L’Associazione dei Produttori Televisivi (Apa) continua a chiedere aiuto allo Stato: resta ignoto il dato sul capitale di rischio delle imprese. Prevale il “tax credit”, senza il quale “il sistema” crollerebbe.

Questa mattina a Roma, giornata ultima del Mercato Internazionale Audiovisivo alias Mia (che si è svolto da lunedì 9 a venerdì 13 ottobre 2023), è stata presentata l’edizione n° 5 del “Rapporto sulla produzione audiovisiva” promosso dalla maggiore associazione italiana dei produttori audiovisivi, l’Apa, presieduta da alcuni mesi da Chiara Sbarigia (che – si ricordi – è anche Presidente di Cinecittà, sebbene quasi nessuno rilevi una qual certa incompatibilità tra i due ruoli).

La ricerca è stata affidata all’eMedia (guidata da Emilio Pucci) e Certa (guidato da Massimo Scaglioni), con una collaborazione di Symbola (presieduta da Ermete Realacci).

Nessuna innovazione metodologica o contenutistica rispetto alla ultima edizione del rapporto (l’edizione n° 4 era stata presentata in occasione della precedente edizione del Mia, esattamente un anno fa, il 14 ottobre 2022): sulla debolezza strutturale di questi report abbiamo scritto più volte, e ci limitiamo a rimandare al nostro commento del 2° “Rapporto” Apa (vedi “Key4biz” del 16 ottobre 2020 “Rapporto Apa su Produzione Audiovisiva in Italia: ‘trend positivo’ ma approccio acritico e deficit strategico”).

Il titolo del nostro commento di tre anni fa può essere oggi riprodotto immutato: “approccio acritico e deficit strategico”.

Il valore complessivo degli investimenti in produzioni originali italiane (di tutti i generi) è di 1,8 miliardi di euro, ma qual è l’apporto di capitale di rischio delle imprese? Non si sa

Qualche numero proposto dal 5° “Rapporto”: il valore complessivo degli investimenti in produzioni originali italiane (di tutti i generi) è di 1,8 miliardi di euro… gli investimenti su piattaforma lineare (“free” e “pay”) è di circa 1 miliardo… la crescita della componente “online” vale attualmente quasi un terzo di quella televisiva… film e serie per la tv e il “vod” (video-on-demand) di finzione costituiscono il genere principale per volumi di investimento, ovvero un 55 %, anche se si registra  una crescita importante dei documentari e dell’animazione (principalmente sul segmento “vod”)… Per quanto riguarda l’intrattenimento, i dati evidenziano come, nella stagione 2022/2023, siano cresciute le ore, con 16.855 ore di offerta “first run” sulle reti lineari, dato che segnala una ripresa del 7 % rispetto alla stagione precedente… Positivi anche i dati dei servizi “ott” (over-the-top) che segnano un aumento, rispetto alla precedente stagione, sia di ore (+ 5%) che di titoli (+ 9%), con particolare attenzione alla produzione indipendente (+ 24% di titoli e + 30% di ore). Crescono gli adattamenti da format internazionali sia in termini di titoli (+11 %) che in termini di ore (+39%), grazie in particolare ai generi “Talent”, “Reality”, “Dating” e “Factual”. Resta marginale la presenza di prodotti nazionali venduti all’estero come format, anche se questo settore segna un leggero miglioramento rispetto alle scorse stagioni con 2 titoli in più fra i format “Made in Italy”…

Una qualche osservazione comunque interessante è emersa dal panel, moderato da Elisabetta Stefanelli, Capo Redattrice dell’agenzia stampa Ansa.

Netflix, Sky, Paramount: tutto va bene, l’Italia è un Paese certamente importante nell’economia globale di queste multinazionali

Sono intervenuti (con un qualche cambiamento rispetto al programma annunciato): Lucia Borgonzoni, Sottosegretaria alla Cultura; Tinny Andreatta, Vice President Originals di Netflix (che ha approfittato dell’occasione per decantare le produzioni di cui Netflix si vanta: “vogliamo raccontare un’Italia moderna, contemporanea, diversa…”); Antonella D’Errico, Executive Vice President di Sky ItaliaAntonella Dominici, Senior Vice President di Paramount+; Giampaolo Rossi, Direttore Generale della RaiGina Nieri, Consigliere di Amministrazione Mediaset.

Nessuna analisi seria delle due dinamiche più patologiche del settore (come se non esistessero!): la assoluta predominanza del “tax credit” – e quindi della mano pubblica – nell’economia complessiva del sistema ed il fenomeno dell’acquisto di imprese italiane da parte di multinazionali mediali.

Antonella D’Errico ha citato la ricerca affidata dal suo gruppo alla Bocconi, secondo la quale Sky Italia avrebbe investito in Italia, negli ultimi 10 anni, oltre 15 miliardi di euro. Secondo i dati presentati il 6 giugno 2023, stimati da Sda Bocconi, Sky avrebbe contributo per quasi 50 miliardi al Pil italiano in 20 anni di attività, stimolando un indotto occupazionale di oltre 30mila persone (media annua degli ultimi tre anni); si ricordi che in quell’occasione Sky si fece vanto di aver determinato un suo contributo fiscale alle casse dello Stato nell’ordine di oltre 20,5 miliardi di euro, con una media di circa 1,2 miliardi l’anno (vedi l’intervento di Luigi Garofalo, “Ftth, Sky cresce più degli altri operatori. 50 miliardi l’impatto della società al Pil italiano in 20 anni” su “Key4biz” del 6 giugno 2023).

Antonella Dominici, Senior Vice President Paramount+ e Pluto Tv per Streaming per South Europe, Middle East & Africa, ha raccontato l’esperienza degli “ultimi arrivati” (entrata in Italia soltanto da un anno), segnalando il target di “allargare” lo spettro espressivo delle scelte editoriali, identificando tematiche italiane che possano essere interessanti per un pubblico internazionale.

Insomma, tra Andreatta e D’Errico e Dominici, letture assolutamente positive del sistema, nessuna osservazione critica: insomma, va tutto bene sia per Netflix sia per Sky sia per Paramount…

Nota bene: nessuna di loro ha speso 1 dato preciso uno sulle dimensioni degli investimenti dei rispettivi gruppi mediali in Italia, nel loro andamento diacronico, anno dopo anno. Soltanto aggregati generici e generali.

“No data”, ancora una volta. Soltanto da Gina Nieri (Mediaset) e Giampaolo Rossi (Rai) una qualche osservazione critica (lieve)

E chissà se dalle parti dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni qualcuno si sta interrogando (seriamente) sul rispetto degli obblighi di investimento, previsti – sulla carta – dalle norme vigenti (per quanto debolmente regolamentate): in argomento “quote obbligatorie”, Paramount ha criticato la prospettiva della eventuale introduzione di nuovi “obblighi” normativi (in effetti c’è chi chiede al Mic ed all’Agcom delle “sotto-quote”, per esempio a favore del settore dei documentari, sulla falsariga di quel che è già previsto per l’animazione), che determinerebbe – dal suo punto di vista – il rischio di riduzione dei budget e conseguentemente minor competitività a livello internazionale. Una tesi che ascoltiamo da molti anni (decenni), fatta propria della… “ultima arrivata”.

Giampaolo Rossi, Dg Rai, ha rivendicato l’assoluta centralità della tv pubblica nell’economia del sistema, lamentando il rischio di riduzione di risorse determinato da una qual certa “distrazione” e superficialità da parte degli “stakeholder” istituzionali, ovvero della politica, che sembra non riconoscere adeguatamente il ruolo della Rai come spina dorsale dell’economia audiovisiva italiana: “se la Rai dovesse scricchiolare nell’economia produttiva, le conseguenze sarebbero negative sull’intero sistema”. Ha citato alcuni dati essenziali dell’impegno Rai: 180-190 milioni di euro l’anno sulla fiction140 milioni nel cinema6 milioni sulla documentaristica… Rossi ha rivendicato la restituzione dei 110 milioni di euro che vengono sottratti dal canone Rai (e destinato ad attività extra-Rai): “non vogliamo soldi in più, ma semplicemente i soldi che sono della Rai e che vorremmo indietro…”. Se questi danari venissero “restituiti” a Viale Mazzini, il budget complessivo nella produzione potrebbe risalire verso i 300 milioni di euro l’anno di investimento nella fiction, livello che era stato raggiunto qualche anno fa.

Gina Nieri, Consigliere di Amministrazione di Mediaset, ha lamentato quanto il finanziamento “pro capite” dell’Italia nel sistema audiovisivo sia limitato rispetto ai maggiori altri Paesi europei: le risorse sono ancora inadeguate, e quindi il nostro Paese parte comunque svantaggiato rispetto ai “competitor”. Nieri ha lamentato i “vincoli” che Mediaset ed altri broadcaster debbono subire: “siamo l’unico Paese con due obblighi, di trasmissione e di produzione a favore degli indipendenti”. Nonostante ciò, “abbiamo investito 20 miliardi di euro, negli ultimi 10 anni, nella produzione audiovisiva… lamentiamo difficoltà competitive, determinate dall’ingresso delle piattaforme multinazionali nel mercato italiano”. Lamentiamo difficoltà competitive, determinato dall’ingresso delle piattaforme nel mercato. Il totale dei ricavi pubblicitari acquisiti da Google e piattaforme supera ormai i ricavi pubblicitari dei media tradizionali. Ha segnalato l’assurdità del considerare società di produzione del Gruppo Mediaset “non indipendenti”, allorquando imprese di produzione formalmente italiane ma controllate da gruppi mediali straniere possono invece liberamente accedere al “tax credit”: un paradosso, sul quale curiosamente non ha voluto insistere più di tanto… Ha segnalato che le quote che possono anche avere “un senso” in sé, ma appesantiscono i bilanci dei “broadcaster”, e quindi finiscono per ridurre la propensione all’investimento nella produzione. Tesi che ascoltiamo da diversi decenni.

Conclusivamente, “nihil sub sole novum”.

Una nuova messa in scena di una “compagnia di giro”, che si riproduce stancamente anno dopo anno (a parte la “new entry” di Dominici per Paramount).

Ogni relatore ha proposto il meglio del proprio “catalogo” e delle produzioni in-progress.

Nessun approccio critico rispetto al sistema nel suo complesso, se non nelle parole – comunque assai pacate – di Rossi e Nieri. Zero polemiche.

Ricerche e dibattiti che lasciano il tempo che trovano

Abbiamo avuto conferma di quel che abbiamo scritto un paio di giorni fa, in relazione allo studio Anica sull’export dell’audiovisivo italiano nel mondo, con il paradosso, in quel caso, che è stata presentata una ricerca… senza dati! Si rimanda a “Key4biz” dell’11 ottobre 2023, “Cinema, rischio tagliola alle sovvenzioni”, e si rimanda al link in calce a questo articolo odierno per scaricare la presentazione ed avere conferma di queste criticità.

Peccato.

Ultima relatrice, questa mattina, la Sottosegretaria leghista delegata al cinema e all’audiovisivo del Ministero della Cultura, la senatrice Lucia Borgonzoni: ha ribadito che sono in corso “tavoli” ministeriali per modificare il “tax credit” e complessivamente il sistema dell’intervento pubblico a favore del cinema e dell’audiovisivo. Ha ribadito che è necessario rafforzare le risorse professionali della Direzione Cinema e Audiovisivo (guidata da Nicola Borrelli), perché lo staff attuale è inadeguato, rispetto alle migliaia di istanze che deve gestire ogni anno. In verità lo staff della Dgca – osserviamo – è inadeguato da molti anni, e la scoperta di questo deficit strutturale è discretamente tardiva. Ha auspicato l’aggregazione di imprese italiane, per ridurre le acquisizioni da parte di gruppi stranieri: “è uno strumento fondamentale, la stimolazione di aggregazione tra le imprese italiane… anche su questo, dobbiamo intervenire, rispetto al tax credit”. Ha concluso: “incrociamo le dita, e che non ci vengano tagliati i fondi, che debbono essere allocati meglio ma non ridotti”.

Non è stata consentita nessuna domanda ai giornalisti o a persone del pubblico.

Da segnalare anche che uno stimolo posto dalla moderatrice Elena Stancanelli, che ha ricordato che Siae (Società Italiana degli Autori e Editori) ha presentato ieri il suo “rapporto” annuale sullo spettacolo (vedi il nostro intervento su “Key4biz” del 12 ottobre 2023, “La Siae certifica che il 2022 è stato l’anno della ripresa per i consumi di spettacolo (ma rapporto asettico)”), segnalando come il settore del cinema “theatrical” – inteso come consumo di film nelle sale cinematografiche – arranchi gravemente, non è stato colto da nessuno dei relatori.

Nel pomeriggio, la Sottosegretaria Lucia Borgonzoni ha fatto diramare un comunicato stampa, a valle della presentazione del report dell’Apa: “le produzioni italiane sono sempre più attrattive a livello internazionale, come dimostra l’incremento dei prodotti audiovisivi venduti all’estero”. Sarà certamente vero, ma sarebbe bene precisare che l’entità di queste vendite non è in verità nota, e che né Anica né Apa hanno rivelato alcun dato sul flusso di ricavi da questa fonte.

Molte parole, pochi numeri. Tanti auspici.

Eppure, continua la Sottosegretaria sempre ottimista: “i risultati di questa mattina testimoniano il grande impegno del Governo e del settore per rendere sempre più attrattivo il cinema italiano all’estero e per valorizzare lo star system italiano e soprattutto i talenti più giovani”.

Ed annuncia: “proprio in questa direzione si muove il nostro impegno per portare al Festival di Tokyo i grandi nomi del cinema italiano insieme a giovani attori e musicisti italiani proprio per ribadire che l’Italia è stata cultura, è cultura e sarà cultura. È importante riuscire ad esportare il cinema italiano perché i film girati in Italia hanno poi ricadute sul settore del turismo, ma non solo, e rappresentano un volano per la rinascita del patrimonio a tutto tondo del nostro Paese”. Non abbiamo, qui ed ora, tempo di approfondire quale sia la quota di mercato del cinema italiano in Giappone (magari anche nella sua evoluzione diacronica) ed in altri Paesi d’oriente (…), ma sicuramente la presenza di una folta delegazione di connazionali in quel di Tokyo fornirà un apporto determinante alla promozione mondiale del “Made in Italy” audiovisivo…

Ribadiamo quel che andiamo sostenendo da anni anche su queste colonne: non sarebbe più opportuno saggio lungimirante ragionare – ed investire risorse adeguate – sulla creazione di una agenzia specializzata per la promozione del cinema e dell’audiovisivo italiano all’estero, magari in sana sinergia tra Mic (Ministero della Cultura) e Maeci (Ministero Affari Esteri e Cooperazione Internazionale), sul modello storico Unifrance?!

Conclusivamente: ancora una volta, pochi dati e molto “ritentività”. E molte parole (le stesse che si ascoltano da anni in queste rituali occasioni di passerella), intorno al vuoto di conoscenza.

Insomma, i dati reali non ci sono.

Così come l’Anica non rivela l’investimento (vero) dei produttori italiani nel business cinematografico, l’Apa non rivela l’investimento (vero) dei produttori nel business audiovisivo: nelle statistiche delle due “lobby” (e finanche in quelle del Ministero, paradossalmente), la stima degli “apporti dei produttori italiani” è confusa con altre voci, non è specificamente quantificata, così determinandosi una confusione tra “mele” e “pere” che rende impossibile comprendere quale sia il vero capitale di rischio dell’imprenditoria audiovisiva italica.

Come diavolo si può ragionare seriamente e strategicamente (e finanche fornire indicazioni al “policy maker”), se si rinnovano le complessive condizioni confuse e nebbiose del sistema informativo della politica culturale e dell’economia mediale italiana?

Chi ha interesse a non fare chiarezza, a non fare luce, a non rivelare i numeri veri?!

Clicca qui per la ricerca “La distribuzione dei film italiani sui mercati esteri. Imprese, dinamiche di mercato e fattori di sviluppo”, promossa da Anica (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Digitali), realizzata da eMedia, presentata nell’economia dell’edizione n° 9 del Mia – Mercato Internazionale Audiovisivo, Cinema Barberini, Roma, 10 ottobre 2023.

Clicca qui, per il “5° Rapporto sulla Produzione Audiovisiva”, promosso dall’Associazione Produttori Audiovisivi (Apa), realizzato da eMedia-Certa-Symbola, presentato nell’economia dell’edizione n° 9 del Mia – Mercato Internazionale Audiovisivo, Cinema Barberini, Roma, 13 ottobre 2023.

[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.

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