La kermesse Mia (Mercato Internazionale Audiovisivo) mette in scena una “industria” che teme il rischio di tagli agli 800 milioni di euro l’anno di sovvenzioni. Flop film italiani in sala a quota 7%.

Il settore cinematografico e audiovisivo italiano è in fibrillazione: si rincorrono voci che prospettano il rischio di vedere ridotti in modo consistente i flussi di sostegno pubblico, che ormai veleggiano sugli 800 milioni di euro l’anno. La prossima legge di bilancio si pone come mina vagante…

Anche se la Sottosegretaria delegata Lucia Borgonzoni (Lega Salvini) ha sostenuto che il Governo intende ragionare su una revisione dei meccanismi di sostegno al settore, ma non c’è volontà di ridurre la dotazione del Fondo per il Cinema e l’Audiovisivo (creato con la “legge Franceschini” del 2016), alcuni temono che potrebbe prevalere invece la scure del Ministro dell’Economia e Finanze, Giancarlo Giorgetti (Lega Salvini), che ha dichiarato ieri “adesso si taglia… ribadisco che questa manovra conterrà tagli alla spesa e non tutti saranno contenti”. I più ottimisti sono comunque dell’idea che la sintonia partitica tra la Sottosegretaria ed il Ministro dovrebbe contenere il rischio di tagli.

Abbiamo già dedicato, sulle colonne del quotidiano online “Key4biz”, molta attenzione ai convegni che sono stati organizzati (troppi) nell’economia della nona edizione del Mercato Internazionale Audiovisivo, grande kermesse promossa dalle due più potenti lobby del settore, l’Anica (prevalentemente produttori di cinema) e l’Apa (prevalentemente produttori di televisione). Si rimanda ai due ultimi interventi IsICult su Key4biz: ieri l’altro lunedì 9, “Parte il Mia (Mercato Internazionale dell’Audiovisivo), ma resta il deficit di dati”; ieri martedì 10, “Il cinema italiano va davvero benissimo?”.

Questa odierna è una sorta di “terza puntata” delle “cronache dal Mia”…

Si ripropone ancora una volta la logica del “bicchiere mezzo pieno”, ignorando i dati che dovrebbero stimolare autocritica e correzioni di rotta.

Abbiamo assistito una volta ancora ad incontri che sprizzano positività ed ottimismo da ogni poro dei relatori intervenuti: non una posizione critica, non una voce dissidente rispetto ad un andamento di mercato che non è esattamente “fantastico”, come invece qualcuno ha il coraggio di sostenere.

È evidente l’intenzione: ignorare le criticità (che sono tante, profonde, e variegate), e vedere soltanto – la metafora è abusata ma resta perfetta per descrivere l’atmosfera – il “bicchiere” sempre e comunque “mezzo pieno”.

Il tutto viene naturalmente trainato dall’ottimismo assoluto e continuo della senatrice Borgonzoni: ascoltando le sue parole, sembrerebbe che il settore sia assolutamente sano e vitale… che il boom della produzione sia un processo naturale di crescita settoriale… che la crisi del consumo nei cinematografi sia destinata ad essere presto superata

Questo approccio è (sarebbe) confermato da una serie di dati che vengono in verità letti (interpretati) in modo strumentale, funzionalmente alla tesi giustappunto del “bicchiere mezzo pieno” (talvolta sembrerebbe quasi che sia del “tutto pieno”, anzi “straripante”).

Da ricercatori sociali e mediologici e culturologici da oltre trent’anni, e soprattutto da ricercatori indipendenti, sosteniamo (e possiamo dimostrare con analisi e numeri) che questa “rappresentazione della realtà” è distorta: sostanzialmente falsa, ovvero falsificata.

In sintesi (e rimandando alle decine di nostri interventi su queste colonne, nell’economia della rubrica curata da IsICult “ilprincipenudo”): è evidente che la massiccia iniezione di sovvenzioni nel sistema ha provocato una crescita notevole della produzione, dato che il sostegno pubblico ha determinato sostanzialmente l’azzeramento del rischio imprenditoriale; grazie alla manna di Stato, l’occupazione nel settore è ai massimi livelli storici, ed anche i sindacati gongolano; i gruppi mediali internazionali vengono in Italia per approfittare di questa pacchia, determinando lo stress dei teatri di posa, Cinecittà in primis, e mettendo gli occhi golosi su imprese da acquistare…

Insomma, è vero: il “sistema” – nel suo complesso – gira, ed anche alla grande.

Il problema è “come” gira, il sistema.

La vera verità è che si tratta di un “sistema” complessivamente drogato, nel quale il ruolo della mano pubblica – tra Ministero della Cultura e Rai – è determinante, centrale, dominante.

Chi governa e la gran parte degli operatori sembrano ubriachi, ubriacati da questa euforia diffusa che ha soltanto nel generoso sostegno dello Stato la ragion d’essere.

Non dedicheremo molta della nostra attenzione ai flussi di parole e parole e parole che hanno caratterizzato sia la presentazione dei risultati (oggettivamente deboli, ma vengono presentati come se fossero eccezionali: vedi supra, su come possono essere “letti” i dati, finanche “ad usum Delphini”) delle campagne promozionali “Cinema Revolution” e “Cinema in Festa”, lunedì 9 ottobre al Mia, sia della presentazione di una ricerca in progress sull’export del cinema e dell’audiovisivo italiano, proposti ieri martedì 10 ottobre (in questo caso i dati non sono stati dati)…

Ne abbiamo già scritto su queste colonne, e non vogliamo certo annoiare il lettore (né – confessiamo – annoiarci noi stessi), ma una qualche ulteriore considerazione va proposta.

Da giugno a settembre 2023, la quota di mercato del cinema italiano in sala è crollata al 7 % (lo certifica Cinetel): come si può essere… soddisfatti ed euforici?

Senza dubbio, le campagne “Cinema Revolution” e “Cinema in Festa” (dotate di un budget di 20 milioni di euro, senza che sia mai stato rivelato chi ha curato creatività e pianificazione mediale, e già solo questo mistero dovrebbe stimolare perplessità sulle tecnicalità di approccio) hanno contribuito ad un incremento della fruizione di cinema in sala, ma va ribadito che questo aumento del consumo è stato anzitutto determinato dal fenomeno “Barbie” e dal quasi-fenomeno “Oppenheimer”.

L’attenzione del Governo e degli operatori dovrebbe quindi concentrarsi anche sull’altra faccia della luna: lo stesso Simone Gialdini, Direttore Generale di Cinetel (la società che rileva gli incassi al “box office”, partecipata paritariamente dai produttori e distributori di Anica e dagli esercenti di Anec), ha mostrato lunedì alcuni dati sui quali “curiosamente” l’attenzione degli ottimisti gasati non s’è proprio concentrata.

Segnaliamo (risegnaliamo) a chi non vi abbia fatto caso: nel periodo della promozione dai grandiosi risultati (secondo la Sottosegretaria, che usato termini enfatici come “estate da record” e peraltro così era intitolata la presentazione di Gialdini), ovvero dall’11 giugno al 21 settembre 2023, nelle sale cinematografiche italiane sono stati venduti 19,1 milioni di biglietti in totale, di cui soltanto 1,4 milioni sono andati a favore del cinema italiano.

Si tratta di una quota del 7 % sul totale dei biglietti venduti: ma, di grazia, come si può essere lieti, contenti, addirittura… euforici?!

Il Ministero della Cultura non dovrebbe promuovere anzitutto il cinema italiano, e nei cinematografi soprattutto?!

A livello di incassi, i dati non sono più confortanti: soltanto 8,1 milioni di euro al cinema italiano, su un totale di 128,7 milioni: in questo caso, la quota di mercato del cinema italiano scende addirittura a poco più del 6 % (sei per cento).

Francamente riteniamo che questo dato (6 o 7 per cento che sia) dovrebbe stimolare riflessioni profonde sulla prospettata riforma dell’intervento pubblico dello Stato nel settore, modificando radicalmente anzitutto il principale strumento distorsivo del mercato, qual è l’uso e l’abuso del “tax credit”.

Stupisce che una ricercatrice seria come Francesca Medolago Albani (che pure ha condiviso per qualche anno l’ardita intrapresa IsICult di fare di ricerca indipendente) non si ponga domande profonde sul vero stato di salute del settore, ma d’altronde ormai rappresenta istituzionalmente l’Anica (e le sue politiche), nella veste di Segretaria Generale dell’associazione, e quindi non si può forse pretendere oggettività e terzietà di analisi.

Non stupisce che alla presentazione dei dati su “Cinema Revolution” abbia partecipato anche Stan McCoy, alto rappresentante in Europa della potentissima lobby dei produttori americani, la storica Mpa alias Motion Picture Association: anche lui – ovviamente! – sorridente.

E che dire della continua acquisizione di imprese italiane da parte di gruppi mediali stranieri, ultima in ordine di tempo – poche settimane fa – Indiana Production da parte della francese Vuelta (come abbiamo segnalato ieri su queste colonne, con discreta preoccupazione)?!

Lo Stato resta a guardare. Lo Stato assiste. Inerte.

Ovvero annuncia una qualche correzione di rotta, ma non è ancora dato sapere in quale direzione. Da quel che emerge dal Mia prevale ancora molta confusione, al di là dei “tavoli” promossi dal Ministero da qualche mese, i cui risultati non sono resi di pubblico dominio. Sarebbe utile pubblicare sul sito della Dgca le memorie e la documentazione che viene prodotto dai soggetti chiamati a sedere a questi “tavoli”. Dovrebbe essere documentazione non classificata come segreto di Stato…

Conclusivamente al Mia, gli organizzatori continuano a sorridere: un’analisi della retorica e della prossemica del Presidente dell’Anica Francesco Rutelli, dall’eterna letizia e infinita simpatia, e della compagnia di giro che viene chiamata a recitare in queste sceneggiate, con continui simpatici ammiccamenti circolari (ne abbiamo scritto ieri, con inchiostro doverosamente acido), consente di comprendere che si tratta di un ottimismo ad oltranza. Un ottimismo cieco.

Un ottimismo a gogò, finalizzato – in fondo – ad un obiettivo soltanto: evitare che la manna di Stato venga ridotta, o anche soltanto indirizzata su fasi altre della “filiera”.

La filosofia è sempre la stessa: minimizziamo le criticità (anzi nascondiamole, ché forse è meglio…), massimizziamo le positività (qualcuna siamo sempre in grado di trovarla, cercando tra i “dati”…).

Nascondiamo la polvere sotto il tappeto. Seppure col rischio che tra poco sarà la polvere a sommergere il tappeto.

Abbiamo già spiegato come la gran parte delle risorse pubbliche italiane all’audiovisivo vada a vantaggio della “produzione” e della produzione non propriamente “cinematografica”: si tratta di una deriva della Legge Franceschini, che è stata intercettata da anni da alcuni, ma ignorata dai più, data la connivenza di interessi tra Anica ed Apa.

Tutto questo processo di conservazione è co-determinato dall’assenza di valutazioni di impatto valide ed indipendenti, e dalla produzione invece di “report” che propongono letture parziali e partigiane dei dati: esempio ultimo, quello di ieri al Mia.

Era stata annunciata una seconda edizione di una ricerca sull’export del cinema e dell’audiovisivo italiano, intitolata “La distribuzione dei film italiani sui mercati esteri”, finanziata dalla Direzione Cinema e Audiovisivo del Ministero (Dgca Mic), affidata da Anica alla eMedia, società di ricerca specializzata guidata da Emilio Pucci (consulente di fiducia, da anni, sia di Anica sia di Apa sia di Mediaset).

Pucci, in una lunga presentazione di dotto approccio teorico-accademico, ha fornito un po’ di dati relativi al mercato francese, cui si guarda – una volta ancora – come modello di riferimento, ignorando che in quel Paese il sistema di regole non è lasco come in Italia (basti pensare al “nuovo” contratto di servizio Rai, che è stato approvato da un Parlamento distratto in una versione ancora più annacquata rispetto al già evanescente precedente; un testo simile provocherebbe ilarità in Francia…) e lo Stato interviene in modo netto, deciso, coraggioso (essendosi peraltro dotato di adeguata strumentazione di controllo e valutazione). E, nel confronto Francia / Italia, basti pensare che ieri il Direttore Generale del Cinema e dell’Audiovisivo Nicola Borrelli ha ricordato che la sua struttura dispone di soltanto 80 risorse professionali, corrispondenti a meno di un quinto della struttura omologa francese (che gestisce un budget complessivo non lontano da quello italiano). Qualche settimana fa – come “Key4biz” ha segnalato – è stato promosso un interpello interno al Ministero della Cultura, affinché la Dgca possa acquisire altri 60 funzionari. Di grazia: non ci poteva pensare non appena approvata la Legge Franceschini, a fine 2016, prevedendo che l’incremento delle risorse pubbliche (in origine fissate in 400 milioni di euro l’anno, ed ormai raddoppiate) avrebbe ovviamente determinato un sovraccarico di lavoro per una struttura inadeguata a sostenere un simile carico di procedure amministrative?!

In Francia, l’export audiovisivo produce oltre 250 milioni di euro l’anno. E in Italia? Mistero… Forse 25 milioni? Rapporto Francia / Italia di 10 a 1? Ci si autocensura per… pudore?

Emilio Pucci ha speso alcuni dati sulla Francia, ma non ha proposto 1 dato uno sulle dimensioni economiche dell’export italiano.

D’accordo, si tratta di una ricerca in itinere, ma, di grazia, un qualche aggiornamento rispetto alle prime stime proposte nell’edizione precedente della ricerca per Anica ed Apa (presentata il 22 novembre 2022) poteva anche proporlo! Pucci ha soltanto sostenuto che fra il 2017 e il 2021 c’è stata (ci sarebbe stata) una crescita dei titoli italiani venduti all’estero del 123 per cento: non ha spiegato però esattamente come sia stato calcolato questo dato, e non ha rivelato quale fosse il flusso economico correlato a queste vendite.

Forse sono emersi dati troppo bassi, da determinare una pudica autocensura? Ha prevalso un senso di inadeguatezza e finanche di… vergogna?!

Si ricordi che in occasione della prima edizione (fase?!) della ricerca, lo stesso Pucci aveva offerto un dato (segnalando che si trattava comunque di una stima provvisoria da sottoporre ad ulteriori validazioni): il totale dell’export del cinema e dell’audiovisivo italiano nei 4 anni che vanno dal 2017 al 2020 sarebbe stato di circa 92 milioni di euro. Il che si traduce in una media annua di export italico di 23 milioni di euro. E una qualche stima sul biennio 2021-2022?!

Nel 2022, la Francia ha potuto vantare ben 139 milioni di euro di vendite all’estero a livello di film cinematografici e 117 milioni per programmi televisivi, superando la soglia dei 250 milioni di euro l’anno.

E l’Italia??? Se nell’ultimo biennio si fosse rimasti allo stesso livello del quadriennio precedente (23 milioni l’anno?), il rapporto tra Francia ed Italia sarebbe di 10 ad 1. Leggasi: dieci ad uno.

C’è da sorridere, di fronte a dati come questi?!

E che dire della perdurante assenza in Italia, ancora oggi, di una agenzia nazionale per la promozione del cinema e dell’audiovisivo all’estero, a fronte del modello (ancora una volta) della storica Unifrance?!

E qualcuno invoca ancora realmente le chance di “sovranismo culturale” del nostro Paese??? Basti osservare – in argomento – che nel nuovo “contratto di servizio” Rai-Stato è stato killerato ovvero del tutto cancellato il progetto (sviluppato male ma comunque valido) di un canale televisivo italiano in inglese per la promozione della nostra cultura e del “made in Italy” nel mondo, che era stato saggiamente inserito nel precedente contratto…

E, poi, in fondo, è questo il modo giusto per fornire al “decision maker” stimoli tecnici, dataset adeguati per correggere la rotta?!

Peraltro, va segnalato che copia della relazione (ovvero della ricerca) di eMedia non è stata pubblicata né sul sito web dell’Anica né su quello dell’Apa né su quello del Ministero. A proposito di pubblica disseminazione dei dati e delle analisi, a favore della comunità professionale…

Consigli di lettura: su questi temi, per chi vuole studiare seriamente la materia (non soltanto dal punto di vista economico-quantitativo), resta di una qualche validità la base gettata dal saggio curato da Massimo Scaglioni, “Cinema Made in Italy. La circolazione internazionale dell’audiovisivo italiano”, pubblicato tre anni fa per i tipi di Carocci Editori.

Il quesito che si pone è: Anica ed Apa vogliono realmente una riforma dell’attuale assetto normativo oppure propugnano la conservazione dell’esistente?!

Finché dura la pacchia…

Tanto, in fondo, finché dura… la pacchia (perché tale è, per molti), che problema c’è?!

E che importa delle difficoltà… dei produttori indipendenti… delle difficoltà dei piccoli esercenti… delle difficoltà degli autori e creativi che non fanno parte dell’eletta schiera dei protetti dai “poteri forti”?! Tanto loro (questi “esclusi” o comunque “emarginati”) non vengono mica invitati sul palco del Mia: sia mai emergesse qualche voce fuori dal coro!

E chi se ne importa se i film italiani in sala colano a picco…

E chi se ne importa se multinazionali straniere saccheggiano il mercato italiano…

Lasciamo tutto così com’è. Che la festa continui…

Suvvia, è sufficiente fare azione di lobbying mirata e stimolare ulteriormente Borgonzoni ad evitare che la scure del suo compagno di partito Giorgetti infierisca troppo sulla… festa.

Quieta non movere et mota quietare”.

È ormai evidente l’identità di chi ha interesse a non agitare ciò che è (apparentemente) calmo, ed a calmare ciò che è (sotto la superficie) agitato.

E stupisce non poco il messaggio di saluto che ha inviato il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, letto ieri dal Presidente Rutelli: “i dati di mercato ci incoraggiano: veicolare le nostre opere filmiche all’estero potrebbe restituire al comparto oltre il 100 % degli investimenti”.

Cioè??? Non comprendiamo bene cosa intendesse il titolare del Collegio Romano: certo, se le vendite all’estero fossero maggiori, l’economia del sistema si rafforzerebbe, indubbiamente, ma le dimensioni modestissime dell’export del cinema e dell’audiovisivo italiano sono determinate anche dal fatto che gli “investimenti” dei produttori nazionali sono ormai già ben coperti dalle sovvenzioni dello Stato. E spesso già oltre il 100 %.

Le vendite all’estero del “made in Italy” audiovisivo rappresenterebbero una “ciliegina” sulla “torta”, ma – per molti produttori (seri o occasionali che siano) – la torta è già bella e gustosa così com’è… perché sforzarsi oltre?!

L’attuale assetto assistenziale (ed incontrollato) del sistema determina che la stimolazione al capitale di rischio (ed anche alle vendite internazionali) sia sostanzialmente azzerata.

La deriva continuerà allegramente, fino a quando un Giorgetti deciderà di chiudere un po’ i cordoni della borsa. Ed allora a molti “player” del sistema passerà la voglia di sorridere.

E qualcuno, alla fine del banchetto, presenterà il conto.

Nel mentre, comunque si continui spensieratamente con ostriche al caviale in salsa allo Champagne, con allegre escursioni della compagnia di giro nei festival internazionali…

Rigorosamente a spese dello Stato, ça va sans dire.

Così facendo, crescerà sicuramente robusto l’export del “made in Italy” audiovisivo e si alimenterà un sano “sovranismo culturale”…

Clicca qui, per la presentazione di Simone Gialdini, Presidente Cinetel e Direttore Generale Anec, “Un’estate da record. I numeri di ‘Cinema Revolution’”, proposta a Roma nell’economia della edizione n° 9 del Mercato Internazionale Audiovisivo (Mia), Cinema Barberini, 10 ottobre 2023.   

[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.

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