occasione (una) di incontro, durante la Festa del Cinema di Roma, nell’ottobre 2021, intitolata “Tre anni di Valutazione di Impatto della Nuova Legge Cinema e Audiovisivo”: hanno partecipato all’incontro poche decine di persone e la ricaduta mediatica dell’iniziativa è stata inesistente, e nessuna criticità emerse allora.

Tutto sembrava andare per il meglio, pur nella evidente… navigazione a vista. E nel mentre, il Fondo cresceva, sempre più a vantaggio dei produttori televisivi che di quelli cinematografici… Sempre più assorbito dall’onnivoro “tax credit”…

Estrapoliamo una dichiarazione di allora del Direttore Generale del Cinema e Audiovisivo Nicola Borrelli (manifestata giustappunto in quella occasione), perché è sintomatica di una “regia” ministeriale deficitaria di tecnicalità: “Il Direttore Generale Nicola Borrelli ha specificato che la legge Franceschini non sia ancora da considerarsi “a pieno regime”, a causa dei rallentamenti legati al Covid e ai molti decreti attuativi previsti. In compenso l’intervento dello Stato si è molto rafforzato, passando dai circa 250 milioni di euro nel 2016 agli attuali circa 750 milioni di euro, di cui circa 500 milioni per il tax credit. Borrelli dichiara che si stia assistendo ad una positiva “crescita strutturale” del sistema audiovisivo nazionale. Sono 225 le opere che hanno beneficiato di tali fondi nel 2019, cresciute a quota 317 nel 2020, e a ben 772 nel 2021. Il tax credit può essere assimilato, in sostanza, un “contributo semi-automatico al 40 %”. Un modello molto più generoso di quello francese, che possono utilizzarlo solo per le imposte dirette. Un altro dato rilevante emerso dallo studio è che per 1 euro speso nel sistema audiovisivo italiano, 0,30 euro (30 centesimi di euro) rientrerebbero nelle casse dello Stato, grazie all’economia dei cosiddetti “moltiplicatori”” (testo tratto dalla notizia pubblicata su “Cinecittà News” il 22 ottobre 2021). E qui sia consentita una battuta sulle numerologie dei mitici “moltiplicatori”: nelle ultime settimane, prevale quel numerino magico di 3,54 (elaborato non si sa bene come da Cassa Depositi e Prestiti alias Cdp), mentre allora emergeva un più modesto 0,30…

Nelle more – in assenza di strumenti di navigazione – il Fondo Cinema e Audiovisivo è cresciuto fino al record del 2023, con ben 750 milioni di euro, ovvero ben 3 volte quello del 2016 (x 3)… Mentre il Fondo per lo Spettacolo dal Vivo non ha registrato incrementi significativi, data la grande simpatia del Ministro Dario Franceschini verso l’industria audiovisiva ed oggettivamente minor simpatia verso teatro, musica, danza, e spettacolo viaggiante…

Nessun allarme, nessuna preoccupazione, in quella presentazione dell’ottobre 2021.

E, dopo quell’incontro semi-clandestino al Festival di Roma, una cappa di silenzio totale è calata sulle successive “valutazioni di impatto”. Nessuno ne ha scritto mai, se non giustappunto noi di IsICult / Key4biz.

“No data” e il rischio di andare verso il precipizio (e non soltanto rispetto al Tax Credit per il cinema e l’audiovisivo)

E questo simpatico andamento allegro s’è rinnovato negli anni successivi (2022 e 2023 e 2024), alimentato soprattutto dalla Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni, sempre in compagnia dei sorridenti (succitati) Francesco Rutelli (Anica) e Giancarlo Leone (Apa), ovvero i rappresentanti dei principali beneficiari della “Legge Franceschini”, senza che nessuno (fatte salve rarissime eccezioni, tra le quali siamo ben lieti di poter essere annoverati) segnalasse che non si potesse continuare così graziosamente, perché “no data” (di questo si tratta) significava anche il rischio di andare verso un precipizio.

Così come è di fatto avvenuto, e c’è voluto un Ministro di centro-destra come Gennaro Sangiuliano (Fratelli d’Italia) per far scattare l’allarme, e mettere il sistema sotto analisi.

Finalmente anche se tardivamente.

Premesso che il sistema cinematografico e audiovisivo italiano tutto è in attesa di leggere le annunciate nuove regole (i tanto attesi decreti di riforma del “Tax Credit”… i decreti per la nomina delle due nuove Commissioni Esperti… e – prima ancora – il decreto di riparto dei 700 milioni di euro del Fondo Cinema e Audiovisivo per il 2024, approvato dal Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo – presieduto dall’avvocatessa Francesca Assumma – il 3 aprile scorso, ma ancora “top secret”…), è senza dubbio da apprezzare la decisione assunta dalla Dgca guidata da Nicola Borrelli di annullare – con la procedura di revoca in autotutela – il bando pubblico per l’affidamento della “valutazione di impatto” della Legge Franceschini per l’anno 2023.

La nuova annunciata “valutazione di impatto” della Legge Cinema e Audiovisivo: una decisione quasi “rivoluzionaria”?

Abbiamo già segnalato lunedì 15 aprile 2024 su queste colonne come la decisione di annullare il bando pubblicato l’8 febbraio 2024 (e scaduto il 1° marzo 2024), prospettando un nuovo avviso che preveda l’analisi giustappunto dell’andamento singoli titoli di opere cinematografiche e audiovisive prodotte con il sostegno dello Stato è quasi un atto “rivoluzionario”, a fronte della stagnazione documentativa e delle nebbie informative che caratterizzano il settore fin dalla nascita della Legge n. 220 del 2016.

Come abbiamo già segnalato (apprezzato), il decreto firmato dal Dg Nicola Borrelli il 10 aprile 2024 prevede infatti che il nuovo bando, e quindi la prossima “valutazione di impatto” (per l’anno 2023), risponda:

all’esigenza di acquisire ed analizzare, con maggiore dettaglio, i risultati delle singole opere finanziate sia da un punto di vista economico, nelle diverse fasi della catena del valore dell’opera (dallo sviluppo, alla produzione, alla distribuzione in tutte le sue forme) a livello nazionale e internazionale, sia da un punto di vista artistico culturale, relativamente alla circuitazione delle opere nei diversi festival di rilevanza nazionale e internazionale nonché ai premi da esse ricevuti”.

Oh, perbacco! Era ora!!!

Mai, dal 2017 ad oggi, nessuno aveva chiesto a chiare lettere (se non chi redige queste noterelle) di sviluppare questa analisi. Non le associazioni delle imprese (non l’Anica, non l’Apa, ed altre ancora), non le associazioni di autori (non l’Anac, non i 100 Autori, non la Wgi, ed altre ancora).

Questo profondo “deficit di conoscenza” riguarda senza dubbio il cinema e l’audiovisivo, ma, purtroppo, anche gli altri settori del sistema culturale italiano.

In sostanza, al di là di alcune lungimiranti decisioni del Ministro Dario Franceschini, soprattutto nel rafforzare le dimensioni del sostegno pubblico alla cultura (che pure restano inferiori alla media dei Paesi dell’Unione, in rapporto al Prodotto Nazionale Lordo), tutto il sistema culturale italiano è stato governato senza adeguata strumentazione tecnica.

Istat, Rapporto “Bes” (Benessere Equo e Sostenibile): “il recupero registrato nel 2023 ha riguardato tutte le attività culturali fuori casa, ad eccezione dell’andare al cinema”

Ed i risultati di queste politiche approssimative si vedono, se si cerca di estrapolare da alcune fonti di analisi informazioni preziose, che pur talvolta emergono: ieri mattina (mercoledì 17 aprile 2024), l’Istituto Nazionale per la Statistica (Istat) ha presentato la nuova edizione del report cosiddetto “Bes”, acronimo che sta per “Benessere Equo e Sostenibile”, presso l’Aula Magna dell’Istituto in via Cesare Balbo a Roma.

Ci limitiamo ad estrapolare dal rapporto “Bes 2023” alcune considerazioni che riguardano la cultura:

“Nel 2023 aumenta la partecipazione culturale fuori casa, che torna ai livelli pre-pandemici. Nel 2023, l’indicatore che monitora i livelli di partecipazione culturale fuori casa della popolazione dai 6 anni si attesta al 35,2 %, in forte aumento rispetto al 2022 (+ 12 punti percentuali), tornando, per la prima volta dopo 4 anni, ai livelli osservati nel periodo precedente alla pandemia (nel 2019 era pari al 35,1%). Rispetto al 2022, la fruizione di tutte le attività culturali fuori casa aumenta mediamente di circa una volta e mezzo e quasi raddoppia per la partecipazione a concerti di musica di genere non classico, che passa dall’11,2 % al 21,7 %” (vedi pag. 77).

Rimandiamo ad altri nostri interventi sulla validità metodologica di queste analisi, elaborate a partire dalla storica “Indagine Multiscopo”, ovvero “Aspetti della Vita Quotidiana” dell’Istat, allorquando IsICult ebbe l’ardire di confrontare le elaborazioni della Società Italiana degli Autori e Editori con quelle dell’Istat, esperimento che Siae ha incomprensibilmente deciso di sospendere nel corso del 2023. Su questi temi, si veda “Key4biz” del 17 novembre 2022, “Siae-IsICult, pubblicato il primo ‘Rapporto sullo Spettacolo e lo Sport nel sistema culturale italiano’”; e in relazione all’ultima edizione dell’“Annuario Statistico” della Siae, vedi “Key4biz” del 12 ottobre 2023, “La Siae certifica che il 2022 è stato l’anno della ripresa per i consumi di spettacolo (ma rapporto asettico)”.

Dando per affidabili queste misurazioni Istat (frutto di una ampia indagine campionaria, che coinvolge ogni anno ben 25mila famiglie), emerge come “il recupero registrato nel 2023 ha riguardato tutte le attività culturali fuori casa, a eccezione dell’andare al cinema, attività che coinvolge almeno 4 volte l’anno – solo – il 10,9 % delle persone dai 6 anni (nel 2019 erano il 18,1 %) e sulla cui diminuzione pesa già da alcuni anni la forte diffusione delle piattaforme di streaming che hanno modificato le abitudini di fruizione degli utenti”.

È quindi la stessa Istat a segnalarci che in Italia il “cinema” (inteso come fruizione in sala, il cinema “theatrical”) permane in grande sofferenza ed è in evidente controtendenza rispetto ad altre forme di fruizione culturale (teatro, musica, lettura, musei, etc.), che sono in recupero sul periodo pre-pandemia. Si ricorda che nel Rapporto Siae per l’anno 2022 “Spettacolo Intrattenimento e Sport” (pubblicato nell’ottobre del 2023), emergeva sì un +78 % di spettatori cinematografici rispetto al 2021, ma un -54 % rispetto all’anno 2019…

Come dire?! Una qualche domanda sulla reale efficacia della “Legge Franceschini” (e non soltanto) sorge naturale, una volta ancora.

La crisi riguarda anche la fruizione museale: spiega Istat che “nel 2022, le strutture espositive aperte al pubblico (musei, monumenti, siti archeologici) sono 1,46 ogni 100 km quadri, un valore sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente e ancora inferiore a quello del 2019 (1,62). L’indicatore, che a livello regionale è ponderato con il flusso dei visitatori, presenta il valore più alto nel Lazio (6,13), seguito a molta distanza da Campania e Toscana (fra 3 e 3,50), Veneto e Lombardia (fra 1,50 e 2). Nella maggior parte delle Regioni i valori sono ancora inferiori a quelli del 2019, con avanzamenti significativi soltanto in Valle d’Aosta, Umbria ed Abruzzo (oltre il 20 % in più). Marche, Puglia e Basilicata appaiono, invece, le Regioni più lontane dal pieno recupero dei livelli del 2019. Nel confronto fra le ripartizioni, resta molto ampio il vantaggio del Centro (3,35) nei confronti di Nord-ovest e Nord-est (1,29 e 1,33), Sud e Isole (0,80 e 0,61)”- Si conferma, anche in questo caso, quell’impressionante (ovvero deprimente) squilibrio culturale territoriale dell’Italia al quale abbiamo dedicato molta attenzione su queste colonne.

Istat (“Rapporto Bes”): l’Italia al terz’ultimo posto nella partecipazione culturale in Europa

Va notato che, anche se nel 2023 (secondo Istat) il livello di fruizione culturale in Italia sembra tornare – fatta salva l’eccezione negativa del cinematografo – ai livelli pre-pandemia Covid, permane comunque una situazione di estrema arretratezza del nostro Paese, se comparata con quella degli altri Stati membri dell’Unione Europea…

Si legge a pagina 81 del Rapporto “Bes” dell’Istat presentato oggi:

un confronto europeo su alcuni indicatori di partecipazione culturale è possibile utilizzando le informazioni del modulo ad hoc del 2022 sulla partecipazione culturale inserito da Eurostat nell’indagine europea sul reddito e le condizioni di vita (Eu-Silc). In base ai dati rilevati da Eurostat, nel 2022, all’interno del panorama europeo, l’Italia si colloca agli ultimi posti per livello di partecipazione culturale fuori casa, seguita solo da Romania e Bulgaria”.

Rimarchiamo: al terz’ultimo posto, seguita soltanto da Romania e Bulgaria!

Continua Istat nel Rapporto “Bes”:

il livello di fruizione di attività quali l’andare al cinema, visitare siti culturali o assistere a spettacoli dal vivo della popolazione italiana di 16 anni e più è inferiore di circa 12,7 punti percentuali rispetto alla media dei 25 Paesi Ue per i quali sono disponibili i dati più aggiornati.

E ancora:

“Tutte le singole attività culturali fuori casa risultano essere svolte in Italia da una quota minore di residenti rispetto alla media europea, anche se con alcune differenze: la situazione è migliore per la frequentazione del cinema (12ª posizione) rispetto alla fruizione di siti culturali e di concerti (per entrambi 21ª posizione). Un analogo andamento si osserva analizzando il comportamento dei giovani di 16-24 anni nel confronto con i loro coetanei europei”.

È di magra consolazione l’osservazione Istat secondo la quale si tratterebbe di “uno scenario strutturale per il nostro Paese: anche nel 2015 l’Italia − rispetto agli altri paesi europei − si collocava in fondo alla graduatoria per livello di partecipazione culturale, occupando pressappoco la stessa posizione del 2022”.

Traduzione in italiano corrente: nell’arco di sette anni, dal 2015 al 2022, la partecipazione culturale in Italia è rimasta sostanzialmente sugli stessi livelli, e restiamo di fatto… fanalino di coda dell’intera Unione Europea.

Questi indicatori (Eurostat/Istat) confermano come l’intervento dello Stato nel sistema culturale italiano non abbia contribuito alla crescita della partecipazione (e nemmeno – temiamo – all’“audience development”): questo è avvenuto anche perché si è governato in modo approssimativo, con quella nasometria che tante volte abbiamo denunciato, con una visione miope, determinata dalle umoralità del Ministro pro tempore. Con buona pace della tecnocrazia (e meritocrazia) spesso retoricamente invocata dalla stessa classe politica.

Si è (mal) governato il sistema senza che qualcuno si prendesse la briga di misurare seriamente, di valutare attentamente, le ricadute delle decisioni pubbliche (anche considerando alcuni crescenti divari sia generazionali, basti ricordare l’invecchiamento della popolazione, sia territoriali, nelle forti differenze tra Meridione e resto d’Italia).

E quindi si scopre, un po’ tardivamente in verità, che forse il Tax Credit ha drogato il sistema cinematografico e audiovisivo nazionale (e non ne ha realmente rafforzato la struttura), e che – più in generale – il Paese arranca nella fruizione di cultura…

Ben venga quindi, finalmente, una “valutazione di impatto” della Legge Cinema e Audiovisivo che sia all’altezza delle previsioni della legge stessa…

E… magari fosse che strumenti di questo tipo venissero, finalmente, applicati a tutti i settori del sistema culturale nel quale interviene lo Stato: siamo sicuri che ne scopriremmo delle… belle (ovvero delle… brutte!) anche in molte altre aree di attività (basti pensare alle anomalie del sostegno pubblico ai giornali quotidiani…).

Clicca qui, per il “Rapporto Bes 2023. Il benessere equo e sostenibile in Italia”, curato dall’Istituto Nazionale di Statistica – Istat, presentato a Roma, presso la sede centrale Istat, 17 aprile 2024

Clicca qui, per la “Sintesi per la Stampa” del “Rapporto Bes 2023. Il benessere equo e sostenibile in Italia”, Istituto Nazionale di Statistica – Istat, presentato a Roma, presso la sede centrale Istat, 17 aprile 2024

[ Note: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.

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