Il “value gap” e l’asimmetria informativa, gli algoritmi e ChapGpt dovrebbero essere centrali nelle politiche pubbliche ed invece l’Italia resta passiva.

La notizia è emersa con forza ieri, giovedì 16 marzo, allorquando Meta, il gruppo al quale appartengono Facebook ed Instagram, ha annunciato che non è stata trovata una intesa per rinnovare “l’accordo di licenza con Siae” (scaduto il 1° gennaio 2023), precisando che “la tutela dei diritti d’autore di compositori e artisti è per noi una priorità assoluta e per questo motivo, a partire da oggi, avvieremo la procedura per rimuovere i brani del repertorio Siae all’interno della nostra libreria musicale. Abbiamo accordi di licenza in oltre 150 Paesi nel mondo e continueremo a impegnarci per raggiungere un accordo con Siae che soddisfi tutte le parti”.

Concretamente, ciò significa che gli utenti italiani non potranno più usare i brani del repertorio Siae nelle “Storie” di Facebook e Instagram, cioè nei “Reel” di Facebook e Instagram e nei “Feed” di Instagram, dove la musica si può aggiungere ai post dallo scorso novembre. Di fatto, tutti gli artisti italiani (ovvero la gran parte di essi) vengono cancellati dal “catalogo” di Facebook e Instagram.

La rimozione dei contenuti non autorizzati richiederà del tempo, anche se è stato prospettato che la cancellazione sarebbe avvenuta nell’arco di 48 ore, ovvero entro oggi venerdì 17 marzo.

Braccio di ferro tra Meta e Siae, sintomatico di scontri ancor più duri, che presto l’economia digitale andrà a scatenare

Immediata la reazione della Siae, presto spalleggiata dal Governo: secondo la Società Italiana degli Autori e Editori, si tratta di una “decisione unilaterale” per escludere il repertorio della società dal proprio catalogo, “prescindendo da qualsiasi valutazione trasparente e condivisa dell’effettivo valore del repertorio”.

Siae accusa il gruppo di Mark Zuckerberg di aver rifiutato di condividere “informazioni rilevanti ai fini di un accordo equo”, andando contro i principi della Direttiva “Copyright”.

Ieri pomeriggio, non appena ha appreso della decisione di Meta, il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, ha dichiarato in modo duro: “occorre difendere in modo sacrosanto gli autori italiani e l’opera del loro ingegno. I colossi transnazionali del digitale devono rispettare l’identità e la sovranità legislativa degli Stati. È sacrosanto difendere gli autori italiani e tutelare l’opera del loro ingegno, quella creatività che tanto valore ha nel mondo. Salvaguardare il frutto del lavoro autoriale è innanzitutto un principio etico, ancor prima che giuridico. Operare per difendere la creatività nazionale e l’immaginario italiano, poi, è un preciso mandato politico da onorare nei fatti. La indiscutibile libertà di mercato va esercitata all’interno di regole condivise e rispettate da tutti: è il fondamento di una convivenza pacifica e produttiva. La frontiera dell’innovazione non può e non deve essere il Far West del terzo millennio. L’oceano della rete va alimentato di contenuti di cui va riconosciuta la giusta retribuzione, altrimenti è destinato a diventare un Mar Morto sterile e senza vita”.

Poco prima della dichiarazione del Ministro, la Sottosegretaria Lucia Borgonzoni aveva diramato una nota stampa sostenendo che “la scelta di Meta di rimuovere i contenuti italiani dalla propria libreria musicale arreca al nostro Paese un danno enorme. Mi auguro che vengano immediatamente riaperti tavoli di discussione che possano portare a decisioni in grado di garantire i giusti diritti ai nostri artisti e di tutelare la creatività italiana. Meta nel frattempo sospenda la rimozione”.

Non ci risulta che l’invito della Sottosegretaria leghista sia stato accolto.

Meta vuole un accordo a forfait, Siae contrappone l’esigenza di una condivisione dei ricavi

In sintesi, lo scontro è determinato dalle contrapposte tesi: Meta vorrebbe un accordo “a forfait”, mentre Siae vuole un accordo che determini una equa ripartizione dei ricavi, in funzione del reale andamento delle fruizioni da parte degli utenti.

La società di Menlo Park sostiene che “soltanto con l’Italia” non sarebbe riuscita a trovare un’intesa. Questione che andrebbe opportunamente approfondita, in chiave comparativa: che condizioni sono riuscite ad ottenere le “collecting” omologhe di Siae in altri Paesi?!

Proveremo a chiedere queste informazioni sia a Siae sia a Meta o cercando da altre fonti…

Un articolo di Andrea Biondi sul confindustriale “Il Sole 24 Ore” di oggi ben sintetizza nel titolo l’oggetto del contendere: “L’asimmetria informativa che allontana i colossi del web”. Biondi riporta il pensiero del Direttore Generale della Siae, Matteo Fedeli (subentrato dal 1° gennaio scorso a Gaetano Blandini, attualmente Presidente della Fondazione Copia Privata, sulla quale torneremo presto su queste colonne), il quale sostiene che “siamo sempre al ‘value gap’, impossibile da colmare se non colmiamo prima l’‘information gap’”.

Il Presidente Onorario della Siae Giulio Rapetti Mogol ha dichiarato a “FqMagazine” (testata de “Il Fatto Quotidiano”), durante la presentazione alla stampa del nuovo disco con Mario Lavezzi (“Capolavori nascosti”): “questa è una battaglia giusta. Quella che facciamo noi dico, ed è una battaglia che riguarda anche voi giornalisti, se pubblicano gli articoli e non vi danno i soldi? Con i diritti accade lo stesso. Io l’ho portata avanti questa battaglia sacra. Il copyright è stato approvato al Senato e alla Camera ed è fermo ai decreti attuativi da otto mesi. È tutto fermo non riusciamo a capire il perché”. E (ottimisticamente?!) ha concluso: “non sarà comunque una battaglia che perderemo”.

Secondo Enzo Mazza, Presidente della Fimi (Federazione Industria Musicale Italiana), la questione è di natura economica ma anche di principio: “speriamo si trovi rapidamente una soluzione, perché l’impatto di questo mancato accordo tra Siae e Meta potrebbe avere rilevanti effetti economici sul complesso dei ricavi dallo streaming musicale in Italia. La recente Direttiva Copyright ha stabilito regole molto precise per le licenze di musica online”. Questa normativa cerca una remunerazione adeguata e proporzionata per gli autori, ed impone obblighi di trasparenza alle piattaforme.

La Direttiva Europea impone obblighi di trasparenza ed equa remunerazione, ma le piattaforme reagiscono con… “no data”!

L’articolo 19 della Direttiva Europea impone l’obbligo di trasparenza: i licenziatari sono infatti tenuti a fornire annualmente, ai titolari dei diritti ed alle associazioni degli interpreti, informazioni complete, aggiornate e pertinenti sullo sfruttamento dell’opera, compresi il capitale generato ed il compenso dovuto.

L’articolo 20 prevede, invece, il diritto per gli autori di rivendicare una remunerazione maggiore, adeguata ed equa, qualora la prevista inizialmente appaia essere troppo bassa rispetto ai proventi effettivi generati dallo sfruttamento dell’opera/esecuzione.

La Siae, presieduta dall’ottobre del 2022 da Salvatore Nastasi (già Segretario Generale del Ministero della Cultura), si è seduta al tavolo delle trattative con Meta con una posizione chiara: far valere la Direttiva Europea, comprendere come sono state usate negli ultimi anni le sue opere e che giro di affari hanno generato, e strutturare un accordo preciso che potesse essere soddisfacente per i propri associati…

Va ben precisato che Meta non sta subendo un trattamento peggiore o discriminatorio rispetto a quel che la Società Italiana degli Autori e Editori ha messo in atto con “player” del livello di YouTube Spotify TikTok, con i quali ha definito accordi (accordi le cui caratteristiche non sono state rese di pubblico dominio, ma questo è un altro discorso…).

Queste piattaforme forniscono a Siae i dati richiesti ed i contratti vengono regolati di conseguenza. Di fatto, viene praticata una “condivisione dei ricavi”, sulla base dei numeri di effettiva fruizione: per ogni brano ascoltato, all’autore arriva una piccola percentuale del guadagno prodotto dal brano, se esso ha monetizzato. Che questa “percentuale” sia verosimilmente ancora piuttosto bassa, è questione altra: senza dubbio, permane sacrosanto il principio della condivisione dei flussi reddituali.

Un principio simile vale anche per i negozi, e per ogni altra attività che deve acquistare da Siae i diritti di diffusione: per esempio, le attività commerciali che trasmettono musica pagano in base al “metro quadrato”, perché è la metrica più vicina per stimare quanti possano essere i potenziali ascoltatori…

Lo scontro tra Meta e Siae è sintomatico, ed è importante che la “collecting” reagisca a muso duro a chi cerca di sfuggire ad una sana e ragionevole trattativa: riteniamo che la stessa Meta possa soffrire le conseguenze della propria decisione, se gli utenti si vedranno costretti a rinunciare a musiche che fanno parte del loro storico immaginario…

Comunque, il problema riguarda l’insieme delle industrie culturali e creative, che certamente beneficiano delle enormi potenzialità distributive determinate dal web, ma, al tempo stesso, le industrie dell’immaginario hanno grande difficoltà ad evitare che la ricchezza reddituale vada a primario vantaggio degli “over-the-top” e delle “piattaforme”…

Si viene a determinare una crescente asimmetria, informativa e reddituale.

È indispensabile l’intervento della “mano pubblica”, per quanto quest’azione sia ostacolata dalla logica “globale” ovvero “planetaria” dell’economia digitale di queste multinazionali, che sono molto più potenti e pervasive di quelle che un tempo erano le “major” statunitensi del cinema…

Se le nazioni appaiono deboli a livello individuale, in qualche modo è riuscita ad intervenire l’Unione Europea.

Lo scontro Meta vs Siae rappresenta semplicemente una punta dell’iceberg della rottura di paradigmi storici nell’economia della cultura e nelle politiche culturali.

La questione determina ricadute e ri-propone quesiti che sono stati posti, da anni, da alcuni studiosi ed analisti. Quesiti piccoli e grandi: tra i piccoli, ci limitiamo a segnalare che chi cura questa rubrica IsICult “ilprincipenudo” per il quotidiano online “Key4biz”, ha posto qualche giorno fa ad Amazon Prime Italia (alias Amazon Studios) in occasione della presentazione del comedy-show “Lol – Chi ride è fuori” una semplice domanda sul totale degli investimenti del gruppo in Italia, tra “fiction” ed “entertainment”… La risposta è stata dapprima elusa, durante la conferenza stampa, e poi (vedi “Key4biz” del 2 marzo 2023, “Amazon, ‘no data’ sui budget di Prime e Studios in Italia”) esplicitata: ci ha cortesemente precisato Nicola Fiorentino, Head of Public Relations di Amazon Italia, “in merito agli investimenti, come ha già scritto, non divulghiamo dati aziendali”.

No data, è spesso il leitmotiv di queste multinazionali.

Con Netflix, così come con Amazon, così con Meta, prevale la logica del “no data”.

Oggi pomeriggio è emersa anche la posizione di Confindustria Cultura, nella persona del Presidente Innocenzo Cipolletta: “la preoccupazione per l’impatto che il mancato accordo tra Meta e Siae, e la conseguente rimozione o silenziamento dei contenuti musicali su Facebook e Instagram, è molto forte e i danni potrebbero essere ingenti per l’intera filiera musicale. Il dovere di un editore globale come Meta, così come il dovere di una società di gestione collettiva dei diritti come è Siae, è quello di agire sempre per facilitare l’accesso ai contenuti culturali e creativi e di assicurare il rispetto di tutta la comunità creativa e in quest’ottica la recente Direttiva Copyright ha stabilito regole molto precise per le licenze di musica online che vanno seguite e rispettate”. Ed osserva, giustamente come “i contenuti culturali e creativi infatti rappresentino la ricchezza economica e sociale di un Paese, ma anche la ricchezza di tutte le piattaforme digitali”. Osservazione corretta: la cultura, le arti, la creatività sono motori di sviluppo economico e di coesione sociale di un Paese, ma sono anche “merce” preziosa per le piattaforme stesse, le quali dovrebbero comprendere che non giova a nessuno l’assunzione di posizioni rigide e radicali.

Sarà molto interessante seguire lo sviluppo di questa trattativa, determinante per lo sviluppo e le strategie future delle industrie culturali e creative italiane.

Il Presidente della Siae Salvo Nastasi ha comunque dichiarato al Tg3 Rai: “per noi il tavolo resta aperto, siamo disponibili a riprendere la trattativa, non appena Meta riterrà”. Essenziale è che le condizioni di Meta non siano “umilianti per gli autori”.

I doppiatori sospendono lo sciopero ma restano in stato di agitazione. E scioperano le troupe cinematografiche e audiovisive. Le conseguenze di differenti “Far West”…

A proposito di trattative (anch’esse correlate ad “asimmetrie informative”)… va segnalato che è di ieri l’altro mercoledì 15 la notizia che le trattative per il contratto dei doppiatori sono riprese (sono previsti incontri con Anica il 21 marzo e successivamente il 29 marzo) e lo sciopero, protrattosi per ben tre settimane, è stato quindi sospeso (su questi temi, vedi, da ultimo “Key4biz” di venerdì scorso 10 marzo, “Sciopero doppiatori, prime serie Tv solo con audio originale. E a Meloni interessa più la cyber che la Rai?”).

Ma per un “comparto” che interrompe lo sciopero… ne arriva un altro che si ferma: le troupe hanno indetto una giornata di sciopero per spingere sulla riapertura delle trattative per il rinnovo contrattuale.

Lo sciopero è stato indetto dalla triade Cgil Uil Cisl per mercoledì della prossima settimana 22 marzo, giorno in cui i lavoratori del comparto torneranno ad incontrarsi in assemblea: con le troupe, sono invitati alla giornata di mobilitazione anche i tecnici, le maestranze, gli artisti e le figurazioni…

I lavoratori delle troupe chiedono di rinnovare il contratto anche perché i loro minimi sindacali sono
fermi al 2004
: incredibile, ma vero.

E protestano contro il “Far West normativo che peggiora le condizioni di lavoro per prolungamenti orari, ritmi, contratti individuali firmati se, come e quando decide l’azienda”.

Si osservi come sia i sindacati sia il Governo utilizzino la stessa metafora: “Far West”.

I doppiatori restano comunque in stato di agitazione. Anzi, entrano formalmente in stato di agitazione anche i fonici del doppiaggio, che si mobilitano per sostenere l’avvio del confronto per il rinnovo del contratto “cine-audiovisivo”.

I doppiatori sono tornati al lavoro e sono assicurate le prestazioni nei normali turni di doppiaggio, ad esclusione di quelli straordinari.

Lo sciopero di 3 settimane ha inevitabilmente comportato ripercussioni sul doppiaggio di alcuni prodotti: ad esempio, i 3 episodi finali della famosa serie “The Last of Us” sono andati su Sky per ora in onda solo in versione originale.  

Nelle more, nell’agenda della politica culturale italiana, vanno segnalate due notizie degli ultimi giorni, una istituzional-politica e l’altra intellettual-politica (le due dimensioni ovviamente interagiscono tra loro).

Nominati i 42 membri della Commissione di Vigilanza Rai, ma il Presidente è ancora in forse. Il 30 marzo simposio sull’Intelligenza Artificiale a Roma

Lunedì scorso 13 marzo, dopo mesi e mesi di incredibile attesa, il Vice Presidente della Camera Fabio Rampelli ha finalmente annunciato la composizione della Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai, ovvero ha letto in aula i nomi dei 42 componenti. La prima convocazione è stata calendarizzata per martedì 21 marzo, ma permane lo scontro sulla nomina del Presidente, che dovrebbe essere “in quota” Movimento 5 Stelle (in “pole position” restano Stefano PatuanelliChiara AppendinoRiccardo RicciardiBarbara Floridia), ma che incontra la resistenza di Azione / Italia Viva (che insiste per la propria candidata Maria Elena Boschi). E qualcuno non esclude possa emergere, dalla contrapposizione, un esponente “dem” (Michela Di Biase)…

Giovedì 30 marzo 2023, si terrà a Roma la giornata seminariale (ad inviti) “Intelligenza artificiale. Una sfida per l’umanità”, presso Palazzo Falletti, promossa da Sergio Bellucci e Lucio Pascarelli e Roberto Savio (clicca qui per il sito web dedicato all’iniziativa). Un gruppo di persone di diversa estrazione, ma tutte preoccupate dell’irrompere della Intelligenza Artificiale (IA) nella società, finora senza nessun adeguato dibattito pubblico nel nostro Paese, hanno dato vita a un simposio, che prevede la partecipazione di oltre cento partecipanti. Il simposio non sarà dedicato all’Artificial Intelligence (AI) come un fatto “tecnico”.

L’iniziativa intende stimolare coscienza critica su un fenomeno che avrà un impatto radicale ed irreversibile nelle nostre vite, e discutere questo impatto nei vari settori, dalla educazione alla sanità, dal lavoro all’impatto sulla democrazia liberale, e condividere conoscenze su due temi: se il bilancio sarà positivo, e quali misure di governabilità andrebbero prese per impedire che la proprietà in poche mani non si trasformi in uno strumento di potere senza precedenti, senza trasparenza e senza valori su cui fondare l’uso dell’intelligenza artificiale…

Che l’Italia, di fronte a fenomeni dirompenti come ChatGpt sia in estremo ritardo, è assolutamente evidente.

Questa forma evoluta di prototipo di “chatbot” (basato su intelligenza artificiale e “machine learning” sviluppato da OpenAI specializzato nella conversazione con un utente umano) è finalmente apparsa sui media – anche “mainstream” – italiani, ma non ci sembra che il Governo ed il Parlamento le stiano prestando adeguata attenzione.

Il ritardo dell’Italia rispetto al “decision making” pubblico su “value gap”, “algoritmi” e… ChatGpt

In argomento, segnaliamo l’acuto intervento di Michele Mezza sulle colonne di “Huffpost” di ieri l’altro mercoledì 15, dal titolo “Mentre ChatGpt entra anche in banca, l’Italia lo ignora e si affida ai prefetti”. Commenta il mediologo (contributore anche di “Key4biz”): “la nuova potenza tecnologica riclassifica professioni e servizi e punta a colonizzare informazione e sanità. Da noi resta fuori dal dibattito politico”. Mezza osserva il ritardo sia della “vecchia” Cgil sia della “nuova” leader del Partito Democratico, e, infine, dello stesso Governo: “i riflessi di questi quesiti hanno una ripercussione politico istituzionale immediata. Alla vigolia del congresso della Cgil, risulta ad esempio singolare che il principale sindacato italiano che solo qualche anno fa aveva lanciato la parola d’ordine di contrattare l’algoritmo oggi non dedichi al tema nemmeno un rigo del suo documento e nessuna attenzione nella presentazione e organizzazione del dibattito congressuale. Non meglio è capitato alla stessa nuovissima Elly Schlein che nel suo manifesto politico presentato all’assemblea nazionale del Pd ha derubricato l’intero capitolo digitale al super sfruttamento dei riders, tema ovviamente non marginale ma certo non decisivo nell’inquadrare le modalità di dominio e condizionamento che esercitano i monopolisti del calcolo”. E, infine, Mezza punta il dito sull’esecutivo: “ancora più buio sembra lo scenario del governo, dove il concetto di innovazione sembra essere associato a quello di una minaccia per la sovranità nazionale, cosa che in realtà potrebbe verificarsi proprio se il Paese si disinteressasse delle nuove modalità di ingaggio che le tecnologie intelligente rivolgono ai centri istituzionali”.

Infine, ci si domanda se queste tematiche essenziali – dalla trattativa sul “value gap” alla trattativa, in senso lato, sugli “algoritmi”, passando per la condivisione dei “data” – verranno affrontate nella gestione (ancora ad oggi sottoposta ad intollerabile “segreto di Stato”) del prossimo “contratto di Servizio” Rai…

Lentamente il “Far West”, anzi… diverse forme di “Far West” si espandono…

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz

Link all’articolo originale