Il ‘sistema informativo’ della sanità pubblicasi conferma deficitario. Le decisioni dei ‘policy maker’ risultano quindi più emotive che razionali. La preoccupazione per il rischio di nuovi errori di una fase 2 dettata da improvvisazione.

Siamo alle solite: la sindrome “chiudere le stalle dopo che sono scappati i buoi” sembra caratterizzare ancora oggi una parte importante dei processi decisionali dello Stato italiano di fronte all’emergenza Covid-19.

Se ne è avuta conferma questa mattina, in una delle occasioni – ormai rituali – di “confronto” tra “decision maker” e “media”: si è tenuto presso l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) l’incontro settimanale in occasione del quale viene proposto un aggiornamento approfondito della situazione sanitaria (con particolare attenzione all’andamento epidemiologico del coronavirus in Italia), ad integrazione della erratica numerologia proposta ogni pomeriggio alle ore 18 dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile Angelo Borrelli.

L’incontro è durato quasi due ore, e si è caratterizzato per i toni, sempre pacati ed eleganti, del Presidente dell’Iss  Silvio Brusaferro, in questa occasione accompagnato da e dal Direttore Malattie Infettive dell’Istituto Gianni Rezza, e da Graziano Onder, Direttore del Centro Malattie Cardiovascolari dell’Iss stesso.

Dettagli coreografici: se presso la Protezione Civile viene ritenuto sufficiente il distanziamento di un metro tra le persone, senza obbligo di mascherina, presso l’Istituto Superiore di Sanità i giornalisti sono obbligati ad utilizzare la mascherina chirurgica. Naturale sorge la domanda?! Ma se l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ribadisce che l’obbligo di mascherina è opportuno soltanto nel caso di ambienti affollati – ovvero quelli nei quali non è possibile mantenere la distanza di un metro tra individui – perché questi due enti adottano criteri differenti?! Domanda oziosa… Si tratta di “dettagli” che sono però sintomatici di un “mood” incoerente, che si riflette appunto ai più alti livelli istituzionali del nostro Paese.

Ognuno va per conto suo, forte dei propri soggettivi convincimenti…

Partiamo dalle notizie liete: la curva della pandemia risulta decrescente in tutta Italia, anche se è evidente che ci sono situazioni differenziate tra le Regioni, e all’interno delle regioni, tra una zona e l’altra.

La parte forse più interessante di queste conferenze stampa è data dalle domande che vengono poste dai giornalisti accreditati, eletta schiera (…) nella quale rientra chi redige queste noterelle. Si tratta ormai, da settimane, di una sorta di simpatica “compagnia di giro”, ed è spesso prevedibile la tipologia delle domande che verranno poste. C’è chi affronta tematiche molto specifiche, quasi tecnicistiche; c’è chi coglie al balzo una notizia di cronaca; c’è che pone domande che finiscono per essere sui “massimi sistemi” (che in verità andrebbero poste soprattutto al Presidente del Consiglio)… Siamo in quest’ultimo gruppo.

In effetti, abbiamo denunciato anche questa mattina che il dataset che viene fornito dal “sistema” (meglio sarebbe definirlo… “non sistema”!) della sanità pubblica italiano è ancora oggi terribilmente deficitarioframmentato non validato.

Ne consegue che, con un sistema informativo deficitario, il processo decisionale è inevitabilmente fallace.

La sana logica del “fact checking decision making” prevede infatti che il decisore disponga di dati sufficienti per l’assunzione di decisioni razionali.

In Italia, rispetto alla pandemia questo “sistema informativo” dimostra di far acqua da ogni parte.

È incredibile, tristemente incredibile, ma questa è la realtà.

Esempi?! A distanza di mesi dai primi segnali di “allarme” della pandemia, in Italia ad oggi (17 aprile 2020), nessuno sa – nemmeno il Presidente del Consiglio o il Ministro della Salute – quanti sono i cittadini deceduti per/con Covid-19 presso le residenze sanitarie assistenziali (le “rsa”) o presso le personali abitazioni.

E nessuno nemmeno sa quanti siano gli stranieri contagiati, guariti, ospedalizzati, deceduti: non lo sa nessuno, ed ogni tanto – nelle conferenze stampa – viene evocato nientepopodimeno che l’Istituto Nazionale di Statistica, che, peraltro, su questi argomenti, ufficialmente ancora tace.

Gli anziani nelle “rsa”: 240mila cittadini abbandonati a se stessi?!

Abbiamo domandato questa mattina al professor Brusaferro: “ma se è stato, pur tardivamente, accertato che nelle residenze per anziani si sono registrati i più preoccupanti focolai, perché non è stato attivato immediatamente un monitoraggio a tappeto, anzitutto di tipo informativo, e perché non sono stati tempestivamente effettuati i tamponi su questa parte delicata della popolazione?”.

Si consideri che l’Iss ha avviato una “survey” sulle “rsa” soltanto il 24 marzo, su stimolo anche del Garante delle Persone Private della Libertà Mauro Palma. Sono state contattate 3.420 strutture (quelle che fanno parte di un “Osservatorio Iss” sulle Demenze), che accolgono circa 80mila anziani, e finora hanno risposto ad un questionario soltanto 1.082 strutture, un terzo del totale contattate. E quelle 3.420 strutture contattate rappresentano, a loro volta, forse un terzo del totale delle “rsa” attive in Italia: non esiste in Italia un censimento degli anziani che sono in rsa e case per anziani, e già questo dato dovrebbe stimolare… il pianto, anzi l’indignazione! Gli anziani che sono in queste strutture sarebbero – secondo stime non aggiornate – tra 240mila e 300mila.

I numeri che stanno emergendo, sia dalle statistiche della Protezione Civile sia dalla indagine sul campo dell’Iss, confermano che questi “ambienti” sono i più pericolosi, subito dopo le strutture ospedaliere.

L’Istituto Superiore, ed il Ministero quindi, ed il Comitato Tecnico Scientifico della Protezione Civile, dispone quindi, ancora oggi, di informazioni parziali.

Graziano Onder ha sostenuto che, dal 1° febbraio al 16 aprile, sono stati tra “6.000 e 7.000 i decessi avvenuti nelle Rsa ovvero il 7 per cento del totale dei pazienti ospitati in queste strutture, ed i sintomi del coronavirus sono stati individuati nel 40 per cento dei deceduti, ma è difficile distinguere, specie per il mese di febbraio, fra influenza e Covid-19”.

Questo è lo “stato dell’arte” dei dati: incredibilmente deficitario.

Basti pensare che, ad oggi, 17 aprile 2020 di 19.996 deceduti per/con Covid-19, si dispone della “cartella clinica” soltanto per 1.738 casi, meno del 10 % del totale. Ma come è possibile, di grazia?! E smettiamola con la retorica della “sanità digitalizzata”!

Non soltanto il “sistema informativo” della sanità italica è deficitario, ma anche terribilmente lento. Le decisioni vengono quindi assunte con colpevole ritardo.

Insomma, la sanità italiana dispone di un “sistema informativo” inadeguato, farraginoso, intempestivo.

La domanda “perché non si è deciso di effettuare i tamponi a questi cittadini anziani, (subito dopo i ricoverati, il personale medico e paramedico degli ospedali)?” non ha trovato una risposta, se non che si è ritenuto più urgente concentrarsi sugli ospedali. Ovviamente.

Spesso le domande che vengono poste ricevono risposte, dai toni sempre cortesi e dalla lunghezza disarmante, che alla fin fine risultano evanescenti, se non elusive. Non per mancanza di buona fede – vogliamo rimarcare – ma perché non c’è giustappunto il “dataset”.

I dati, in molti casi, non ci sono proprio

I dati, in molti casi, non ci sono proprio.

Alcune riflessioni conseguenti: in perdurante assenza di una fotografia ovvero radiografia accurata della fenomenologia in atto, come diavolo possono essere assunte decisioni razionali?!

È mancata – e continua a mancare – una visione “di sistema”.

Il Paese è frammentato non soltanto nei flussi informativi, ma anche nei processi decisionali: basti osservare le contraddizioni del Governatore della Regione Lombardia Attilio Fontana, con logiche “stop & go” che sono dettate da criteri privi di razionalità, prima invocando chiusure totali a livello nazionale e poi interprete, da qualche giorno, della urgenza di una riapertura graduale ma decisa…

La decisione di “chiusura” totale (semi-totale) del Paese è stata assunta sulla base di una analisi accurata, tempestiva e predittiva, o piuttosto sulla base di un’onda emotiva, a fronte dei numeri dei decessi che, fino a qualche giorno fa, mostravano una curva crescente?!

Perché si sono registrati ritardi a catena? Per esempio, nella individuazione della Regione Lombardia come area primaria a rischio: bene sarebbe stato prevedere una “chiusura” totale della Regione, ma forse settimane prima della improvvida decisione estrema di paralizzare tutto il Paese…

Decision making dettato più da “pathos” che da “logos”

Perché sono state assunte decisioni draconiane (il “lockdown”), dettate più da pathos che da logos?!

Per esempio, perché è stata ostacolata la possibilità dei cittadini di svolgere attività motoria, limitandola alle “vicinanze” (termine peraltro mai definito a livello di normativa e regolamentazione nazionale) della propria abitazione, costringendo decine di milioni di persone ad una reclusione domestica immotivata, sproporzionata rispetto a giuste esigenze precauzionali?!

Sono state assunte decisioni più isteriche che ragionevoli.

Per evitare il rischio che qualche migliaia di cittadini irresponsabili organizzasse… raduni di piazza, la totalità della popolazione è stata costretta a restare (rin)chiusa nelle proprie abitazioni.

Il sistema dei media ha amplificato questa sorta di “terrore dallo spazio profondo” (per parafrasare qualche film di fantascienza di “serie B” degli anni Sessanta), con autovetture della polizia che “invitavano” via megafono i cittadini a “rispettare le regole” (ovvero restare in casa!), con scene – degne di un film comico – di cittadini che tentavano un tuffo in mare o una passeggiata in pineta inseguiti da droni delle forze dell’ordine…

In questi giorni, una pluralità di soggetti sta “studiando” come attivare la cosiddetta “fase 2”: il problema è, ancora una volta, che si metteranno in atto processi decisionali deficitari di informazioni di base.

Dalle “app” sul tracking dei cittadini ai test sierologici: ognuno va per la sua via

La questione del deficit informativo riguarda – non a caso – sia la realizzazione di test sierologici sia la messa in atto di procedure digitali di tracciamento della popolazione: ogni Regione va per la sua via… il Garante della Privacy segnala che non si può imporre l’obbligatorietà del “tracking” personale (a sua volta, il Garante europeo, ad un livello ancora più alto, consiglia una applicazione standard per tutti i Paesi dell’Unione)… si assiste ad una pluralità di centri consulenzial-decisionali (in materia di “app”, la novella “Task Force” presieduta da Vittorio Colao, quella promossa dalla Ministra Paolo Pisano, ovvero il Commissario Straordinario Domenico Arcuri…).

Parafrasare il Grande Timoniere è, ancora una volta, opportuno: “grande è la confusione sotto il cielo. La situazione è eccellente” (Mao). Purtroppo, qui in Italia, la confusione è enorme, e la situazione non è eccellente: soprattutto, non è sotto controllo.

Come ormai lamentato da più parti, sono state assunte decisioni importanti per il Paese con una logica che potremmo definire in un mix “tecno-populista-dirigista”: le decisioni sono state assunte con modalità autocratiche dal Premier, il quale si scherma dietro il paravento della “scienza e coscienza”, sostenendo che le sue decisioni sono state prese sempre alla luce del parere di tecnici (scienziati ed accademici)…

Si tratta di una narrazione errata, distorta, equivoca: i tecnici non dispongono infatti di dati sufficienti per poter esprimere pareri adeguati ed oggettivi; il Premier tende a ritenersi il Principe assoluto e si vanta di incarnare “lo spirito della Nazione” (si è auto-attribuito questo status anche spirituale)… E che dire del Parlamento?!

In queste settimane di emergenza, il coinvolgimento del Parlamento è stato minimo, anzi le sue funzioni sono state sostanzialmente esautorate dal Governo, e peraltro le decisioni dei grandi super-consulenti (dal Comitato Tecnico Scientifico della Protezione Civile all’ultima Task Force del Presidente del Consiglio) avvengono in totale assenza di trasparenza e pubblicità.

La motivazione di questo agire opaco?! L’urgenza e l’emergenza. Risultato finale?!

Processi decisionali erratici tendenzialmente autoritari – oscillanti tra l’irragionevole e l’isterico (è stata ostacolata finanche l’esigenza di “1 ora d’aria al giorno per i bambini”) –  basati su dataset sgangherati: in sintesi, decisioni determinate più da emozione che da razionalità.

C’è da temere che la “gestione dell’emergenza” della “fase 2” possa rinnovare gli errori della “fase 1”.

Ribadiamo il convincimento che l’esigenza gerarchicamente prioritaria, anzi – ci si consenta – assoluta, è l’implementazione di un “sistema informativo” della pandemia: senza di esso, si continuerà a procedere a tentoni, per approssimazioni continue, in modo dilettantesco e velleitario, con buona pace della “scienza e coscienza” ormai tante volte retoricamente invocata.

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