[16.10.2025] IsICult citato in un servizio della rivista “Elle” dedicato all’Italia dei Festival

16 ottobre 2025

News

Il settimanale “Elle” (diretto da Manuela Ravasio, edito da Hearst Magazine Italia spa) ha pubblicato, nell’edizione in edicola dal 16 ottobre 2025, un servizio curato da Daniela Passeri, intitolato “Un paese di festival”, sottotitolo “Sempre più numerosi e diffusi: secondo gli ultimi dati, gli eventi culturali sono oltre 3.000 in un anno. Offrono un reale arricchimento, o è solo marketing?”, che cita alcuni dati elaborati dall’Istituto Italiano per l’Industria Culturale IsICult, nell’economia del progetto “Italia dei Festival”.

 

Testo articolo originale:

 

UN PAESE DI FESTIVAL

Sempre più numerosi e diffusi: secondo gli ultimi dati, gli eventi culturali sono oltre 3.000 in un anno. Offrono un reale arricchimento, o è solo marketing?

  • “Elle”
  • 16 ottobre 2025
  • di Daniela Passeri

Siamo il paese dei festival. Non c’è ne settimana in cui non si possa partecipare a un’ampia scelta di eventi dedicati ad arte, letteratura, giornalismo, filosofia, storia, economia, diritto, astronomia o ecologia, oltre a spettacoli dal vivo e cinema, o a temi d’attualità, dalla pace alle diversità, dall’ambiente al futuro, dall’intelligenza artificiale alla salute mentale, o ad argomenti su cui proprio non ti aspetteresti un festival come il lutto (fino al 9 novembre a Parma) o il ciclo mestruale (a maggio a Milano). Sono 3.014 per la precisione, quelli censiti dall’Istituto Italiano per l’Industria Culturale, secondo il Rapporto 2025 di Federculture che ha dedicato una sezione al boom dei festival, mentre la piattaforma Trovafestival.it ne conta 1.654, sparsi in 691 comuni, con programmi focalizzati esclusivamente su letteratura, giornalismo e filosofia.

Non esiste una stima su quante persone li frequentano – moltissimi sono a ingresso libero, quindi manca un’emissione di biglietti che attesti le presenze – ma si tratta di diversi milioni di persone che partecipano nella propria città, o che si spostano scegliendo un festival come pretesto per un viaggio, una visita culturale, o come forma di evasione impegnata, con picchi nei mesi primaverili e autunnali.

Uno dei primi, più frequentati e longevi, è il Festivaletteratura di Mantova che ha tenuto la sua ventinovesima edizione lo scorso settembre. Oggi è un’impresa culturale con un budget di 1 milione e mezzo di euro a cui lavorano undici persone tutto l’anno, ma è nato nel 1997 dalla semplice intuizione, dalla curiosità e dall’intraprendenza di otto cittadini mantovani che, sollecitati dal successo del festival letterario di Hay-on-wye in Galles, pensarono di replicarlo nella loro città. «Mi ricordo che convocammo in modo molto informale una riunione, in pieno luglio, e arrivarono 250 persone interessate al progetto», racconta Carla Bernini, libraia di mestiere, tra gli otto fondatori, tuttora attiva nell’organizzazione. «Trovo la parte della programmazione del festival ancora divertentissima: leggiamo un sacco per scovare autori emergenti e temi nuovi perché il nostro non è un evento di sola narrativa. Ammetto che sia un festival un po’ difficile: chiediamo al nostro pubblico di fare uno sforzo di curiosità e, in cambio, offriamo sempre qualcosa di inedito e originale. Cerchiamo di non fare presentazioni di libri, quelle si fanno ovunque, ma di creare momenti di confronto e di dialogo tra gli autori e il pubblico». Il Festivaletteratura non si esaurisce nei cinque giorni del programma, ma vive tutto l’anno attraverso le varie fasi dell’organizzazione e le numerose attività collaterali, che esistono grazie al festival: il catalogo cartaceo, l’archivio online che conserva gli interventi audio, video e foto dei tanti grandi autori, tra cui molti internazionali, che sono stati ospiti delle varie edizioni, la formazione dei volontari, il programma “Read more” di letture libere nelle scuole e tante altre attività. A Mantova, insomma, la città si fa festival, lo vive, partecipa insieme ai tanti visitatori, e questo è un ingrediente del suo successo.

“Grazie al festival, che è un vanto per la città, tanti soggetti diversi imparano a lavorare insieme a un progetto culturale comune”

Il format mantovano è stato replicato e adattato ad altre realtà, come nel caso di Pordenonelegge, dei Dialoghi di Pistoia, dei Dialoghi di Trani, del festival di Filosofia di Modena e altri ancora.

«Siamo arrivati ultimi in Europa, ma in Italia i festival si sono diffusi ovunque come da nessun’altra parte», fa notare Giulia Cogoli, che da 10 anni dirige il Festival della Mente di Sarzana, dopo aver ideato e diretto i Dialoghi di Pistoia. «Se quelli di prima generazione erano concentrati al Centro Nord, adesso le ricerche ci dicono che ce ne sono davvero tanti anche al Sud e nelle isole. E se una volta si affastellavano soprattutto fra settembre e ottobre, ora se ne organizzano tutto l’anno. Direi che funzionano meglio nelle località medio-piccole rispetto alle metropoli, con qualche eccezione, naturalmente. Per una città di provincia – e noi ne abbiamo di molto belle, perfette allo scopo – un festival che attrae ogni volta 20–25 mila presenze è un evento davvero importante da ogni punto di vista. E se poi si ripete per 10 anni, porta con sé impatti economici, ma anche reputazionali, culturali e sociali, che si sedimentano. Quando poi la città diventa la quinta ideale della manifestazione, si crea un’atmosfera ancora più coinvolgente. Le persone non arrivano solo per assistere a una conferenza, ma desiderano fare un’esperienza. Visitano il centro storico, assaggiano i prodotti tipici, certo, ma sentono anche di partecipare a un evento che soddisfa una domanda di cultura».

E infatti, a finanziare i festival sono quasi sempre gli assessorati alla cultura, perlopiù insieme a fondazioni bancarie e altri numerosi sponsor privati, che credono in queste iniziative. Parla con orgoglio dei Dialoghi di Pistoia Benedetta Menichelli, Assessora alla Cultura del Comune, che ha ereditato il festival di antropologia del contemporaneo da precedenti amministrazioni e continua a sostenerlo. «È giunto alla sua sedicesima edizione e per i pistoiesi è un simbolo, un punto di orgoglio. La sua forza è quella di vivere tutto l’anno con gli incontri che facciamo nelle scuole superiori dove formiamo 300 ragazzi che poi partecipano all’evento e si confrontano con tutta la macchina del Comune mobilitata per l’occasione, con gli ospiti e il pubblico», dice. E aggiunge: «Oltre all’alto profilo dei contenuti che ogni anno vengono prodotti e offerti, noto che grazie al festival, che viene vissuto come un vanto dalla città, tanti soggetti diversi imparano a lavorare insieme a un progetto culturale. È un modello virtuoso da cui sono nate altre esperienze come la manifestazione “Un altro parco in città” che ne replica la forma organizzativa».

Come misurare il successo delle manifestazioni di interesse culturale è oggetto di vivace dibattito tra gli addetti ai lavori.

Resta da capire se al dinamismo del settore corrisponda sempre anche una reale creazione di nuovi contenuti, di idee originali, di pensiero, di nuove visioni, di cambiamento, di trasformazione, di alternativa all’omologazione mainstream.

Su questi temi l’Arci nazionale ha scritto il Manifesto dei Festival, un documento che analizza in modo critico il mondo italiano del settore, e che da alcuni mesi viene sottoposto a chi si occupa di produzione culturale.

La domanda vera, infatti, è se questi festival rispondano davvero ai bisogni delle persone, o siano mere vetrine di marketing territoriale o, ancora, macchine di consumo. «Partiamo dalla considerazione che soltanto un terzo della popolazione italiana partecipa a un evento culturale o entra in uno spazio culturale nell’arco di un anno. Per noi vuol dire che questo tipo di esperienza è ancora lontana dalle persone», dice Marco Trulli, responsabile cultura Arci nazionale. «Intendiamo stimolare chi lavora in questi ambiti – che sono espressione di associazioni e della società civile – a ragionare su come organizzare e innovare i festival, tenendo a mente questioni importanti come la sostenibilità ambientale, l’accessibilità per ospiti e visitatori con disabilità e la rappresentatività delle persone Lgbtq+, sia nella programmazione sia nei contenuti, il coinvolgimento della popolazione migrante che in genere non vi partecipa, o magari ne organizza altri per conto proprio. Sono temi che vorremmo introdurre nel dibattito sul fenomeno dei festival per sensibilizzare anche la politica».

Conosce bene la macchina dei festival Angelo Zaccone Teodosi, ricercatore dell’Istituto Italiano per l’Industria Culturale. Dai suoi dati emerge che degli oltre 3000 festival italiani, solo 600 ottengono finanziamenti dal Ministero della Cultura. «Quando ho chiesto al Ministero la lista dei festival sovvenzionati, non è stato in grado di fornirmela», spiega Zaccone. «Questo mi fa temere che a ottenere i contributi siano più o meno sempre gli stessi e che ci sia una certa discrezionalità da parte della politica nel sostenere questo o quel progetto culturale, mentre sarebbe importante avere criteri solidi con cui poter orientare i contributi statali. Per esempio, premiare le iniziative che insistono su territori desertificati culturalmente, dove non esistono più cinema e teatri, e dove un festival, pur piccolo che sia, può costituire l’ultimo, vero presidio culturale». •

“Le persone non arrivano solo per ascoltare un reading o assistere a una conferenza, desiderano fare un’esperienza”