A metà settembre, avremo finalmente delle risposte “oggettive” sulle ragioni della crisi acuta della fruizione di cinema “theatrical” in Italia

Questa edizione della rubrica “ilprincipenudo” (ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale), curata dall’Istituto italiano per l’Industria Cultural – IsICult per il quotidiano online “Key4biz”, si apre questa volta prendendo spunto da una piccola esperienza personale, che pure anch’essa risponde in qualche modo alla domanda – tante volte posta su queste colonne – “perché in Italia il cinema in sala va così male?!”.

La domanda (complessa) ha risposte multiple, perché non esiste una causa prevalente, se non lo strapotere che il “digitale” sta assumendo in ogni aspetto delle nostre vite, e quindi anche nei consumi culturali: strapotere accresciuto nei due anni di isolamento in casa al quale ci hanno costretto i draconiani provvedimenti del Governo italiano. Però… i concerti dal vivo registrano in Italia numeri esplosivi, e finanche il teatro sembra stimolare pubblico, a differenza delle sale cinematografiche, che soffrono una crisi acuta senza precedenti.

In un nostro recente intervento su queste colonne, abbiamo segnalato l’esigenza, assoluta e prioritaria, di una potente compagna pubblicitaria e promozionale, così come la necessità di limitare in qualche modo la gran quantità di spot pubblicitari che – anzitutto sulle televisioni generaliste – cercano di convincere il telespettatore che “il cinema in casa” è assolutamente intrigante (vedi “Key4biz” del 7 giugno 2022, “Perché il cinema in sala in Italia soffre la crisi più acuta d’Europa?”).

C’è un elemento altro, sul quale in verità raramente ci siamo concentrati: le condizioni strutturali delle sale cinematografiche italiane. E qui riportiamo una esperienza personale: dopo una giornata al mare, nella sera di ieri sera domenica 12 giugno chi redige queste noterelle, in compagnia di due ragazzine (figlia e amica della figlia) si reca al multiplex Uci Cinemas (United Cinema International) di Parco Leonardo, vicino a Fiumicino. Uci Cinemas è il circuito leader in Italia. Il gruppo Odeon Cinemas Group è il più importante circuito cinematografico europeo e fa capo alla società Amc Entertainment Holdings. In Italia conta 43 strutture multiplex, per un totale di ben 440 schermi.

Una piccola esperienza personale in un multiplex deserto… E ancora mascherine per gli spettacoli al chiuso, fino a mercoledì 15 giugno…

Si arriva nel grande multiplex, e… nessuno alla cassa, se non per i popcorn e bibite. Si è quindi costretti ad acquistare, nel deserto umano, i biglietti alla cassa elettronica. Ci segnalano che è obbligatoria la mascherina in sala, ma che, acquistando qualcosa di alimentare, se ne può fare a meno. Si acquista una bottiglietta di acqua all’impressionante prezzo di 3,40 euro. In possesso del titolo di acquisto, l’addetto al controllo del biglietto osserva che soltanto uno degli spettatori aveva la mascherina Ftp2 (io), mentre le due ragazzine no. Decido di entrare comunque, segnalando che si tratta di due fanciulle di dodici anni, e che non c’è alcuna affluenza, e saremo verosimilmente pochi spettatori in una sala da centinaia di posti (la Sala 20). Comunico all’addetto che se ritiene può segnalare l’episodio alle forze dell’ordine, e mi assumerò la responsabilità della grave violazione. Entriamo in sala. La sala è sporca a livelli indescrivibili, si percepisce uno spiacevole olezzo, e l’aria condizionata non funziona.

Da ricordare “en passant” che da mercoledì prossimo 15 giugno, per legge viene meno l’obbligo di mascherine per seguire gli spettacoli al chiuso… Una norma veramente assurda, irrazionale, irragionevole, che purtroppo è stata mantenuta in vita nonostante le proteste, sacrosante, degli esercenti cinematografici, Anec e Agis in primis. Una norma che ha contribuito a dare una botta letale al cinema “theatrical” in Italia.

Inizia la proiezione della pubblicità, e, seduti in una sala sostanzialmente vuota (eravamo in tre spettatori tre), interviene con modi energici un addetto che scopriamo poi essere il direttore della sala, il quale mi invita con fare autoritario ad indossare bene la mascherina (ribadisco: la sala era vuota) e che le due ragazze debbono lasciare la sala, perché prive di mascherina. Segnalo che stanno bevendo una bibita, ed il solerte addetto sostiene che ciò non è vero. Gli rinnovo l’invito a contattare le forze dell’ordine. Onde evitare una (inutile) lite accesa, le due ragazzine scendono nella hall ad acquistare due mascherine, al prezzo di 1,5 euro ognuna. Il direttore rientra in sale, e solerte si avvicina per “controllare” che noi tre spettatori stessimo indossando bene la mascherina. La mia insofferenza era cresciuta a livelli estremi e gli segnalo che in sala non c’è nessuno, che esistono regole che possono essere interpretate in modo più o meno rigido, che un suo collaboratore ci aveva segnalato che acquistando bibita o altro non ci sarebbero stati rischi di segnalazione per la terribile trasgressione… Gli segnalo anche che avrei denunciato questo comportamento irragionevole e para-poliziesco alla direzione generale di Uci Cinema. Il direttore del multiplex se ne va, urlando che è “una questione di rispetto di chi lavora”, ed io gli urlo che ci sarebbe anche una esigenza di rispetto degli spettatori. Soprattutto rispetto ai pochi intrepidi che ancora vanno al cinema. Vediamo “Top Gun: Maverick” (buona la qualità audio-video), mentre in sala si crepa di caldo.

Nota bene: nessuno degli altri spettatori in sala indossa la mascherina.

Or bene: si tratta senza dubbio di un piccolo episodio “insignificante” in sé, ma sintomatico di un qual certo “habitat” e di alcuni “mood”. Non stiamo parlando di un cinema di periferia, ma di un evoluto multiplex. Domenica sera, ultimo spettacolo. Un deserto inquietante negli ampi corridoi, un multiplex sostanzialmente vuoto, una sala sporca e priva di climatizzazione. Accoglienza “umana” piuttosto… burocratica?! Intelligenza dinamica tendente a zero.

Chi scrive queste note è un appassionato di cinema (finanche un cinefilo), e si ostina ad andare a vedere i film nei cinematografi.

Il cinema in sala è uno zombie?!

È controcorrente “culturalmente”, ne ha coscienza.

Qui ci permettiamo riprodurre il parere che, su queste dinamiche (il cinema in sala), ci ha manifestato un intellettuale umanista che ha ricoperto incarichi politici ed ancora ne svolge in ambito di imprese pubbliche nel settore culturale (che però ci ha pregato di non rivelarne l’identità per non essere crocifisso): “ammesso (e non sono certo neanche di questo) possa sopravvivere come nicchia, significa comunque che il cinema in sala non sarà più un prodotto di massa. Già prima del Covid era un morto che camminava. Parliamoci chiaro: a me, in una sala non mi ci riportano neanche col fucile puntato. Figuriamoci i miei figli. Oltre tutti gli aspetti logistici (i film me li vedo tranquillamente in mutande, quasi gratis, con un supporto tecnologico che non ha da invidiare al grande schermo), ormai la produzione ha radicalmente cambiato linguaggio, l’audiovisivo è tarato sullo smartphone. Non creiamoci illusioni, guarda i giornali, guarda i periodici e quelli che dicevano “ma il profumo della carta stampata, il rito dello sfogliarle il giornale”. Balle, finiti, morti e sepolti”.

Ho contestato al mio interlocutore che, negli Usa ed in alcuni altri Paesi europei, il consumo “theatrical” sta riprendendo ossigeno e che si debbono osservare anche fenomeni “controcorrente” come quello della ripresa della vendita di dischi in vinile. Insomma, il digitale fagocita tutto, ma delle aree di resistenza emergono, e non è detto che siano destinate a restare fenomeni di nicchia. Sono stato accusato di “romanticismo” e “passatismo”.

Perché in Italia lo spettatore non è più attratto dalla sala cinematografica?! Ci aiuterà a capirlo Swg, cui il Ministero della Cultura ha affidato un’indagine approfondita

Il quesito di fondo resta: perché l’italiano medio non sta riprendendo ad andare al cinema?! È un problema di ubriacatura televisivo-digitale, stimolata dall’invadenza crescente delle piattaforme?!

È un problema di qualità dell’offerta?

È un problema di politiche di prezzi?

È un problema di caratteristiche strutturali non stimolanti delle sale cinematografiche?!

È “semplicemente” un problema di radicale cambio di paradigma nella fruizione di cultura, spettacolo, arte?!

La questione è complessa assai, ma sicuramente per l’autunno sarà possibile acquisire una qualche informazione “oggettiva” in più.

Come abbiamo segnalato più volte anche su queste colonne, va dato atto alla Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura di aver (finalmente) deciso di allocare risorse per quella che si annuncia come prima organica ed estesa ricerca realizzata in Italia sul “profilo” dello spettatore cinematografico.

Il 28 aprile la Direzione guidata da Nicola Borrelli ha pubblicato un avviso per una ricerca in materia (scadenza delle offerte al 12 maggio), e venerdì scorso è stato pubblicato il decreto direttoriale di assegnazione.

Ha vinto la gara la triestina Swg, a fronte di ben 7 partecipanti, una schiera ben qualificata di “player”, con alcuni tra i migliori “brand” del settore delle ricerche in Italia.

Questa la classifica ovvero la graduatoria (tra valutazione della offerta tecnica e miglior prezzo, indicando qui di seguito tra parentesi il punteggio finale di sintesi tra i due parametri): 1° classificato Swg spa (80,48 punti); 2° Gfk srl (78,02); 3° Doxa spa + Università Cattolica + Ptsclas spa (73,02); 4° Gpf srl(71,25); 5° Ergo Research srl (67,73); 6° Pepe Research srl + Lattanzio Kibs spa (64,29); 7° Università Bocconi (61,02).

L’offerta economica di Swg è stata di 92.700 euro al netto di iva (e si colloca tra il massimo di 120mila euro della Bocconi ed il minimo di 74mila euro di Gpf).

Swg vince la gara ministeriale bandita dalla Direzione Cinema e Audiovisivo

Fondata a Trieste nel 1981, Swg (con sedi a Trieste, Milano, Roma) è indubbiamente una impresa leader nel settore delle ricerche: progetta e realizza ricerche di mercato, di opinione, istituzionali, studi di settore e osservatori, analizzando e integrando i trend e le dinamiche del mercato, della politica e della società. Si vanta di essere stato il primo istituto di ricerca a introdurre in Italia il metodo Cati (ovvero “Computer-Assisted Telephone Interviewing”) nel 1983. Senza dubbio assai ben accredita anche nei sondaggi elettorali. Nello specifico della cultura, recenti alcuni suoi lavori per l’Osservatorio di Impresa Cultura Italia-Confcommercio. Non ci risulta Swg possa vantare un curriculum particolarmente ricco nello specifico del cinema “theatrical”, ma forse una qualche loro ricerca a circolazione limitata è sfuggita alla nostra attenzione. Alessandra Dragotto è Head of Research di Swg (lavora nella società da quasi vent’anni). Maria Cristina Salami è Amministratore Delegato dal 2011.

La classifica ha comunque del sorprendente, per alcuni aspetti, sia per l’ultima posizione registrata dalla Bocconi di Milano, sia per il non eccellente posizionamento di una società specializzata che oggettivamente è quella che ha dedicato più attenzione, nel corso degli ultimi decenni, ad analisi organiche specificamente sul settore “theatrical” italiano, qual è Ergo Research. Basti ricordare il loro progetto “Sala e salotto”, sostenuto da un decennio anche dall’Anica, progetto che resta oggettivamente uno dei rari casi di accurata esplorazione di queste incerte lande italiche.

Immaginiamo che la commissione di selezione (presieduta dal professor Andrea Minuz) abbia ritenuto di sganciarsi dal fattore “esperienziale” nello specifico cinematografico ed abbia scelto una società che avrà evidentemente prospettato una metodologia eccellente (anche se va segnalato che il bando non fosse particolarmente severo e vincolante – anzi… – rispetto alla struttura del campionamento, che pure dovrebbe essere essenziale). Ovviamente, le varie offerte progettuali non sono accessibili pubblicamente (se non per chi ha partecipato al bando e semmai manifesterà richiesta di accesso agli atti), e quindi non è possibile comprendere “cosa” sia stato concretamente proposto da Swg.

Ci si domanda, in casi come questo, se una sana e lungimirante interpretazione delle procedure del diritto amministrativo non renda opportuna, in termini di trasparenza, una pubblicizzazione dell’offerta progettuale vincente. O almeno di una sintesi della stessa. Ma ci rendiamo conto che questa nostra visione di condivisione cozza con il prevalente approccio piuttosto tradizionale, e ritentivo, della gestione degli appalti pubblici in Italia.

Perché la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo non ritiene di pubblicare la proposta progettuale Swg o almeno una sintesi della stessa?! Sarebbe interessante, anche per stimolare l’appetito degli operatori del settore e della comunità culturale italica tutta.

Si attenderanno i risultati della ricerca Swg prima di re-intervenire in materia di “window”?!

Il Direttore Generale Nicola Borrelli, intervenendo al convegno “Opere audiovisive senza frontiere, da uno schermo all’altro, da un Paese all’altro” tenutosi nell’economia della kermesse “Filming Italy Sardegna Festival (tenutasi dal 9 al 12 giugno, Forte Village – Cagliari), ha sostenuto: “lo Stato italiano ha dato un sostegno forte al settore cinematografico, riducendo l’impatto della pandemia e delineando prospettive di sviluppo. Sulla base di questo sostegno, oggi osserviamo un comparto produttivo molto ricco, fiorente e vario che dà grandi soddisfazione. Ma accanto a questo vediamo una grande sofferenza delle sale cinematografiche e della distribuzione in sala…”. Il Dg ha segnalato: “non mi sembra, però, di vedere chi si interroga seriamente sul perché di questo trend. Perché gli italiani vanno meno al cinema? È stato fatto uno studio scientifico su quanto accaduto? Oggi posso dire che questo studio sarà fatto dalla società Swg e inizierà settimana prossima”. Borrelli ha concluso: “prima della pandemia la metà della popolazione non andava mai al cinema e un altro quarto non andava più di una o due volte all’anno. Ovviamente dopo la pandemia questi numeri sono peggiorati… Allo stesso modo è necessaria una certa freddezza sul tema delle window. Servono dati oggettivi su cui basare interventi di regolamentazione, non si può costruire su basi emotive”. Questa affermazione sembra confermare che verosimilmente il Ministero attenderà l’esito della ricerca Swg, prima di re-intervenire in materia di controversa regolamentazione delle “window”, ovvero delle “finestre” temporali di utilizzazione delle opere cinematografiche nei vari canali di distribuzione.

In ogni caso, il bando prevede che la ricerca venga realizzata entro tre mesi, e quindi per metà settembre 2022 avremo sicuramente alcune “risposte” alla “domanda” che qui riproduciamo: perché l’Italia è un Paese nel quale lo spettatore, dopo la paralisi della pandemia, non sta tornando a vedere film nelle sale cinematografiche?!

Clicca qui, per il verbale n. 2 della Commissione di valutazione delle proposte pervenute in relazione al Bando per l’individuazione di un operatore per la realizzazione di uno studio qualitativo e quantitativo sul pubblico cinematografico italiano, in risposta all’Avviso della Direzione Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura in data 28 aprile 2022.

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