La comunicazione dell’emergenza Covid-19: di gaffe in gaffe, decreti confusi e disorientanti, in assenza di una cabina di regia dell’informazione istituzionale.

Sbagliare è umano, perseverare diabolico: dopo la prima grande gaffe comunicazionale commessa dal Governo il 4 marzo 2020, allorquando, nell’economia dell’allarme Covid-19, iniziò a circolare la notizia della possibile chiusura delle scuole, notizia trapelata poi smentita poi ri-affermata… (vedi “Key4biz” del 6 marzo 2020, “Coronavirus, il pasticciaccio sulla chiusura delle scuole”), non sembra che “la lezione” abbia stimolato la curva di apprendimento, né tardivi ravvedimenti.

In effetti, quel che è avvenuto sabato sera 21 marzo è indegno di un Paese civile: inizia a circolare la voce che il Presidente del Consiglio parlerà alla nazione, ma una prospettata “diretta” delle ore 22:30 viene dilazionata di oltre un’ora, e la stessa Rai è costretta a “sintonizzarsi” con il profilo Facebook (!) di Giuseppe Conte, in una sorta di comunicazione emozionale via social “a reti unificate”. Da non crederci, se non fosse vero.

Non arriveremo all’estremo del direttore de “il Giornale”, Alessandro Sallusti, che ha sostenuto in un editoriale odierno: “speculare su morti e paure per guadagnare follower su Facebook e per non lasciare il palcoscenico mediatico ai governatori del Nord è da sciacalli, farlo senza motivo (lo ripeto, Conte l’altra sera non ha firmato alcun decreto urgente) è da stupidi. Rocco Casalino conti i morti, non i like. E Conte faccia il premier, non l’imbonitore televisivo notturno”. In effetti, secondo alcuni osservatori, la quantità dei “follower” del Premier è aumentata nell’ordine di 500mila nell’arco di poche ore, e c’è chi sostiene che si sia trattato di una operazione mediatica “ad hoc”, orchestrata da Casalino giustappunto e da Dario Adamo, responsabile della comunicazione “social” di Giuseppe Conte.

Un premier “tutto chiacchiere e comunicazione”?!

Sentiamo però di fare nostre le lamentazioni di Enrico Mentana (direttore del Tg La7), che ha sostenuto sul suo profilo Facebook (come dire? “comunicazione infra-Fb”) che “non può essere tutto comunicazione. Se un governo decide di bloccare la gran parte delle attività produttive, prima stende il provvedimento, poi dirama un comunicato stampa con gli elementi essenziali, da quando è in vigore lo stop e fino a quando, quali settori riguarda e quali invece no e perché. Poi, e solo dopo, arriva il discorso del premier, che spiega perché si assumono decisioni così gravi, cosa c’entrano con la lotta contro il contagio, e tutte le belle frasi che abbiamo ascoltato, per poi essere bersagliati (noi, perché il premier non ha voluto domande) dai quesiti di chi chiedeva se la sua attività sia essenziale o no…”. Ineccepibili critiche. Qualcuno ha commentato ironicamente: “un premier tutto chiacchiere e comunicazione” (parafrasando la mitica espressione di Robert De Niro, “tutto chiacchiere e distintivo”, nel film “Gli intoccabili” di Brian De Palma).

Denunciano l’anomalia della procedura comunicazionale sia l’Ordine dei Giornalisti, sia l’Associazione Stampa Parlamentare sia l’Usigrai. In particolare, Giuseppe Giulietti e Vittorio di Trapani, rispettivamente Presidente e Segretario dell’Unione Sindacale.

Giornalisti Rai, tuonano: “riteniamo inaccettabile che il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte affidi le sue comunicazioni a piattaforme private, e senza possibilità di porre domande da parte dei giornalisti. Oggi più che mai chi ha la responsabilità di guidare il Paese in questa fase ha anche il dovere di rispettare il diritto costituzionale dei cittadini a essere informati, previsto dall’articolo 21, e ha quindi il dovere di consentire ai giornalisti di poter svolgere pienamente il loro lavoro di porre domande e informare. Per questo chiediamo a Conte di non limitarsi più a comunicazioni al Paese – men che meno usando piattaforme private – ma di convocare conferenze stampa”. Sacrosanta istanza.

La dinamica dei fatti: analisi di una (altra) gaffe comunicazionale

La dinamica dei fatti va ricostruita sinteticamente: alle 23:45 di sabato, il Premier annuncia un nuovo decreto, di “chiusura” di un’altra “parte” del Paese, intesa sostanzialmente come fabbriche e pubblici uffici. Questo annuncio viene trasmesso dopo un’ora e più di attesa (era stato previsto dapprima per le 22:30). A quell’ora, il Premier non aveva ancora firmato il decreto in questione, che è rimasto in gestazione per quasi una giornata. E naturale sorge il quesito: perché si annuncia un’iniziativa così draconiana, che non è stata ancora perfezionata, provocando una inevitabile confusione nell’intera nazione??? Qual è la “logica” comunicazionale (e quella politica, anzi istituzionale, verrebbe naturale aggiungere)???

Il testo firmato del decreto ha infatti avuto una prima circolazione soltanto alle 20:30 dell’indomani, domenica 22 marzo: non è normale! Questa è patologia istituzionale (non soltanto comunicazionale), oltre che totale mancanza di rispetto dei cittadini, che sono stati, per un giorno intero, in preda a dubbi non marginali. Domani dovrò andare a lavoro, o no?! Che succederà? Chi me lo spiegherà?!

Gli analisti del “dietro le quinte” del Palazzo sostengono che la decisione di Conte è stata accelerata dall’annuncio dal Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, verso le 20 di sabato, di una sua ordinanza di “chiusura” totale della Regione. Onde evitare di seguire la logica “a macchia di leopardo”, criticata tra gli altri dal leader del Partito Democratico Nicola Zingaretti, il Presidente del Consiglio spinge il piede sull’acceleratore, e… imballa il motore!

Un “mood” comunicazionale di questo tipo ha un effetto preciso: non soltanto alimenta una confusione assoluta, ma amplifica quel sentimento di preoccupazione, ansia, isteria che i provvedimenti governativi stanno producendo, nella loro erraticità.

La Presidente del Senato (Casellati): “un raccordo ad ora mai attuato” tra Governo e Parlamento

Che il problema sia anche di natura istituzionale e politica, è evidenziato non soltanto dalle proteste dei leader della Lega e della Forza Italia (ma anche Italia Viva si è lamentata), ma una netta presa di posizione della Presidente del Senato, Elisabetta Casellati, che, nel pomeriggio di domenica, ha dichiarato a chiare lettere che provvedimenti di questo tipo debbono prevedere il coinvolgimento di Camera e Senato, dato il loro carattere di assoluta eccezionalità. Netto e chiaro il messaggio: un invito a stabilire con le Camere un raccordo sistematico “ad ora mai attuato”. Le sue parole meritano essere lette attentamente: “sono convinta che la centralità del Parlamento non possa mai venire meno, soprattutto quando i provvedimenti governativi limitano le libertà personali dei cittadini e le attività essenziali all’economia del Paese. Siamo una democrazia parlamentare”. Tra le righe, sembra esservi addirittura una accusa a Conte di deriva “presidenzialista” della Repubblica. “È fondamentale perciò – continua Casellati – che il Presidente del Consiglio e il Governo stabiliscano un sistematico raccordo, ad ora mai attuato, con i presidenti delle Camere in merito a ogni iniziativa normativa, relativa all’emergenza Coronavirus, per consentire ai parlamentari di svolgere le prerogative affidate loro dalla Carta Costituzionale”.

Alcuni costituzionalisti hanno eccepito che questo stravolgimento delle regole è pericoloso per il nostro stesso assetto democratica: in altri Paesi – basti pensare a Francia e Spagna – il dibattito parlamentare s’è sviluppato, come è naturale che sia.

Il Colle, per ora, tace, ma si ha ragione di ritenere che la tensione sia alta.

Rai bulimica, Terzo Settore trascurato, la società civile ignorata

Tornando sullo “specificum” comunicazionale, il comportamento del Presidente del Consiglio non può trovare veramente alcuna giustificazione: nemmeno quella della urgenza estrema, dato che il decreto governativo annunciato è stato reso pubblico soltanto a 20 ore di distanza dall’annuncio Facebook rilanciato dalla televisione e da altri media. Peraltro le norme introdotte entrano in vigore soltanto da lunedì 23 marzo!

Abbiamo già segnalato, su queste colonne, come una evidenza sia incontestabile: che l’Italia, ovvero lo Stato (entità che rappresenta la collettività) è apparso impreparato nella gestione dell’emergenza Covid-19, e che si soffrono le conseguenze di questa inadeguatezza, sia nel prevenire sia nel controllare l’evoluzione della situazione (vedi “Key4biz” del 20 marzo 2020, “Emergenza virus. Il dovere di prevenire per lo Stato, il diritto di passeggiare per i cittadini”).

Conseguenze che intaccano la vita fisica della popolazione (malati e morti, che meritano il massimo rispetto), ma anche il tessuto psico-sociale del Paese (ed è una dimensione non meno importante, che invece continua ad essere trascurata, anzi ignorata).

La criticità è evidente anzitutto dal punto di vista comunicazionale: al di là delle gaffe, ancora oggi il Governo non ha assunto una linea informativa univoca, e si accavallano prese di posizione, interviste, dichiarazioni varie ed eventuali.

E la Rai continua a non assumere quel ruolo, centrale e trainante, che potrebbe assumere, nella bulimia informativa che caratterizza l’epidemia: si conferma un “servizio pubblico” policentrico, frammentario, dispersivo. Invece di concentrare l’informazione di emergenza in un canale soltanto (l’opzione RaiNews24 possibile canale per il monitoraggio istituzionale del Covid-19), si riproduce la confusione prodotta dalla concorrenza e dagli altri media. La Rai potrebbe essere la “bussola”, in questo caos, ed invece rinuncia a cogliere quella che potrebbe essere una eccezionale occasione di rilancio del proprio profilo identitario.

L’Usigrai venerdì 20 marzo ha proposto la convocazione di un “Tavolo per il Sociale” Rai: “un momento di confronto con tutto il Terzo Settore per ascoltare le esigenze di realtà verso le quali la Rai ha la più grande responsabilità sociale. Dal Tavolo, possono nascere idee preziose per introdurre subito novità di palinsesto in questa direzione. È anche così che si valorizza la coesione sociale, pilastro del Contratto di Servizio”. L’invito non pare abbia determinato alcun feedback da Viale Mazzini.

Inoltre, emerge evidente una disattenzione del Governo per le conseguenze di questo “blocco totale” delle attività: la paralisi di gran parte del Paese finisce per colpire le categorie più deboli, dalle persone diversamente abili ai minori assistiti dai servizi sociali.

Nel pomeriggio di lunedì 23 marzo, due parlamentari del MoVimento 5 Stelle in Commissione Cultura della Camera, Paolo Lattanzio e Vittoria Casa, hanno denunciato che “la condizione di emergenza che stiamo tutti vivendo è particolarmente frustrante e negativa, ancora di più per quei soggetti che già in condizioni di normalità sono più fragili e vulnerabili: ci riferiamo, ad esempio, ai circa 450mila bambini e ragazzi che a causa di gravi problematiche familiari vengono assistiti dai servizi sociali, e che in molti casi – ben 91mila – sono vittime di maltrattamenti o violenze”. I due parlamentari sostengono così l’iniziativa promossa da un gruppo di associazioni (tra le quali Cnca – Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Agevolando, Cismai, Sos Villaggi) e singoli accademici che hanno inviato una lettera aperta al Governo per chiedere la pronta realizzazione di una “task force” sul tema, e di ragionare sulla predisposizione di un decreto appositamente dedicato ai bambini, per la tutela dei loro diritti. “In questa fase – denunciano le organizzazioni – è praticamente impossibile attivare le necessarie segnalazioni alle autorità giudiziarie competenti e i relativi interventi di protezione (tra cui gli aiuti alle famiglie di origine, affidamenti familiari, inserimenti in comunità e adozione)”.

Questione delicatissima, ma è soltanto un esempio, tra i tanti possibili, di un’Italia che subisce, con la “chiusura” del Paese ordinata dal Governo, un peggioramento radicale delle proprie condizioni di vita, nella quotidianità, nella intimità delle proprie esistenze.

Il rischio di un “effetto-domino” psicosociale grave non meno dell’emergenza sanitaria

Temiamo che il Governo non abbia veramente compreso le conseguenze a catena dei provvedimenti assunti: in nome di una prudenza sanitaria estrema (ed estremizzata), si finisce per danneggiare – in una visione monodimensionale dell’epidemia – le vite individuali di decine e decine di persone.

Il Governo, nei prossimi giorni, sarà verosimilmente costretto ad affrontare un “effetto-domino” dalle imprevedibili conseguenze, dato che è tecnicamente impossibile mettere in atto provvedimenti concreti ed operativi di reazione all’emergenza psico-sociale imminente, a fronte della evidente impreparazione dell’esecutivo rispetto alle dimensioni quali-quantitative del fenomeno.

Si dovrà presto affrontare, oltre l’emergenza sanitaria, una vera e propria emergenza psico-sociale. In questi giorni, alcuni ospedali si stanno attrezzano per fornire supporto psicologico ai medici in prima linea: fanno benissimo, ma chi pensa ai milioni e milioni di cittadini stravolti da questa dinamica emergenziale, che sconvolge la vita di ognuno?!

Riteniamo che il Governo debba quindi valutare rapidamente anche sistemi alternativi di contenimento dell’epidemia, alternativi rispetto a quelli draconiani finora adottati, rientrando sui propri passi, ed adottando metodiche differenti, a partire dalla possibile adozione a livello di massa di sistemi di monitoraggio della situazione reale (tamponi o test assimilabili).

A parte le considerazioni di natura costituzionale, le conseguenze socio-economiche di questa strategia possono rivelarsi più dannose di quelle sanitarie, ben gravi, del Covid-19.

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