Manca ancora alla politica culturale e mediale italiana la volontà di verificare l’efficacia del sostegno pubblico e quindi finisce per prevalere conservazione e inerzia.

L’agenda mediale della settimana è stata ovviamente stravolta dalla gran kermesse di Sanremo, rispetto alla quale – da analisti mediali e ricercatori sociologici – attendiamo la conclusione, domani sera sabato 10 gennaio, per avere conferma definitiva del giudizio assolutamente negativo che stiamo maturando nelle prime giornate della manifestazione: il Festival di Sanremo non è, a parer nostro, “servizio pubblico”.

L’episodio della penosa sortita di John Travolta è la punta dell’iceberg di una visione banale conformista mercantile dello spettacolo, della musica, della televisione, e quindi della vita, e specificamente del ruolo di “public media service” incarnato dalla Rai.

Riteniamo che fino a quando avremo una Rai che trasmette in prima serata programmi ignobili come “Affari tuoi” (format Endemol, in onda dal 2003… con le ultime edizioni condotte dal vacuo Amadeus alias Amedeo Umberto Rita Sebastiani) non potrà essere considerata “servizio pubblico”.

Permane in questi giorni l’eco della lamentazione di Claudio Gubitosi, fondatore del Giffoni Film Festival, per il ritardo nella realizzazione della nuova edizione della sua storica iniziativa starebbe subendo a causa della Regione Campania. Il Presidente Vincenzo De Luca risponde che “non arrivano i soldi da Roma”, e punta il dito contro Raffaele Fitto, Ministro per gli Affari Europei, per le Politiche di Coesione e per il Pnnr. Nessuno però si pone quesiti sulla reale efficienza ed efficacia della kermesse, che peraltro riceve da tempo ben 1 milione di euro l’anno dal Ministero della Cultura – Direzione Cinema e Audiovisivo (e si tratterebbe soltanto di un 15 % del totale del budget della manifestazione, che è senza dubbio una delle più ricche – ovvero delle più sovvenzionate – d’Italia), allorquando ci sono in Italia decine e decine (centinaia) di piccoli festival che sopravvivono con budget nell’ordine di poche decine di migliaia di euro…

Colleghiamo la kermesse di Sanremo con quella di Giffoni Valle Piana perché entrambe si caratterizzano per l’assenza di valutazioni di impatto e per l’assenza di bilanci sociali: in sostanza, sia la manifestazione canora sia la manifestazione cinematografica sono infatti cresciute – nel bene e nel male – senza che qualcuno mai si fosse posto una domanda sul senso dell’intervento dello Stato in queste iniziative, sulla loro funzione di stimolatori della domanda culturale. Perché questo dovrebbero essere i festival: non ri-produttori di una domanda già esistente, ma stimolatori di “audience development” e di estensione di pluralismo estetico-espressivo.

Da molto tempo, segnaliamo – anche su queste colonne – anzi denunciamo il deficit di valutazione che caratterizza il sistema culturale italiano, concentrando l’attenzione non sulle dinamiche di mercato ma sull’intervento dello Stato

La politica culturale italiana continua ad essere approssimativa, senza adeguati strumenti di conoscenza, di analisi, di previsione “ex ante” e valutazione di “ex post” del (disordinato, frammentario, contraddittorio) intervento dello Stato

Esemplificativamente, un florilegio di domande che non trovano risposta (se non nella… ri-produzione dell’esistente):

  • “perché” lo Stato italiano assegna 700 milioni di euro l’anno a favore del cinema e dell’audiovisivo, a fronte di soltanto 400 milioni a favore dello spettacolo dal vivo (teatro, musica, danza, circhi…)!
  • perché lo Stato destina allo strumento del “tax credit” la gran parte dei 700 milioni del Fondo per il Cinema e l’Audiovisivo?!
  • perché lo Stato consente alla Rai di trasmettere un programma come il “Festival di Sanremo” continuamente inquinato dalla pubblicità?!
  • e, più in generale, perché il “servizio pubblico mediale” italiano deve essere sostenuto anche dalla pubblicità?!
  • eccetera ecc. ecc.

Tre notizie meritano essere segnalate, in chiusura della settimana, nell’ambito del monitoraggio che IsICult cura per Key4biz.

Verrà realizzata finalmente una vera “valutazione di impatto” della Legge Cinema e Audiovisivo? Pubblicato ieri il nuovo bando. Verrà nuovamente riaffidata a Cattolica e Ptsclas?

Ieri 8 febbraio 2024 sul sito web della Dg Cinema e Audiovisivo (Dgca) guidata da Nicola Borrelli, è stato pubblicato il nuovo bando per la “valutazione di impatto” della Legge Cinema e Audiovisivo, per l’anno 2023.

Abbiamo molte volte affrontato la questione, segnalando come, da anni (ignorando il sano principio della turnazione degli incarichi, che pure dovrebbe caratterizzare gli appalti pubblici), il Ministero della Cultura affidi all’Università Cattolica di Milano assieme alla società di consulenza Ptscla spa una ricerca che si caratterizza per totale assenza di approccio critico: ne deriva che si tratta di una “valutazione” così asettica, annacquata, insipida… da perdere quella che dovrebbe essere la funzione prevista dalla stessa legge n. 220 del 2016 (la cosiddetta “Legge Franceschini”).

In sostanza, questa consulenza determina risultati evanescenti, sostanzialmente inutili sia per la comunità professionale del settore (che peraltro ne ignora l’esistenza, dato che la ricerca non è mai stata oggetto di pubblica presentazione e dialettica discussione, e viene trasmessa al Parlamento senza che nessuno se ne interessi o scriva una riga di commento), sia per lo stesso “decision maker” istituzionale (ovvero il Ministero stesso).

Il budget allocato dal Ministero per questa ricerca è lo stesso dell’anno scorso, nell’ordine di poco meno di 100.000 euro, una somma comunque inadeguata se si volesse veramente realizzare una valutazione di impatto approfondita di un intervento dello Stato che veleggia sui 700.000.000 euro: si tratta dello 0,00014285 % (sic). Già questa quota percentuale è sintomatica del vero interesse a studiare in modo serio la fenomenologia in atto.

Ci si augura comunque che la prossima edizione di questa “valutazione” assuma finalmente la funzione che è prevista dalla legge.

Il settimanale “l’Espresso” prospetta una privatizzazione di Cinecittà… Ma è tutto oro quel che luccica a via Tuscolana? Effetti perversi della “droga” tax credit…

L’edizione in edicola oggi del settimanale “l’Espresso” propone un articolo intitolato “Cinecittà fa utili. Allora ridiamola ai privati”, firmato da Carlo Tecce, con un approccio veramente curioso: l’autore (che pure è un giornalista accurato) propone una visione assolutamente positiva ed ottimista delle condizioni (economico-strutturali) degli “studios” di Via Tuscolana, ignorando che sono “dominati” da una società straniera, qual è Fremantle (appartenente al gruppo lussemburghese-tedesco Rtl Bertelsmann), e che tutto il sistema cinematografico italiano lavora sì da qualche anno a pieno ritmo (quella piena occupazione di cui sono soddisfatti anche i sindacati) ma è a causa della “droga” che risponde al nome giustappunto di “tax credit”. Il “sistema” italico produce ormai da anni una quantità enorme di titoli, buona parte dei quali non viene vista da nessuno.

Tardivamente ma opportunamente il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (Fratelli d’Italia) ha deciso che si dovesse mettere in atto una correzione di rotta, ed ha smorzato gli entusiasmi della sua Sottosegretaria Lucia Borgonzoni (Lega Salvini), imponendo una revisione radicale dei meccanismi del credito di imposta.

Si resta in attesa degli annunciati decreti operativi, così come della costituzione delle nuove due Commissioni Esperti come previste dalla Legge di Bilancio 2024 (una commissione per gli aiuti “selettivi”, un’altra per le attività di “promozione”), e, ancora, del nuovo Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo (il massimo organo di consulenza del Ministero su queste materie, che avrà un ruolo determinante nella riforma della Legge Franceschini).

Quel che stupisce è che addirittura si possa ragionare su una… privatizzazione di Cinecittà, allorquando nessuno si è finora posto un quesito critico sul reale ruolo degli “studios” nell’economia complessiva del sistema audiovisivo nazionale. Ancora più curioso che sia una testata come “L’Espresso” a prospettare questo possibile surreale scenario. C’è chi ritiene che si potrebbe trattare di una operazione grazie alla quale fondi e multinazionali entrano nel capitale della società pubblica, si nutrono parassitariamente dei fondi del Pnrr e del tax credit, scaricano poi tutto in borsa, con azioni che perdono presto ogni valore… Semplicemente: saccheggio di proprietà dello Stato. Altro che sane liberalizzazioni!

Peraltro, il Consiglio di Amministrazione di Cinecittà conclude tra poche settimane il proprio mandato…

Sarà fondamentale comprendere chi il Ministro Gennaro Sangiuliano andrà a cooptare soprattutto come prossimo Presidente (attualmente Chiara Sbarigia, che è paradossalmente anche Presidente dell’Apa – Associazione dei Produttori Audiovisivi) e come prossimo Amministratore Delegato (attualmente Nicola Maccanico), ovvero se vorrà realmente imprimere una correzione di rotta, evitando che il gran “castello di carte” costruito artificialmente crolli nell’arco di pochi anni… Si ricorda che l’attuale Cda di Cinecittà è il risultato di scelte assunte da Mario Draghi e da Dario Franceschini.

Giornata di studi sulla crisi del cinema “theatrical” alla Lumsa. L’accademia lavora ad un database di tutti cinema italiani: era ora, ma serve comunque un approccio critico, non asettico

Ed è in corso, da questa mattina, un’interessante iniziativa promossa presso l’università Lumsa di Roma, intitolata “Uscire dalle crisi. Passato, presente e futuro delle sale cinematografiche in Italia”: un evento accademico, un’occasione di studio che si inserisce all’interno del Progetto di Rilevante Interesse Nazionale 2020 (uno dei cosiddetti “prin” finanziati dal Ministero dell’Università) denominato “CinEx. Spazi, pratiche e politiche dell’esercizio cinematografico in Italia”. Il progetto “CinEx” è finalizzato a ricostruire la storia dell’esercizio cinematografico in Italia, guardando alla sala come un “collettore sociale” e un “promotore di cultura” in dialogo con il territorio e le sue risorse. Una sala, quella cinematografica, che presenta alcune caratteristiche che si esplicitano nell’essere: “un nodo della filiera cinematografica, connesso in modo complesso a produzione, distribuzione e consumo; un locus con valore architettonico e urbanistico; un apparato, ovvero un insieme di tecnologie che modellano e performano l’esperienza di visione; un’impresa con organizzazioni, modelli di gestione, professionisti, impatti sulla crescita economica e industriale del Paese”

L’approccio è – ovviamente – molto accademico, e positivamente multidisciplinare (con prevalenza però di storici su sociologhi ed economisti), ma ci sembra purtroppo sganciato da una visione complessiva (organica e olistica) di “politica culturale”, eppure qui lo richiamiamo comunque perché Paola Dalla Torre (responsabile dell’Unità di ricerca della Lumsa) ha spiegato come – nell’economia del progetto di ricerca – sia prevista la costruzione di un database di tutte le sale cinematografiche italiane: è (ancora una volta…) “incredibile ma vero”, ma, anche su questo fronte, in Italia non esiste una mappatura accurata ed aggiornata dei cinematografi. Così come non esiste un censimento approfondito dei teatri e nemmeno delle librerie e delle edicole

Da anni, denunciamo questo surreale deficit di conoscenza

Il panel pomeridiano dell’iniziativa alla Lumsa ha visto gli interventi di livello, di esperti qualificati come Bruno Zambardino (in rappresentanza della Direzione Cinema e Audiovisivo del Mic), Francesca Medolago Albani (Segretaria Generale dell’Anica), Robert Bernocchi (consulente specializzato attivo anche attraverso la piattaforma CineGuru), Andrea Minuz (recentemente cooptato nel Cda del Centro Sperimentale di Cinematografia – Csc), nonché, in rappresentanza dell’industria ovvero la fase “theatrical” della filiera), Mario Lorini (Presidente dell’associazione degli esercenti cinematografici Anec): stimoli interessanti, ma, ancora una volta… una lettura prevalentemente acritica dell’esistente (di fatto, elogio della conservazione)… nessuna preoccupazione sulla desertificazione del territorio cinematografico nazionale (sia nelle città metropolitane sia in provincia)… nessuna preoccupazione sul duopolio nell’esercizio cinematografico italiano in mano a gruppi stranieri (Uci Cinemas e The Space)… nessuna preoccupazione sull’overdose produttiva fine a se stessa (efficace la formula sintetica: “film realizzati non con il tax credit, ma per il tax credit”)… nessuna preoccupazione sul saccheggio di imprese italiane da parte di multinazionali (anche francesi)…

Insomma, ancora una volta: “Tout va très bienMadame la Marquise”…

Ci si augura che anche questa iniziativa universitaria – peraltro assai generosamente finanziata dal Ministero dell’Università, trattandosi di un contributo “Prin” che beneficia di ben 334.285 euro – possa comunque contribuire a fare luce nelle perduranti nebbie di conoscenza del funzionamento del sistema culturale italiano.

Il progetto di ricerca IsICult “Italia dei Festival”, per una mappatura, un’anagrafe, un monitoraggio di tutti i festival italiani (oltre 3.000)

Segnaliamo (ricordiamo) che anche in materia di festival – e non soltanto cinematografici – esiste una terribile carenza di informazioni ed analisi, e ricordiamo che l’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult sta lavorando alla prima mappatura completa di tutti i festival nazionali, che si stima siano oltre 3.000 in tutta Italia.

La proposta progettuale IsICult è risultata tra i vincitori nel 2023 del bando “Progetti speciali” della Dg Cinema e Audiovisivo, ma la ricerca prevede il censimento ed una sorta di “anagrafe” di tutti i festival italiani (non soltanto quelli di cinema): per comprendere meglio il senso del progetto si rimanda alla “landing page” di “Italia dei Festival”, ovviamente ancora in versione beta…

Si tratta di un primo passo verso la costruzione di un “modello valutativo” dei festival italiani, che consenta di comprendere se è giusto che il Festival Alfa riceva una sovvenzione pubblica di 10.000 euro o 100.000 euro a fronte del Festival Beta che ne riceve invece una di 1.000.000 (e qualsiasi riferimento al succitato Festival di Giffoni Valle Piana non è… casuale!).

Ad oggi, finisce per prevalere – nella quantificazione dei contributi pubblici – la capacità relazionale dei promotori dei festival, rispetto a valutazioni basate su indicatori oggettivi, nel solito perverso “mix” – che tante volte abbiamo segnalato (e lamentato) – tra “intuitu personae” e rapporti politici col “Principe” di turno (Ministro, Sottosegretario, Sindaco, Assessore, ecc. ecc. ecc.).

Sul tema (festival e discrezionalità eccessiva nei sovvenzionamenti), si rimanda anhche al nostro intervento del 10 marzo 2023, su queste colonne di “Key4biz”: “Il “caso Kum!”. Budget dimezzato per il festival di M. Recalcati da nuova assessora di Ancona: la “destra culturale” brutta, sporca e cattiva?”, sottotitolo “Un’ennesima dimostrazione di giudizi lapidari in assenza di dati e analisi: assai poco si sa ancora dei circa 3.000 festival attivi in tutta Italia”.

Lentamente (comunque troppo lentamente… e tardivamente) si cerca, su più fronti, di costruire tasselli di un puzzle di conoscenza ancora assolutamente incompleto: dai cinematografi ai festival, dai teatri alle edicole, in Italia mancano ancora strumenti adatti ad un “buon governo” del sistema.

[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.

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